Riforma Basaglia, 44 anni dopo: le indicazioni accolte e quelle “tradite”
Intervista a Gisella Trincas, presidente di Unasam: “Accolta l'urgenza del superamento dei manicomi, luoghi della negazione della dignità e della produzione della follia. Ma restano criticità: pratiche coercitive, residenzialità pesante, difformità territoriale nelle risorse e nei servizi, violazioni delle regioni su riutilizzo manicomi”
Era il 13 maggio del 1978 quando, ufficialmente, i manicomi in Italia smisero di esistere: merito di Franco Basaglia e di chi, con lui, elaborò, promosse e attuò la legge di riforma 180/1977, meglio nota come legge Basaglia. Oggi, a distanza di 44 anni, tanto è stato fatto per la riconquista dei diritti, della dignità e della cittadinanza di chi ha un problema di salute mentale. Ma tanto resta da fare, perché il messaggio di Basaglia possa dirsi pienamente realizzato.
Gisella Trincas è presidente di Unasam e osservatrice attenta e critica di tutto ciò che accade intorno a questa che resta, nonostante tutto, una zona di fragilità.
Cosa è stato accolto e realizzato, in questi 44 anni, del messaggio di Franco Basaglia e della sua riforma?
Certamente è stata accolta la necessità e l'urgenza del superamento dei luoghi della negazione e della violazione della dignità umana. I manicomi in Italia erano i luoghi della produzione della follia, della privazione di qualunque possibilità di cura: luoghi deputati esclusivamente alla segregazione e al controllo, luoghi che hanno distrutto la vita di centinaia di migliaia di persone. Il pensiero di Basaglia, raccolto nella legge 180, ha restituito alle persone con sofferenza mentale soggettività e dignità: nel nostro paese abbiamo oggi leggi importanti, la 180 ma anche i progetti obiettivo, le leggi d'indirizzo, la 328. Tutte norme che chiariscono fino in fondo quali debbano essere i luoghi e gli strumenti della cura, orientati al rispetto della dignità e dei diritti delle persone, ma anche alla ripresa e alla guarigione possibile. Attraverso la legge di riforma è stato possibile definire un modello organizzativo che parte dai dipartimenti di salute mentale e passa per i servizi: il modello organizzativo d'intervento è chiaro e lo condividiamo in pieno.
Però?
Però siamo purtroppo fortemente in ritardo nella pratica attuazione di questi indirizzi
Quali sono le principali criticità?
Primo, c'è difformità sui diversi territori nell'organizzazione e il funzionamento dei servizi, così come nella disponibilità di risorse umane e finanziarie e nella visione culturale e il pieno riconoscimento dei diritti di cittadinanza. Altra gravissima criticità è il permanere di pratiche coercitive. Sebbene le leggi impediscano l'utilizzo di queste pratiche, sappiamo che non solo nei servizi per la salute mentale (strutture e anche comunità) ma anche in altri luoghi della cura, come le Rsa e le strutture per anziani, viene praticata la contenzione fisica e quella meccanica e viene fatto un uso smodato e gravissimo di psicofarmaci e antidepressivi. Un'altra criticità è legata alla residenzialità pesante: fatichiamo ad andare verso il riconoscimento del curare e sostenere le persone nei loro contesti di vita, all'interno delle loro famiglie o in case dell'abitare e della vita, piuttosto che in luoghi i cui ritmi di vita sono dettati dalle regole della struttura. C'è ancora molto da fare per un pieno riconoscimento dei diritti umani delle persone con sofferenza mentale e delle famiglie. E poi permangono norme, come il codice penale, che obbligano chi ha una sofferenza mentale a percorsi diversi dagli altri cittadini: penso a chi commette reato, che viene dichiarato di norma incapace d'intendere e di volere, socialmente pericoloso e privato quindi della possibilità di partecipare al giusto processo e di difendersi. Infine, ci sono alcune scelte fatte dalle regioni, in aperta violazione della legge di riforma psichiatrica e del pensiero di Basaglia: scelte politiche che tradiscono il suo pensiero. Penso in particolare all'inaugurazione, un paio di giorni fa, di una struttura per persone con disturbi alimentari all'interno di un padiglione dell'ex manicomio romano Santa Maria della Pietà: questa scelta politica e organizzativa è gravissima e va a impattare in modo pesante sulla legge 180. E' una decisione inaccettabile: i luoghi della cura, anche residenziali, devono stare sul territorio, non relegati all'interno di vecchi manicomi. Occorre un intervento deciso nei confronti della regione Lazio: spero intervenga anche il ministero della Salute, perché non si porti avanti questo disegno inaccettabile. Gli ex manicomi non possono essere utilizzati come luogo di ricovero delle persone.
Cosa chiedete al governo, in occasione di questo anniversario?
Che si muova urgentemente nella direzione dello spirito che animava la legge 180 e metta in campo risorse finanziarie importanti, perché ovunque in Italia ci siano servizi per la salute mentale di comunità e prossimità, aperti 24h se 24 e 7 giorni su 7, capaci di affrontare le complessità della sofferenza mentale e le difficoltà delle persone e delle famiglie.
Chiara Ludovisi