Paolo e Flavia, “guardo la vita con gli occhi di mio fratello"

Paolo ha 17 anni e ha la sindrome di Down. La sorella Flavia racconta l'"incontro" con la disabilità, "un mondo in cui si entra in punta di piedi", e la quotidianità in famiglia. "Gli sguardi delle persone fanno più male a noi che a lui"

Paolo e Flavia, “guardo la vita con gli occhi di mio fratello"

Paolo ha 17 anni e vive nelle Marche. Frequenta il Liceo Sportivo di Porto Sant’Elpidio (Fm) ed è  l’ultimo arrivato di una famiglia numerosa, che trae dall’unità e dalla condivisione la propria forza. A raccontare la sua storia e quella della sua famiglia è, la sorella maggiore, che da qualche anno lavora come educatrice alla Comunità di Capodarco di Fermo. “Quando Paolo è nato nel 2004 avevo dieci anni - racconta Flavia - e nonostante la sua sindrome fosse chiara fin da subito, non capivo bene la situazione che mi circondava. Quello che percepivo erano lo sconforto e lo smarrimento dei miei genitori, specialmente nei primi anni, quando per alcune complicanze congenite Paolo ha dovuto ricevere molte cure in vari ospedali”.

La “Guerra di Piero” e l’incontro con la disabilità

“Con i miei fratelli rappresentavamo per Paolo la routine quotidiana, ogni volta che lui mangiava, imboccato da mia madre, dovevamo cantare una canzone che puntualmente era “La guerra di Piero”, di Fabrizio De Andrè. Un brano non proprio allegro ma che lo rendeva felice e senza il quale lui non mangiava. Ecco se c’è un momento nel quale posso dire di aver capito di avere un fratello speciale è proprio quello, l’inizio per Paolo di un percorso delicato che lo ha visto avere difficoltà nel mangiare e camminare”. È sempre nel primo anno di vita di suo fratello che Flavia, appena undicenne, ha conosciuto quel mondo fatto di difficoltà e dolore che contribuirà a farle intraprendere un percorso di vita al fianco di chi ha più bisogno: “Ho avuto il primo vero incontro con la disabilità quando Paolo ha iniziato a fare le terapie riabilitative al Centro Montessori, accompagnando mia madre ed entrando in quella struttura mi sono resa conto di cosa significasse la sofferenza fisica e il dolore. Mi domando spesso se avrei scelto comunque questo percorso se non avessi avuto Paolo a casa, probabilmente no. La disabilità è un mondo in cui si entra in punta di piedi perché non si improvvisa nulla, è una condizione delicata in cui ti trovi davanti a delle persone ognuna con un proprio carattere, una consapevolezza e una storia diversa. Non nego che ci sono stati diversi momenti di sconforto in cui mi sono chiesta cosa potessi fare, specialmente di fronte a situazioni difficili. È un mondo che ho incontrato a dieci anni e non mi fa paura, anzi penso tanto al futuro, soprattutto con Paolo, anche se il momento storico che viviamo non ci permette di guardare troppo in là”.

“Signora, ma cosa guardi!?”

La "vera grande ricchezza" di Paolo sono i suoi fratelli, racconta Flavia. “Noi non ci siamo mai fatti problemi a coinvolgerlo nelle nostre vite, portandolo al mare, facendolo uscire coi nostri amici e gli sguardi delle persone, molto spesso, fanno più male a noi che a lui. Una volta, ad esempio, eravamo al mare ed entrambi in acqua, io avevo notato che una signora stava fissando Paolo da un po' ma sono rimasta zitta nonostante questa cosa mi infastidisse molto. Lui come se niente fosse si è girato verso di lei e se ne è uscito con: ‘Ah signora, ma che me guardi!?’ Ecco lui è così, ha un suo mondo che vive con estrema leggerezza”. “Paolo è il collante della nostra famiglia, essendo il più piccolo abbiamo un senso di protezione forte verso di lui che contribuisce a tenerci molto uniti. Poi lui è molto geloso dei suoi fratelli e sorelle ed è un adolescente a tutti gli effetti, con sogni e aspettative della sua età. Dice di voler andar via di casa e vorrebbe laurearsi e fare una grande festa in piscina”. Paolo ha accolto le limitazioni della pandemia in maniera positiva, “anche se – racconta sorridendo Flavia – nei primi giorni cercava qualcuno che lo accompagnasse al Governo a protestare contro le misure anticovid. Ha poi capito l’importanza di portare la mascherina e di rispettare le regole, anche se gli manca un po' il contatto umano della scuola”.

Petrarca e Dante contro lo stigma

Nonostante oggi in Italia le persone con la Sindrome di Down (secondo dati Aipd) siano circa 38 mila, con una qualità di vita sempre più alta e tante aspettative sociali, è ancora lunga la strada per eliminare i pregiudizi. Ricetta per cambiare un certo tipo di cultura è anche dare l’opportunità alle persone con sindrome di Down di prendere coscienza di sé stessi, poter conoscere e riconoscere le proprie caratteristiche e specificità. Una conquista che Paolo ha già compiuto: “Lui è consapevole della sua sindrome – sottolinea Flavia - sa di avere un insegnante di sostegno e un’educatrice che lo aiutano a capire meglio le materie scolastiche. Noi come famiglia non ci saremmo mai aspettati che studiasse Petrarca, Dante e la letteratura con un certo interesse. Spesso c’è una sorta di stigma e si pensa che chi ha la sindrome di Down più di tanto non riesca ad apprendere. In questo incide molto il suo insegnante di sostegno, al quale Paolo è molto legato, che lo mette nelle condizioni di apprendere tante piccole ma fondamentali cose”.

Famiglia=ricchezza

Accanto ai sorrisi e alle conquiste quotidiane non mancano però le difficoltà per Paolo e la sua famiglia, che come tante altre si trovano a dover fare i conti con la complessità della Sindrome. “Non sono tutte rose e fiori, le difficoltà ci sono state e ne abbiamo avuto il segno tangibile fin da piccoli quando l’altro nostro fratello, che ha due anni più di Paolo, riusciva al contrario ad avere la sua autonomia di movimenti e comportamenti. Fortunatamente non abbiamo mai avuto problemi con altre persone, Paolo è stato sempre rispettato a scuola e in tutti i contesti sociali che ha frequentato anche se poi, effettivamente, la sua vera ricchezza siamo noi fratelli”.
Ci sono poi le difficoltà per i genitori nel trovare i canali giusti ai quali affidare la crescita dei propri figli: “Una famiglia parte da zero e deve affrontare il tutto-spiega Flavia-, non è scontato ottenere il percorso speciale che una persona con questa condizione ha il diritto di avere. Anzi molto spesso è un percorso a ostacoli, purtroppo c’è carenza di insegnanti di sostegno e ogni anno le famiglie devono fare una piccola battaglia per mettere a disposizione dei figli questa figura fondamentale. Paolo, come tanti altri nella sua condizione, ha un bisogno costante di essere stimolato e per favorire l’autonomia di questi ragazzi credo siano fondamentali le persone che incontrano nel loro percorso di vita. Un professionista che sa leggere i bisogni della persona e si sappia confrontare con la famiglia è una figura importante. Mio fratello ad esempio legge, scrive, si appassiona su determinati temi, ha un programma di obiettivi minimi ma quel che fa a scuola lo fa bene”.

L'amore per le fiction e il "sogno" della patente

Flavia racconta la quotidianità di suo fratello: “Paolo oggi vive molto alla giornata come è giusto che sia per ragazzi della sua età, quindi sogni, idee e prospettive al momento non sono definiti a parte il “sogno” di prendere la patente che ogni tanto tira fuori. Frequentando il Liceo Sportivo, che annovera diverse discipline, ha potuto svolgere attività come scherma, tennis e nuoto. Lui poi va matto per le fiction di Rai 1, in particolare la serie “Sorelle” e la sua location Matera, tant’è che si era talmente appassionato che i miei genitori hanno dovuto portarlo a visitarla. Ora il covid ha temporaneamente interrotto il suo ‘turismo da fiction’ ed è in stand by la meta Gubbio, sede di Don Matteo. È anche un metodico nella ricerca su internet – racconta Flavia- quindi si informa e documenta sui temi della fiction che segue e anche su dei particolari”.

Paolo grazie a Flavia ha poi conosciuto la realtà della Comunità di Capodarco, una famiglia allargata nella quale è entrato in diverse occasioni regalando dei momenti di simpatia, come quando dopo una festa di carnevale ha detto che “da grande vuole spingere le carrozzine” oppure quando ha chiesto a una persona disabile se la carrozzina doveva usarla sempre.

Per riassumere la Sindrome di Down e i suoi variegati mondi uno degli esempi più originali e veri è quello di uno zaino, come simbolo del peso che queste persone portano ogni giorno sulle spalle. Un concetto contenuto nel libro “Lo Zaino di Emma”, in cui l’autrice Martina Fuga racconta l’esperienza di sua figlia Emma che, come Paolo, porta tutti i giorni uno zainetto sulle spalle che le fa fare più fatica degli altri a parlare, a camminare, a imparare. Anche Paolo sa che quello zaino non potrà mai toglierselo, ma può alleggerirlo ogni tanto nei pezzi di strada che condivide con la famiglia. “In fondo è così – conclude Flavia, anche se ognuno ha la propria storia e le proprie peculiarità. Chi ha la Sindrome di Down ha enormi potenzialità e va messo nelle condizioni di esprimerle appieno. Sono persone che ti insegnano l’amore, a saperti accontentare, a non dare per scontate anche le piccole cose che si devono fare a tutti i costi anche se richiedono difficoltà e impegno. Ti insegnano a guardare la vita coi loro occhi. Paolo è felice così con il suo semplice quotidiano, che siano le fiction o la sua famiglia che rientra a casa e alla quale racconta la sua giornata. Credo sia un messaggio importante in una società in cui non ci si accontenta mai e si vuole sempre troppo”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)