Studenti disabili a scuola, con i compagni: “Farlo si può. E si deve”. Parola di dirigente

Ogni giorno sono cinque o sei quelli che entrano a scuola, per partecipare da lì alla didattica a distanza o a laboratori, insieme ai compagni con bisogni speciali. Circa 15 le classi coinvolte. La dirigente dell'Ic Guicciardini: “Un duro lavoro di squadra, ma tirarsi indietro significa violare un diritto”

Studenti disabili a scuola, con i compagni: “Farlo si può. E si deve”. Parola di dirigente

Si connettono con i compagni in didattica a distanza, partecipano a laboratori in classe, mangiano alla mensa e poi tornano a casa: sono gruppetti di cinque, massimo sei studenti, incluso il compagno con disabilità o bisogni speciali grazie al quale hanno questa opportunità. Sì, perché di “opportunità” parla, la dirigente scolastica dell' IC Guicciardini di Roma, che già il 16 marzo ha messo in pratica quell'organizzazione prevista dalla circolare 662 del ministero dell'Istruzione, che mette in crisi ancora oggi la maggior parte dei dirigenti scolastici. Circolare che prevede – lo ricordiamo – la frequenza in presenza per gli studenti con disabilità o bisogni educativi speciali, anche in caso di chiusura delle scuole, in condizioni di “effettiva inclusione”: in altre parole, insieme a un gruppo ristretto di compagni.

Qui, all'istituto Guicciardini di Roma, ciò che a tanti sembra impossibile da realizzare è quotidiana realtà fin dal secondo giorno.

Perché il secondo?

“Il primo giorno non eravamo ancora pronti con i gruppi, ma abbiamo accolto i soli studenti con disabilità, le cui famiglie avevamo già contattato, per informarle di questa possibilità. Per loro infatti è stata più evidente, già lo scorso anno, l'impossibilità di fare didattica online e la necessità di una mediazione attraverso gli insegnanti e i compagni. E non parliamo solo di studenti con disabilità: nella definizione di 'BES' rientrano infatti anche altri casi, per esempio i bambini e ragazzi con bisogni di tipo linguistico, perché la nostra scuola è frequentata da alcuni bambini e ragazzi stranieri neoarrivati, o con problemi di tipo socio economico culturale, che in didattica a distanza vengono maggiorente penalizzati, perché la famiglia fatica a comunicare con scuola e perché non hanno canali e dispositivi adeguati. Soprattutto per loro riteniamo che la possibilità di non interrompere la presenza a scuola sia un'opportunità preziosa. Ma non solo per loro: ci sono studenti che, pur non avendo difficoltà certificate, possono risentire più di altri della chiusura della scuola. E anche per tutti i loro compagni, continuare a frequentare la scuola, sebbene con orari ridotti e secondo turnazione, può essere una bella opportunità. E' evidente, però, che le difficoltà organizzative non mancano.

Quali sono le prime che avete dovuto affrontare?

Innanzitutto l'individuazione dei criteri per la formazione dei gruppi. Abbiamo lavorato il sabato, la domenica e il lunedì per formarli, seguendo le indicazioni dei docenti, perché fossero gruppi funzionali e non casuali. In alcuni casi abbiamo seguito l’ordine alfabetico, soprattutto per il segmento della secondaria di primo grado. Ovviamente parliamo di gruppi interni alla stessa classe, perché l'esigenza di tracciabilità non permette di mischiare le classi. Una volta individuati i gruppi, abbiamo mandato alle famiglie una circolare con la ripartizione.

Quante classi sono state coinvolte? Quanti studenti?

Una decina in un plesso, tre nell'altro. Ad oggi, sono una cinquantina i ragazzi che ogni giorno frequentano la scuola, inclusi quelli con disabilità e bisogni educativi speciali. L'orario è ridotto e prevede il coinvolgimento di docenti sostegno, personale Oepa, organico Covid e in parte docenti curricolari: questi ultimi non possono essere sempre presenti, perché sono alle prese anche con la didattica a distanza. L'ingresso è alle 9, l'uscita alle 13, mensa inclusa

Quale riscontro avete ricevuto dalle famiglie?

Nella maggior parte dei casi, i gruppi stanno venendo. Può accadere che, rispetto ai 5-6 bambini che abbiamo previsto, non tutto il gruppo sia presente, perché la famiglia non sta a Roma, o ha fatto una scelta diversa e preferisce tenere il figlio a casa. Come dirigenza, sto anche gestendo eventualmente piccoli cambi, sempre con un passaggio istituzionale, per garantire la tracciabilità: la necessità di sostituzione tra i ragazzi o tra i docenti mi viene comunicata dal rappresentante di classe e provvedo ad aggiornare il gruppo.

Un lavoro organizzativo complesso, che fa desistere tanti...
Sicuramente serve un gran lavoro di squadra, ma non abbiamo avuto alcuna esitazione ad affrontare questa impresa, con tutte le difficoltà che comportava: nel necessario bilanciamento tra diritto alla salute e diritto all'istruzione, non si può sacrificare troppo il secondo. E' ovvio che, in questo bilanciamento che abbiamo cercato di realizzare, prestiamo una particolare accuratezza nel tutelare la salute. Ma questo lo abbiamo sempre fatto, soprattutto con l'inizio della pandemia.

Insomma, ritiene che valga la pena di affrontare questa fatica?

Decisamente sì. L'anno scorso con diversi ragazzi abbiamo faticato a mantenere le relazioni: ci sono studenti che non possono stare davanti allo schermo, o che hanno bisogno di una comunicazione aumentativa alternativa. Non possiamo lasciarli di nuovo a casa, rischiando di perderli. Ovviamente lasciamo ai genitori la facoltà di scegliere se mandare il figlio a scuola oppure no. Trovo molto bello che, in qualche caso, i genitori di uno studente con disabilità o bisogni educativi speciali abbia deciso di mandare il figlio a scuola per dare l'opportunità della frequenza ai compagni, soprattutto a quegli stranieri. I genitori si sono sentiti tra loro, hanno fatto le loro valutazioni, si sono confrontati con i rappresentanti e con gli insegnanti e hanno preso le loro decisioni. Ieri mattina, per esempio, mi ha chiamata una maestra per segnalarmi che una bambina pakistana, che non ha bisogni certificati ma ha comunque una situazione complessa, avrebbe bisogno di venire tutti i giorni a scuola: ho accolto la richiesta e ci siamo organizzati perché, nei piccoli gruppi in cui la sua classe è stata suddivisa, lei sia sempre presente. La parola d'ordine è flessibilità: anche la cuoca, quando arriva a scuola in questi giorni, non sa per quanti bambini dovrà cucinare. Eppure si adatta. E' un lavoro continuo e ininterrotto, ma ne vale la pena: la scuola è un importante presidio della socialità, lo sappiamo. Tanto più in queste condizioni di emergenza, deve esercitare questa sua funzione. Noi siamo a due passi dal Colosseo e, come tutte le scuole del centro, abbiamo una popolazione trasversale: ci sono tanti studenti che hanno strumenti, possibilità, risorse, stimoli, genitori in smart working che li seguono; ma anche tanti studenti che queste risorse non le hanno. Siamo consapevoli del divario sociale, che in questa situazione rischia di acuirsi e diventare abissale. Io mi sento in dovere, come dirigente, di colmare questo divario. E questo è possibile con una scuola aperta, non certo con una scuola chiusa.

Tanti dirigenti però di fronte a questa sfida si stanno tirando indietro, accordando la presenza a scuola solo agli studenti con disabilità. Cosa ne pensa?
Ne sono consapevole, non c'è uniformità: anche sullo stesso territorio, ci sono scuole che hanno organizzato i gruppi, altre che lasciano frequentare solo gli studenti disabili, altre ancora che lasciano a casa anche loro, Ci vuole orientamento e sensibilità, ma il personale non si può rifiutare. Per me, dove non c'è questa applicazione della normativa, c'è violazione del diritto soggettivo dell'alunno.

Chiara Ludovisi

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)