“Scappiamo!”. La prima testimonianza letteraria di una sopravvissuta all’Olocausto proveniente dal Tirolo
Nel 1945, quando ancora si trovava a Innsbruck, Leokadia inizia a battere a macchina la sua storia di sopravvivenza
Le rotelle dei trolley corrono al ritmo della voce registrata che, dagli altoparlanti, annuncia attivi e partenze. Passi veloci e nervosi si spostano tra un binario e l’altro, su e giù per le scale, facendo da sottofondo a lunghe chiacchierate con gli auricolari, che spuntano tra le ciocche di capelli, sotto cappelli e berretti.
Crocevia di arrivi e partenze, con i suoi undici binari la stazione centrale di Innsbruck è un intrecciarsi continuo di vite e di storie. E questa è una di quelle storie.
Innsbruck, piazza Stazione, anni Quaranta.
Sotto un cielo freddo e cupo, i tacchi degli stivali in pelle dei soldati nazisti percuotono ritmicamente il selciato. È un rumore tetro e grigio, come tetro e grigio è lo sferragliare dei vagoni bestiame carichi di innocenti senza più speranza, in partenza pochi metri più in là, alla volta dei campi di concentramento di Ravensbrück o Auschwitz.
Durante gli anni della dittatura nazista, la caserma della polizia si trovata nella Bahnhofsplatz, nella piazza Stazione, là dove oggi si trova la sede della Ögb, la Österreichischer Gewerkschaftsbund (Federazione sindacale austriaca).
Nel cortile interno dell’edificio c’era la prigione della polizia. Un edificio spettrale, che sarcasticamente veniva chiamato “Sonne”, in ricordo dell’ex “Hotel Goldene Sonne”, che si trovava nei pressi della stazione ferroviaria e dove soggiornavano gli ospiti nobili durante l’epoca imperale. Oggi sono in pochi a ricordarsi di quell’edificio situato accanto alla stazione. Chi vi veniva rinchiuso aveva una sola certezza, quella di morire. A scadenza regolare venivano stilate delle liste e i detenuti che risultavano essere sulla lista venivano ammanettati e condotti ai binari, dove una volta caricati su vagoni bestiame, venivano deportati nei campi di sterminio.
Nel marzo 1944 Leokadia Justman varca la soglia del carcere della polizia di Innsbruck.
Leokadia nasce nel 1922 a Varsavia. I suoi genitori sono ebrei. Quando, nel 1942, il regime avvia le prime deportazioni degli abitanti del ghetto nei campi di concentramento, Leokadia riesce a fuggire insieme al padre. A salvarle la vita è la madre, che si sacrifica per amore della figlia, e viene deportata in un campo di sterminio, dove viene uccisa. Leokadia e il padre scappano prima a Salisburgo e poi in Tirolo, dove vivono sotto falsa identità. Fino al marzo 1944 quando la giovane viene arrestata dalla Gestapo nella fabbrica di loden dove era stata assunta come donna polacca cattolica.
Leokadia è una ragazza luminosa e splendente, proprio come racconta il suo nome. È piena di vita e di voglia di vivere, con uno spiccato talento letterario. Cosa che non passa inosservata a Wolfgang Neuschmidt, direttore della prigione. Un giorno entrando nella cella in cui era rinchiusa la ragazza, braccia dietro la schiena si mette ad osservare in silenzio le tante preghiere con cui i detenuti avevano letteralmente ricoperto le pareti della stanza. Passa in rassegna frase per frase finché uno dei versi cattura la sua attenzione. “Chi l’ha scritto?”, chiede con voce ferma. “Sono stata io…” risponde con voce tremante Leokadia. “Non devi scrivere sui muri”, incalza l’uomo, con un tono di voce meno duro. “Hai molto talento. Non sprecarlo, Se vuoi scrivere, scrivi su un foglio di carta”. E dà alla ragazza un quadernetto e una matita. “Nascondilo bene agli occhi delle nostre guardie”.
Come Neuschmidt, anche altri poliziotti che avevano giurato fedeltà a Hitler e che prestavano servizio nella prigione si misero in pericolo, cercando di venire incontro, in vario modo, a Leokadia e agli altri detenuti.
“L’impressione – commenta oggi lo storico austriaco Nico Hofinger – è che gli ufficiali di polizia di Innsbruck non fossero particolarmente nazisti e che, nel 1944, ne avessero abbastanza del regime. Erano persone con cuore e cervello e Leokadia Justman riuscì ad attirarli con la sua intelligenza e la sua astuzia”. Ne è testimonianza il fatto che Rudolf Moser, che lavorava nel centro medico del carcere, si era addirittura dichiarato a Leokadia, dichiarando “Odio Hitler e la sua sporca cricca tanto quanto lei. Noi tirolesi non possiamo più sopportare l’oppressione di Hitler”.
Nel gennaio 1945 i bombardamenti colpiscono duramente la sede della polizia di Innsbruck, così come la cucina della prigione, dove Leokadia Justman lavorava con la sua amica ebrea Marysia Fuchs. Leokadia non ci pensa due volte. “Scappiamo!” dice all’amica. Sentiva che quella era la loro ultima possibilità. E così il 18 gennaio le due ragazze si arrampicano tra le macerie delle mura della cucina e riescono a fuggire. Una coincidenza fortunata, possiamo dire noi oggi. I nomi delle due ragazze, infatti, erano sulla lista di deportazione per il giorno successivo. Se fossero state chiuse in cella, non avrebbero avuto alcuna possibilità di salvarsi.
Una volta evase dal carcere, Leokadia e Marysia vengono assistite e protette dalla rete di amici che avevano creato durante i mesi di detenzione. L’ufficiale Rudolf Moser e altri poliziotti vengono in loro aiuto. Un parrucchiere tinge i riccioli scuri delle due giovani che, nel giro di un paio d’ore acquistano una splendida chioma biondo paglierino. Leokadia e Marysia riescono a nascondersi a Salisburgo con documenti falsi. Cinque agenti di polizia tirolesi e tre donne mettono a rischio la loro vita pur di salvare le due. “La stragrande maggioranza a cui è stato chiesto il perché lo abbiano fatto – racconta oggi lo storico Hofinger – ha risposto che è stata una decisione d’istinto. Nessuno di loro aveva pensato a quello che sarebbe potuto accadere”.
Tutte e otto le persone che hanno aiutato Leokadia e Marysia sono state onorate postume come “Giusti tra le Nazioni” nel memoriale di ad Vashem.
E Leokadia? La giovane è sopravvissuta alla guerra e, poco tempo dopo l’armistizio, ha sposato Josef Wisnicki, che come lei era scampato per poco all’olocausto. Il loro è stato il primo matrimonio ebraico a Innsbruck dopo la seconda guerra mondiale. Qualche anno più tardi Leokadia e Josef emigrano negli Stati Uniti, dove la donna muore nel 2002 a 80 anni.
Nel 1945, quando ancora si trovava a Innsbruck, Leokadia inizia a battere a macchina la sua storia di sopravvivenza. Il manoscritto in polacco è la base di un libro – la prima testimonianza letteraria di una sopravvissuta all’Olocausto proveniente dal Tirolo – presentato lunedì scorso, 27 gennaio, a Innsbruck in occasione della Giornata della Memoria. La copertina del volume, pubblicato dallo storico Hofinger e dal gesuita Dominik Markl (professore di Antico Testamento all’università di Innsbruck), in collaborazione con il figlio di Leokadia, Jeffrey Wisnicki, domina un post che il vescovo di Innsbruck Hermann Glettler ha pubblicato sul suo account Ig.
La pubblicazione del libro è accompagnata anche da una mostra interattiva allestita insieme all’Università di Innsbruck fino al 26 ottobre nello studio dell’ex Gauleiter nazista Franz Hofer in quella che un tempo era la Gauhaus e oggi è la Landhaus, ossia la sede del Land Tirol, il governo tirolese. La mostra combina contenuti multimediali con fotografie del tempo, documenti e mappe, I visitatori possono esplorare in modo interattivo la fuga di Leokadia e scoprire la rete di sostenitori che l’hanno aiutata.
“Una storia affascinante – commenta mons. Glettler su Ig – che racconta il coraggio di cinque poliziotti tirolesi e di tre donne che hanno messo a repentaglio la propria vita per salvare una giovane ebrea e la sua amica”.