Tempi difficili. Non si possono chiudere le finestre delle aule alla realtà esterna, sia pure distante migliaia di chilometri

Diventa decisivo il ruolo di accompagnamento degli adulti, dei docenti, capaci di provocare, guidare, aprire strade

Tempi difficili. Non si possono chiudere le finestre delle aule alla realtà esterna, sia pure distante migliaia di chilometri

Stiamo attraversando tempi davvero difficili, che pongono non solo la nostra società, ma in generale la comunità umana di fronte a sfide epocali. Quella climatica, ad esempio: cresce sempre di più la consapevolezza che l’ambiente è fragile e la responsabilità umana rispetto alla conservazione del pianeta è sotto gli occhi di tutti. Cercano risposta gli Stati, la Comunità internazionale nel suo complesso (anche, e da tempo, attraverso negoziati e accordi), così come i singoli individui. In particolare le giovani generazioni si sono sentite parte in causa a cominciare, ad esempio, dal movimento suscitato da Greta Thunberg. In gioco c’è la sopravvivenza delle nostre società e del pianeta.
Un’altra sfida epocale oggi più che mai emergente è quella della pace e dei rapporti internazionali. Siamo da mesi provocati da una guerra in Europa, tra Russia ed Ucraina, che ha tra l’altro fatto scattare più di un allarme anche a proposito del possibile uso di armi atomiche. Siamo da anni circondati da conflitti più o meno conosciuti in diverse parti del mondo, conflitti che configurano quella che Papa Francesco ha definito “terza guerra mondiale a pezzi”. Adesso sulla scena ha fatto irruzione la violenza cieca e terribile in Medioriente, l’attacco di Hamas, le carneficine, la conseguente azione di Israele, lo scenario che si compone sullo sfondo di Stati più o meno apertamente coinvolti nel conflitto. In una terra che tra l’altro cerca da decenni equilibri tra comunità diverse, religioni differenti, popolazioni che vivono fianco a fianco senza pace e sicurezza.
Quest’ultima situazione è così intricata dal punto di vista storico e politico – oltre che religioso – da sembrare impossibile da risolvere (e non ci si può addentrare qui in analisi che richiederebbero spazi ben diversi), ma l’ultima esplosione di terrorismo non può risultare solo un fatto “lontano”. In realtà pone a tutti e a tutti i livelli (dai singoli individui alla comunità internazionale) un problema di civiltà: possiamo ancora tollerare stragi di civili, di bambini, di anziani, distruzioni a tappeto, popolazioni prigioniere della guerra, della fame, dell’odio?
Questa è la domanda che dovrebbe essere posta anche nelle nostre scuole. Perché non si possono chiudere le finestre delle aule alla realtà esterna, sia pure distante migliaia di chilometri. Anzi, proprio l’enormità di un fatto singolare – l’attacco terroristico e la nuova esplosione del conflitto in Medioriente – può e deve riportare l’attenzione alla questione più generale della pace e della convivenza tra i popoli.
Tema troppo grande? Forse no. Anche perché al fondo ospita una domanda che abita nell’intimo delle persone e riguarda la ricerca di sicurezza e possibilità di sviluppo. Una domanda che non può non interessare le giovani generazioni, alle quali per prime si palesa la possibilità di un futuro rubato proprio dai conflitti e – tornando al tema del clima citato all’inizio – dai danni ambientali provocati dalle società contemporanee.
La scuola è il posto migliore per affrontare una domanda di fondo come questa appena ricordata. Lo è perché a scuola ci sono le occasioni di approfondire conoscenze, di confrontare idee diverse, di imparare sul campo il rispetto reciproco su temi che inevitabilmente possono dividere. Diventa decisivo il ruolo di accompagnamento degli adulti, dei docenti, capaci di provocare, guidare, aprire strade. Capaci di lasciar intravedere quelle prospettive che ci appartengono, legate, ad esempio, alla nostra Costituzione e che prospettano una comunità umana guidata dai valori della persona, della pace, del rispetto. Non ci si può chiamare fuori.

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Fonte: Sir