Psicoradio compie 15 anni: “Ancora tanto da fare per i diritti”
La radio di Bologna fatta dai pazienti psichiatrici, nata in collaborazione con Arte e Salute aps e il Dipartimento di salute mentale, dal 2006 ha formato oltre 50 redattori e ha mantenuto alto il dibattito sui temi e sul linguaggio da usare quando si parla di salute mentale. “Le parole plasmano la visione che ci facciamo del mondo”
“Noi vorremmo che questo nostro compleanno fosse un compleanno di resistenza. Tra pochi giorni sarà l’anniversario della legge Basaglia: come lo interpretiamo? Siamo stanchi di celebrare questa data come se la legge fosse attuata: ancora non è così. C’è ancora tanto da fare per i diritti delle persone con disagio psichico, la battaglia per avere la possibilità di essere diversi è ancora lunga. E in questo la radio può ancora fare tanto”. Era il 7 maggio del 2006 quando, nell’etere, andava in onda la prima trasmissione della Psicoradio, la radio della mente, nata in collaborazione con Arte e Salute aps e il Dipartimento di salute mentale dell’Azienda Usl di Bologna. Oggi, 15 anni dopo, Psicoradio non ha smesso di raccontare temi e questioni legate alla salute mentale da una prospettiva unica: quella dei pazienti psichiatrici, che fanno parte della redazione e in prima persona si occupano di confezionare le puntate.
“Per celebrare questo nostro quindicesimo compleanno stiamo raccogliendo spunti tra le persone in cura presso i Dipartimenti di salute mentale, per capire da loro cosa va cambiato e cosa servirebbe per migliorare la loro vita – afferma Cristina Lasagni, direttrice della Psicoradio –. Quest’ultimo è stato l’annus horribilis per noi: c’è stato il Covid, che ha sospeso tutte le attività in presenza, e molte radio indipendenti hanno chiuso. E allora vogliamo che questo sia un compleanno di rilancio, dopo un anno molto difficile”.
Le prime trasmissioni della Psicoradio, nel 2006, sono nate in una saletta della biblioteca del Centro di salute mentale di via Abba, a Bologna, dove alla redazione era stato concesso uno spazio in attesa di trovare una sede stabile. “Ricordo che c’era un grande tavolone dove stavamo tutti insieme, e in fondo una scrivania con i microfoni e la regia – continua Lasagni –. Quando registravamo, tutti dovevano ammutolirsi, perché lo spazio era lo stesso, ma era bello perché era un ambiente molto comunitario, e così tutti erano al corrente di quello che veniva fatto”. Dopo qualche mese, il Dipartimento di salute mentale ha messo a disposizione della Psicoradio tre stanze (dove tuttora ha sede la redazione) all’interno dell’ex manicomio di via Sant’Isaia. “Quando ho visto il posto per la prima volta, ancora doveva essere ristrutturato: le camere erano quelle dove stavano i degenti, c’erano ancora gli aloni delle teste sui muri – ricorda Lasagni –. Era molto forte. Poi è stato tutto messo a posto, intonacato, e per abbellirlo abbiamo appeso teli colorati provenienti da diverse parti del mondo”.
In quelle stanze, in quindici anni sono state formate più di 50 persone con disagio psichico, che in redazione hanno imparato a fare “un po’ di tutto”, come racconta Lasagni, dallo svolgimento di un’intervista al parlare al microfono, dall’uso di diversi programmi tecnici di montaggio alla scrittura delle news per il sito. “All’inizio ero spaesato, sentivo che non sapevo fare niente – racconta uno dei redattori storici, Lorenzo Albini, bolognese di 47 anni, che fa parte di Psicoradio dal 2014 –. Non conoscevo la radio, la vita di redazione, né alcuna tecnica di montaggio. Con il tempo, ho imparato tutto il necessario. Ci sono dei temi che mi hanno appassionato e che mi hanno fatto riflettere, soprattutto quello del sentire le voci e il modo di affrontarle. Magari uno ha una propria esperienza personale, che a Psicoradio si incontra con altre esperienze: conoscere altre persone, confrontarsi, ti fa mettere in discussione e ti allarga la mente”.
Uno dei punti di forza del progetto da sempre è stata la formazione, anche tra pari: “Soprattutto all’inizio chiediamo ai redattori di lavorare molto in coppia, in modo che quelli più anziani insegnino ai più giovani – spiega Cristina Lasagni –. Ricordo che, quando insegnavo radio all’Università di Lugano, per me era una grande soddisfazione utilizzare gli stessi materiali per i miei studenti e per i redattori della Psicoradio, che spesso vengono sottovalutati nelle loro capacità. Era un grande traguardo”. La professionalizzazione delle competenze, insomma, è un aspetto fondamentale del lavoro in redazione. “Noi ci crediamo: anche se una persona ha un disturbo psichico può comunque produrre contenuti interessanti e intelligenti, da una prospettiva diversa”. Proprio per questo, ben presto il progetto ha iniziato a collaborare con alcune radio – Radio Città del Capo, Radio Nettuno, Radio Città Fujiko – che hanno iniziato a trasmettere le puntate nel loro palinsesto. “Realizziamo un prodotto di qualità, con dei tempi di consegna stabiliti, che ha anche un valore commerciale. Si tratta di un lavoro professionale, non solo di supporto a persone con disagio psichico”.
Attualmente la redazione è composta da dieci persone. Con la pandemia, la loro attività non si è arrestata: le riunioni di redazione sono continuate in remoto, la registrazione delle puntate veniva realizzata con lo smartphone e il montaggio si faceva dal computer di casa. Sono nate così due nuove rubriche, le Finestre di Psicoradio e lo PSICOdizioRADIO, che dalla A alla Z racconta i termini usati (e abusati) sulla salute mentale: “La caratteristica della nostra radio è sempre stata quella di lavorare sul linguaggio – racconta Lasagni –. È una questione molto importante, non è solo un problema di politically correct. Le parole plasmano la visione che ci facciamo del mondo e possono gettare fardelli sulle persone”.
In questi 15 anni, l’attenzione dei media a temi legati al disagio psichico è aumentata, anche grazie a tanti giornalisti che si interrogano in maniera più profonda sulla questione, ma c’è comunque ancora molto da fare: “Quando si parla di salute mentale di solito si tratta di casi di cronaca nera, con contenuti che spesso hanno carattere sensazionalistico – afferma Lasagni –. In questo modo, il lettore non si rende conto che il numero di atti violenti compiuti da persone con una diagnosi non è maggiore, in percentuale, rispetto al resto della popolazione. La realtà dei dati dice che una persona con disagio psichico è più facile che sia vittima, piuttosto che carnefice. E poi si continuano ancora a usare termini inappropriati, soprattutto nei titoli e sottotitoli: non più di dieci giorni fa abbiamo letto un occhiello dove si parlava ancora di ‘raptus di follia’, laddove invece il gesto violento è frutto di un processo che ha molti stadi precedenti. Questo meccanismo permette di attribuire alla follia la responsabilità di una violenza”.
Nonostante qualche cambiamento e qualche attenzione in più, insomma, la strada da fare è ancora lunga. “Ho la sensazione che il miglioramento che vediamo sia una vernice molto sottile, da cui sotto traspare la permanenza di pregiudizi fortissimi – conclude Lasagni –. C’è ancora tanto bisogno di lottare. Ecco perché la Psicoradio ha ancora un ruolo imprescindibile”.