Sindrome di Sotos, "sono Emanuel e non sono solo"

La patologia più nota come “gigantismo infantile” interessa solo un bambino su 10-50 mila nati. "Assi Gulliver" segue i ragazzi nella crescita e sostiene i genitori: "L’associazione offre tanti compagni di viaggio, perché il primo problema delle nostre famiglie è la solitudine"

Sindrome di Sotos, "sono Emanuel e non sono solo"

Nell’azienda agricola di famiglia, alle pendici del Monte Peglia, Emanuel Boutet, 31 anni lo scorso luglio (e guai a dargliene solo 30), ogni pomeriggio si reca all’Emporio della Caritas a Marsciano, comune umbro a una sessantina di chilometri da Terni, dove, sotto la guida di un diacono che gli vuole un bene dell’anima e del suo sostituto, che gli vuole bene a modo suo e intanto lo comanda a bacchetta, svolge il suo tirocinio lavorativo, sistemando e riordinando il magazzino di viveri e beni di prima necessità destinati alle famiglie in stato di bisogno. Figlio di padre francese e di battagliera mamma italiana (è stata lei a ridare vita alla tenuta agricola da sempre proprietà di famiglia trasformando il vecchio casale in un agriturismo), Emanuel è nato con la sindrome di Sotos, una condizione di origine genetica meglio conosciuta come “gigantismo infantile” che conferisce tratti del volto peculiari, crescita accelerata nelle prime fasi della vita, macrocefalia e deficit intellettivo variabile, su una scala da lieve a grave.

Oggi Emanuel è considerato un po’ il testimonial di Assi Gulliver, l’Associazione sindrome di Sotos Italia nata quasi dieci anni fa per condividere esperienze e creare una rete nazionale di famiglie. «Non è che sono il testimonial», precisa a telefono, «sono solo uno dei più grandi, gli altri sono quasi tutti bambini. La prima volta che li ho visti, durante il primo incontro pubblico organizzato dall’associazione a cui ho preso parte, mi sono reso conto che sembravano tutti miei cloni. Per i genitori rappresento un esempio, quello che i loro figli possono diventare in futuro. Per i bambini, invece, sono un po’ come il fratello maggiore. Alcuni mi telefonano in continuazione, alla fine sono stato costretto a dirgli di darsi una calmata».

Non bisogna conoscerlo da una vita per rendersi conto che Emanuel è davvero un tipo esplosivo. Più che espansivo, è travolgente, e non si fa pregare a parlare di sé. Ama socializzare e camminare in campagna, fare teatro e disegnare. Soprattutto gli piace fare i ritratti che poi vende o regala: «Alcuni li considerano caricature, ma in realtà fanno apparire le persone esattamente come sono», giura. Spesso i soggetti rappresentati sono gli stessi clienti dell’agriturismo, che a volte acquistano il proprio ritratto al prezzo popolare di cinque euro. Ma nell’azienda dei suoi genitori, Emanuel ci lavora anche: «Faccio il pr, accolgo gli ospiti e li accompagno nelle stanze», dice. «Ad apparecchiare è bravissimo», precisa sua madre. «Sistema piatti e posate in maniera impeccabile e poi si siede a cenare con gli avventori», ride. Una meticolosità che a Emanuel è valsa un ingaggio da parte di suo zio, uno psichiatra dallo spirito eclettico con la casa invasa da volumi di tutti i generi. «A dicembre andrò a Roma per sistemargli la biblioteca. Mi ha affidato il compito di catalogare i volumi. C’è di tutto su quegli scaffali, io ordino i libri per autore, titolo e anno di pubblicazione».

«La storia della nostra associazione comincia nel 2009, quando la prima presidente, Rossana Burbi, ha aperto un gruppo Facebook rivolto alle famiglie e tutt’oggi attivo», racconta Silvia Cerbarano, mamma di Alessandro, un 15enne con la sindrome di Sotos, dal 2018 alla guida dell’associazione. «All’inizio le famiglie iscritte erano una ventina, oggi sono oltre il doppio, ma sono molte di più quelle che frequentano le nostre iniziative. Sono tante però le famiglie che mancano ancora all’appello, perché non tutti si sentono pronti ad accettare la situazione dei propri figli, condividendo le loro esperienze con altri. Ci piace dire che un figlio con la sindrome di Sotos è come un viaggio che non ti aspetti. L’associazione offre tanti compagni di viaggio, perché il primo problema delle nostre famiglie è la solitudine».

Sulla carta la sindrome di Sotos interessa un bambino ogni 10mila-50mila nati, ma per Assi Gulliver si tratta, probabilmente, di un dato sottostimato: descritta per la prima volta nel 1964, solo dai primi anni Duemila è disponibile un test genetico in grado di confermare la diagnosi clinica. «Sembra pertanto plausibile che siano in tanti, soprattutto tra gli adulti, a non essere diagnosticati», prosegue la presidente. «Gli esperti stimano l’esistenza di 600-800 casi in Italia, ma si tratta di numeri incerti, visto che a oggi manca ancora un Registro nazionale». La diagnosi per le famiglie rappresenta sempre una doccia fredda: «Ma sapere che esistono persone capaci di capirti senza bisogno di dare troppe spiegazioni può essere di grande aiuto, specie nelle giornate più nere», sottolinea. «Fino alla pubertà i nostri figli crescono più dei loro coetanei, ma presentano un ritardo cognitivo, spesso accompagnato da un impaccio motorio e una difficoltà di percezione del proprio corpo. È come se un bambino abitasse nel corpo di un adulto».

Per esempio, quando Emanuel era piccolo, capitava sovente che gli altri bambini si fermassero a guardarlo. La cosa imbarazzava sua madre Rosaria, che si sentiva triste e preoccupata. «Ma era lo stesso Emanuel a risolvere il problema», ha detto Rosaria al termine dell’intervista a suo figlio. «È talmente socievole da riuscire a sdrammatizzare qualunque cosa. Ha una capacità straordinaria di relazionarsi con gli altri. Quando lo guardavano lui era felice e diceva “ciao!”. E così tutto finiva lì».

Giovanni ha quasi sei anni, è figlio unico e vive a Padova con la mamma e il papà. Oggi ama molto trascorrere il tempo con gli altri bambini, ma quando era più piccolo ne temeva la compagnia. «La cosa che ci spaventa di più è che la consapevolezza della sua condizione possa creargli insicurezze nel rapporto con gli altri», racconta sua madre Elisa Zigno che, per potersi prendere cura al meglio del suo bambino, è stata costretta a interrompere a più riprese il lavoro nell’azienda dove è impiegata da molti anni. Nato dopo una gravidanza piuttosto difficoltosa, Giovanni ha manifestato problemi di salute fin dai primi giorni di vita e, a quattro mesi, ha ricevuto la diagnosi. «Nel complesso gode di buona salute, frequenta medici e ospedali da quando è nato, ma per fortuna non ha subito troppi interventi chirurgici come altri bambini nella sua situazione. Non era scontato che potesse camminare, ma invece è riuscito a farlo all’età di tre anni. Per noi è stato un grandissimo traguardo», precisa la mamma. Attualmente Elisa fa parte del direttivo dell’Assi Gulliver, ma ci è voluto un po’ prima che lei e suo marito decidessero di avvicinarsi alle attività dell’associazione. «All’inizio non ce la sentivamo di entrare», spiega. «Osservavamo le cose a distanza, assumere un ruolo più attivo sarebbe stato un po’ come ammettere la realtà della nostra condizione, non ci sentivamo ancora pronti a guardare in avanti, a comprendere attraverso l’esperienza degli altri come sarebbe stato il nostro futuro. Poi abbiamo deciso di partecipare a un convegno e lì abbiamo rotto il ghiaccio. Abbiamo capito che prendere parte alle iniziative comportava più vantaggi che svantaggi: la condivisione ci sarebbe stata di conforto, non c’era nulla da temere».

Nel frattempo Giovanni ha fatto tanti progressi, ma non è ancora riuscito a parlare. Come tanti bambini con difficoltà di linguaggio, si esprime con la comunicazione aumentativa alternativa e riesce a farsi capire benissimo. «Dentro di sé, però, ha molto di più di quello che riesce a esternare: vorrebbe dire di più, ma non ha gli strumenti per farlo», dice Elisa. «La nostra speranza come genitori è che trovi il modo di stare bene con gli altri, anche lui ha diritto alla socialità. L’idea che la sua possa diventare una vita di solitudine ci fa stare male e ci impegniamo ogni giorno per aiutarlo a trovare un equilibrio».

Assi Gulliver vede tra le sue finalità anche la promozione della ricerca scientifica attraverso il sostegno a progetti di ricerca portati avanti con centri e realtà tra i più qualificati in Italia. Tra questi l’inaugurazione, al Policlinico Tor Vergata di Roma, del primo ambulatorio specialistico dedicato esclusivamente al trattamento della sindrome di Sotos. Contemporaneamente, sempre in collaborazione con l’unità di Neuropsichiatria infantile del Policlinico Tor Vergata, è partito uno studio per indagare le caratteristiche cognitive, neuropsicologiche e comportamentali delle persone con sindrome di Sotos. Tale studio – fanno sapere dall’associazione –potrebbe modificare significativamente la traiettoria di sviluppo e la prognosi collegata mediante l’individuazione di progetti terapeutici mirati e, al tempo stesso, indagare l’esistenza di una correlazione tra autismo e sindrome di Sotos.

All’Irccs Eugenio Medea di Bosisio Parini (in provincia di Lecco), invece, è appena partito un progetto triennale collegato a un dottorato dell’Università di Trieste in Neuroscienze. Il progetto, intitolato “La rappresentazione del corpo nei bambini con sindrome di iperaccrescimento”, ha l’obiettivo di indagare le conseguenze a livello psicologico e nel modo di rapportarsi agli altri. Rivolto a ragazzi tra i 5 e i 18 anni, vuole indagare il rapporto tra la rappresentazione del corpo e le attività sociali soprattutto durante l’adolescenza, periodo particolarmente critico sia per i cambiamenti fisiologici della pubertà sia per l’importanza che ricopre l’immagine corporea nell’interazione sociale con il gruppo dei pari.

E ancora: si chiama “Sindrome di Sotos: dalla diagnosi clinica alla presa in carico”, il progetto della Fondazione Ircss Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano nato per contribuire all’acquisizione di un professionista operante in collaborazione con l’équipe dell’unità di Pediatria per le attività di diagnostica clinica e molecolare, follow up, gestione del registro pazienti e per mettere in luce le complicanze e le problematiche mediche a oggi ancora misconosciute a causa della rarità della condizione. Infine, ma non ultimo, il progetto “Scacco al Re”, portato avanti dall’Assi Gulliver in collaborazione con l’ospedale Gaslini di Genova e la Scuola internazionale superiore di studi avanzati (Sissa) di Trieste per sviluppare dei piccoli Rna in grado di correggere il difetto di espressione tipico dei pazienti con sindrome di Sotos. Una terapia – assicurano da Assi Gulliver – in grado di migliorare molto la qualità della vita, agendo soprattutto sugli aspetti neurologici.

(L’articolo è tratto dal numero di ottobre di SuperAbile INAIL, il mensile dell’Inail sui temi della disabilità)

Antonella Patete

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)