Quando il caregiver invecchia: “Rinuncio a curarmi, per curare lei giorno e notte”

Marina Cometto ha 72 anni, sua figlia Claudia ne ha 48. Gravemente disabile a causa della sindrome di Rett, richiede continue attenzioni, di giorno e di notte. Marina ha diversi problemi di salute, ma “neanche per andare alle visite riesco a lasciarla: spesso mio marito mi accompagna e mi aspetta con lei nel parcheggio, nel furgone che abbiamo attrezzato”

Quando il caregiver invecchia: “Rinuncio a curarmi, per curare lei giorno e notte”

Marina Cometto vive a Torino, ha 72 anni e da 48 si dedica, ogni giorno e ogni ora, all'assistenza di sua figlia Claudia. “Non mi sento bene, né fisicamente né mentalmente. Però mi sento, come sempre, estremamente lucida”, afferma, quando le chiediamo se e come debba affrontare i problemi di salute che, come ci hanno già raccontato Francesco, Elena, Sara ed Elena, colpiscono particolarmente presto e particolarmente forte i caregiver familiari.
“Crescere gli altri miei due figli e aiutarli a trovare il loro posto nel mondo è stata una passeggiata, in confronto all’impegno e alla fatica fisica e mentale necessari per assicurare a Claudia una vita che sia più lunga possibile e migliore possibile. Ma la mia fatica viene appesantita dagli ostacoli burocratici e dalla poca elasticità mentale di chi gestisce la cosa pubblica: Asl, strutture sanitarie, servizi sociali, assessorati vari – denuncia Marina -. Claudia ormai ha 48 anni e a volte mi chiedo come siamo riusciti ad arrivare fin qui, strappandola dalle grinfie di una malattia progressiva e devastante, la Sindrome di Rett, che avrebbe potuto portarla a morte in età precoce”.

Un lavoro e un impegno costante, che Marina svolge con amore e dedizione totali, ma che l'hanno letteralmente logorata: “Molti dei miei problemi di salute sono da logorio e senza speranza di miglioramento – afferma - e non mi sono ancora informata sulla possibilità di farmi clonare – scherza - Quando sfrutti una macchina per 48 anni, senza mai darle l'opportunità di testare il proprio buon funzionamento, ma contando solo sulla resistenza, ovviamente i pezzi si logorano. Il problema motorio è il più importante: non posso più prendere un mezzo pubblico , o fare una passeggiata, perché gli sforzi fisici hanno compromesso la mia 'macchina' . Ogni tanto qualche illuminato dice: 'Genitori fatevi aiutare, delegate!' Ma a chi deleghiamo, se intorno a noi non c’è nessuno, a parte i pochi famigliari stretti che però hanno una famiglia e una vita loro ? A chi deleghiamo, se solo da pochi mesi abbiamo una persona, per poche ore a settimana, che ha imparato a voler bene a Claudia e a preoccuparsi per il suo bene? Come deleghiamo, se i medici non riescono a comprendere che ogni persona è diversa dalle altre e non si può prescrivere un trattamento uguale per tutti, a prescindere dalle sue limitazioni, condizioni genetiche , reazioni di fronte a presenze estranee o ambienti non conosciuti?”.

E così, curarsi non è facile, anzi a volte è impossibile: “Quando la mia situazione peggiora, faccio di tutto per organizzarmi, facendo combaciare impegni di più persone per avere qualcuno che mi accompagni e qualcuno che rimanga con Claudia a casa, per non farla sballottare troppo, specialmente nella stagione fredda. Spesso capita invece che sono obbligata a vestirla (con grande fatica) e portarla con me e mio marito: io vado alla visita e loro aspettano in macchina , un furgone attrezzato per farla salire con la sua carrozzina. In questi casi bisogna portare bombola di ossigeno, se servisse in caso di desaturazione , acqua gel da bere, che mio marito possa somministrarle, visto che deve essere idratata molto. E non dimentichiamo che mio marito ha 81 anni. Se invece le visite prevedono frequenti controlli, come è capitato recentemente, allora rinuncio: troppo tempo se ne va per prenotare, poi per fare gli esami. Tutto tempo rubato a Claudia. E poi ci sono i farmaci a cui devo rinunciare, perché possono togliere lucidità e io non posso permettermelo: devo essere pienamente lucida, per assistere al meglio Claudia. Quindi mi tendo i disturbi, o cerco di attenuarli con rimedi più naturali. Terapie fuori casa non posso seguirle: troppi impegni in casa per aiutare Claudia a peggiorare più lentamente, fisioterapia, logopedia, trattamenti shiatsu, massaggi e mobilizzazioni che aiutino la circolazione compromessa , darle da bere , da mangiare con i suoi tempi, capire i suoi disagi e cercare di portarle giovamento”. .

Tra i tanti problemi di Claudia, uno dei più gravi è quello dell'ossigenazione: “Da due anni ha bisogno di un ausilio notturno, come ventilazione non invasiva, visto il peggioramento della situazione respiratoria e polmonare. Claudia però non sopporta costrizioni e farle tenere la maschera per la ventilazione è un grande problema: bisogna controllarla , tenerle ferme le mani, se sposta la testa bisogna riposizionarla, per cui dopo l’assistenza diurna devo continuare a prestarle assistenza notturna ,perché altrimenti la sua vita sarebbe in pericolo: desatura anche a 79 senza ossigeno e, se io non fossi sempre pronta a controllare il suo sonno, potrebbe morire. Per assicurare la mia presenza anche durante il suo sonno, io però non posso usare correttamente la Cpap per le apnee , per cui a mia volta rischio infarto o ictus. Ma ho dovuto fare una scelta: la mia vita per la sua , cosi come ogni mamma avrebbe fatto . Ho richiesto alla mia Asl di avere assistenza infermieristica notturna per due o tre notti a settimana, così da poter riposare qualche notte come tutti gli esseri umani, ma mi hanno risposto negativamente. Ho inoltrato ricorso verso questo diniego e la Asl ha proposto la possibilità di avere i ricoveri di tregua , anche dieci giorni al mese , che prevedono di ricoverare la persona con disabilità presso una struttura al costo di 750 euro al giorno, per permettere al famigliare caregiver di ricaricarsi , dicono loro. A questa proposta ho risposto, il giorno dell’udienza davanti al Giudice, che le persone con disabilità anche intellettive e cognitive oltre che fisiche non si possono considerare come fossero cose da spostare a piacimento. E ho chiesto che quegli stessi soldi fossero impegnati per pagare una o due infermiere a domicilio qualche notte a settimana. Siamo in attesa della sentenza del Giudice. Io intanto mi sono informata: le cooperative di infermieri chiedono 220 euro a notte e non possono assicurare la presenza della stessa infermiera ,cosa che invece è necessaria in presenza di persone come mia figlia”.

La soluzione? “Vorrei essere ricca solo per poter assicurare a Claudia e a tutta la nostra famiglia la vita meno difficile possibile e avere tutto quello che ci serve; per poter pagare adeguatamente un’assistenza valida e duratura. E vorrei vedere riconosciuto il diritto di Claudia ad avere intorno a sé persone felici di occuparsi di lei e darle gli strumenti per farla sentire viva e presente, pur con i suoi limiti. A me, vorrei che fossero riconosciuti quei diritti di cui tanto si chiacchieri: i diritti di donna, di madre, di anziana. Ma visto che sono madre di una persona con disabilità complessa, non sono più considerata neppure essere umano: ricordo però che la deprivazione del sonno è una tortura. Perché il riposo è un diritto umano, così come la salute”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)