Sgritta e il ruolo politico del volontariato: l’eredità del grande studioso
Il sociologo è morto domenica scorsa a 78 anni. Autore di innumerevoli pubblicazioni, aveva collaborato da vicino con Di Liegro. Nel suo intervento alla conferenza di CSVnet del 2018 la visione di un volontariato che richiama continuamente le istituzioni alle loro responsabilità
Il sociologo Giovanni Battista Sgritta è morto domenica scorsa nella sua casa di Roma, avrebbe compiuto 78 anni a giugno. Con lui scompare uno degli ultimi grandi studiosi che non solo avevano seguito direttamente l’evoluzione delle politiche sociali e del volontariato in Italia e in Europa, ma che più si erano personalmente coinvolti nell’impegno sociale. Sgritta era stato infatti uno dei collaboratori più stretti di mons. Luigi Di Liegro, storico direttore della Caritas romana e promotore di progetti pionieristici ed efficaci contro le emergenze che emergevano tra gli anni 70 e 90, dalla tossicodipendenza all’Aids, dall’immigrazione alle povertà gravi.
A lungo docente (dal 2005 “Emerito”) all’università di Roma La Sapienza, autore di numerose ricerche e pubblicazioni, Sgritta citava spesso Di Liegro insieme ad altri “profeti” di una stagione fondamentale: Giovanni Nervo, Luciano Tavazza, Maria Eletta Martini, Giuseppe Pasini ecc. Personaggi che tra l’altro avevano in comune l’insistenza sulla “funzione politica del volontariato”, tema che Sgritta aveva affrontato anche nel suo apprezzato intervento alla conferenza nazionale di CSVnet, svoltasi a Matera nell’ottobre 2018.
In quella relazione (qui il video integrale, 39’) il sociologo aveva declinato il tema attraverso le tre parole centrali della conferenza: scegliere, provocare, connettersi. Nel primo caso, sostenendo che il volontariato italiano in realtà non aveva mai potuto scegliere libero da vincoli prima che si fosse approvata nel 2000 la legge quadro sull’assistenza: la 328 “per la prima volta riconobbe il ruolo di un soggetto che fino ad allora era stato lasciato in panchina”: lo Stato, che fino a quel tempo aveva fatto pesare il welfare “soprattutto sulla famiglia, e quindi sulla donna”, va in crisi e scopre la “forza flessibile” del volontariato, indicandolo come “la panacea di tutti i mali”.
Fu qui, sosteneva Sgritta, che quei “profeti” intuirono il ruolo politico del volontariato, un ruolo di proposta e anche di protesta, di chi richiama costantemente le istituzioni alla loro responsabilità. Un volontariato che “da una parte dà, ma dall’altra chiede, perché non si può dare come carità ciò che spetta di diritto”. È tutta in questo ruolo la “provocazione” del volontariato, connaturata al suo essere “fondato sul dono gratuito, cioè l’opposto di ciò che avviene nei rapporti di mercato e in quelli con la politica”, basati sull’interesse o sul potere.
Davanti alla platea di 300 dirigenti dei Centri di servizio (come in molti altri suoi interventi), Sgritta aveva insistito con forza sul dovere del volontariato di non perdere mai (o di ritrovare) questa funzione “negoziale” con la politica, di chi “non sta solo a guardare”, di chi lavora sul diritto e contro la discrezionalità. E aveva richiamato il concetto di “volontariato a perdere” su cui insistevano i grandi personaggi ai quali si ispirava: un volontariato che agisce con lo spirito di chi punta a “lasciare il campo” dopo aver ottenuto che le istituzioni si riappropriassero dei loro doveri verso le persone in difficoltà.
A Matera Sgritta aveva concluso con un giudizio critico sulla riforma del terzo settore e con un accorato appello, appunto, al dovere di “connettersi” del volontariato: citando i risultati delle ultime ricerche, lo studioso aveva infatti sottolineato la tendenza alla “atomizzazione” della solidarietà organizzata nel nostro Paese, una solidarietà “a maglie corte e strette”, molto forte a livello micro ma incapace di una visione comune di ampio respiro: “Vedo una grande fatica a gettare ponti tra diversi, - aveva concluso. - L’atomizzazione va contrastata con la connessione: in Italia abbiamo moltissime iniziative, ma staccate tra di loro; è inutile metterle insieme in una sommatoria solo per dire che siamo tanti…”.