Rsa in Lombardia, "un modello da rivedere"
Poco coordinamento dalla Regione, servizi territoriali inesistenti, salari bassi per il personale: gli esisti di una ricerca commissionata dal Sindacato dei Pensionati della Cgil Lombardia. Le proposte dell'associazione dei parenti degli ospiti, Felicita, e di Uneba
Mancanza di coordinamento e controllo da parte della Regione, rete dei servizi integrati per la non autosufficienza inesistente, bassi salari del personale e poca formazione: sono alcuni dei “mali” del sistema della Rsa lombarde che emerge da una ricerca, curata da Ires per il Sindacato dei pensionati della Cgil, per la quale sono stati intervistati 50 “testimoni privilegiati”. Una ricerca qualitativa, dunque, che non lesina critiche a una rete 717 strutture convenzionate dal sistema sanitario regionale lombardo con quasi 62 mila posti residenziali accreditati, corrispondenti a 27,1 ogni 1.000 anziani. Per Spi Cgil Lombardia occorre ora ridare slancio “ai servizi sanitari e sociosanitari territoriali”, “potenziare le cure domiciliari, le strutture intermedie e le forme di residenzialità leggera” e rivedere le quote di contributi riconosciuti dalla Regione alle Rsa ferme al 2003.
La ricerca è stata presentata durante una diretta dalla pagina Facebook di Spi Cgil. Tra gli interventi, quello di Alessandro Azzoni, presidente di Felicita, associazione nata per iniziativa di parenti degli ospiti delle Rsa: “Gli anziani sopravvissuti vivono ancora in uno stato di isolamento -ha ricordato-. Il Covid-19 ha mostrato che non funziona un modello che lascia al gestore delle Rsa di decidere sulla vita delle persone. Non è cambiato nulla in un anno. La ghettizzazione delle Rsa è la prima causa di malessere oggi per gli ospiti e sta facendo danni come li ha fatti il Covid-19”. Azzoni per questo propone che in ogni Rsa sia costituito un osservatorio, composto in via elettiva da parenti degli ospiti, personale e rappresentanti dell'ente gestore, che sia indipendente e vigili “sul rispetto dei diritti e dei doveri delle parti”.
Luca Degani, presidente di Uneba Lombardia, ha ribadito la proposta lanciata anche a livello nazionale dalla sua organizzazione, che rappresenta le Rsa non profit. “Non c'è dubbio che si muoia di solitudine -ha detto-. Per questo chiediamo ancora che sia vaccinato almeno un parente per ogni ospite, così possa avere accesso”.
Tra i punti critici emersi dalla ricerca condotta da Spi Cgil, c'è anche quello dei criteri con cui un anziano accede o meno a una Rsa. In Lombardia tutto è lasciato al “libero mercato” e non c'è “alcuna forma obbligatoria di filtro pubblico”. Il rischio è che ci siano persone che finiscono nelle Rsa ma che potrebbero essere seguite da altri servizi, magari a domicilio.
Inoltre, nonostante il settore socio-sanitario lombardo sia uno dei più sviluppati in Italia (per quanto riguarda la spesa rivolta agli over 65, la Lombardia nel 2015 raggiungeva un valore di 561 euro pro capite, preceduta soltanto da Veneto ed Emilia-Romagna), c'è un marcato squilibrio tra la parte di spesa per i servizi residenziali (457 euro) e quella per i servizi domiciliari e ambulatoriali diurni: con 104 euro, la Lombardia presentava il valore più basso di tutto il Centro-Nord, superando a livello nazionale soltanto la Puglia, la Sicilia e la Calabria.
Per quanto riguarda il personale, “si riscontrano evidenti problematiche, dai bassi salari che inducono i professionisti della salute a considerare un impiego nelle Rsa come una soluzione di serie B, in attesa di poter accedere ad una posizione meglio retribuita nel sistema ospedaliero, alle insufficienti iniziative di formazione e valorizzazione del capitale umano, agli elevati tassi di turnover, assenza e infortunio (spia di stress lavoro-correlato e carenze organizzative)”.
“La pandemia del Covid-19 – sottolineano i ricercatori-, ha colto impreparato il sistema delle Rsa lombarde, rivelando le preesistenti carenze di risorse e tecnologie che hanno dato un ulteriore contributo negativo nella gestione di questa fase complessa. Le Rsa sono state lasciate sole dal sistema sanitario ad affrontare un’emergenza per la quale non erano preparate, con l’unica arma dell’improvvisazione, senza avere gli strumenti per prevenire efficacemente il contagio né per assistere gli ospiti malati che gli ospedali. È necessario fare tesoro di questa esperienza drammatica per non ripetere gli stessi errori in futuro”.