Pandemia e servizi sociali, “così cambia il ruolo dell'operatore nei contesti vulnerabili”

Riflessione di Ivo Lizzola, docente di Pedagogia speciale presso l'Università di Bergamo, tra i relatori del prossimo convegno Erickson (21-22 giugno): “Si è creata una nuova vicinanza tra utenti e operatori, nella comunanza dell'esposizione al dolore. Chi ha attraversato questa prova, non potrà tornare a forme di servizio erogatore”

Pandemia e servizi sociali, “così cambia il ruolo dell'operatore nei contesti vulnerabili”

La pandemia ha trasformato la presenza, il ruolo e la percezione dell'operatore sociale all'interno dei contesti vulnerabili. E questa trasformazione sarà, probabilmente, radicale e definitiva. Perché “chi è rimasto presente, non potrà tornare a forme di servizio erogatore, ma vorrà che il servizio si trasformi, alla luce della nuova relazione che si è svelata nell'attraversamento della prova”. E' quanto è stato “svelato” a Ivo Lizzola, docente di Pedagogia sociale e di Pedagogia della marginalità e della devianza presso l'Università degli Studi di Bergamo, dai tanti operatori e coordinatori di servizi incontrati in questi mesi. In particolare, da chi lavora all'interno del sistema penale minorile, o delle strutture residenziali per persone con disabilità: due contesti assai differenti e distanti, ma accomunati da una “vulnerabilità” che viene accolta e accompagnata dagli operatori sociali. E proprio questi ultimi riferiscono di aver vissuto un'esperienza nuova, potremmo dire illuminante, nei mesi più duri della pandemia, soprattutto in un territorio, come quello della Lombardia e del bergamasco in particolare, che ha riportato gravissime ferite.

Questa esperienza, raccontata dagli operatori dei “vulnerabili contesti”, Ivo Lizzola la porterà al terzo Convegno internazionale Erickson “Sono adulto”, in programma (online) per il 21 e 22 maggio.

La lezione della pandemia, nel sistema penale minorile

“Gli operatori sociali sono oggi impegnati non solo nel rilancio dei progetti e nella riorganizzazione dei servizi sul territorio, ma soprattutto in un profondo ripensamento dell'avventura umana all'interno di questi servizi – ci spiega Ivo Lizzola – Un ripensamento che ha strettamente a che fare con quell'essere adulto che è il tema del convegno Erickson”. La riflessione è frutto dell'incontro con operatori degli istituti penali per minorenni e delle comunità per la messa alla prova, di cui Lizzola ha raccolto numerose testimonianza a partire dall'autunno scorso. “Gli operatori del sistema penale minorile italiano ci dicono una cosa molto interessante – racconta – : quando la sofferenza, la prova, l'incertezza, la paura arrivano, i ragazzi cercano gli adulti. In questi luoghi ci si è cercati molto, anche perché altri adulti non si potevano trovare, dal momento che le visite erano interrotte. Questi ragazzi che hanno visto gli operatori addolorati per i lutti, provati dalla pandemia, sono stati colpiti dal fatto che questi adulti fossero comunque lì, in piedi, anche addolorati, con tutta l'evidenza della loro ferita. Questa nuova vicinanza tra le generazioni, che hanno scoperto una comunanza nell'esposizione al rischio e alla vulnerabilità, ha fatto però anche risaltare la differenza generazionale: gli adulti operatori erano lì e li accompagnavano. Nella dinamica solita, al contrario, gli operatori e gli ospiti sono divisi dal sottile confine che vede gli uni portatori di competenza, forza, affidabilità, gli altri portatori di inaffidabilità, bisogno, fragilità. Durante la pandemia questo limitare si è ridisegnato – riferisce ancora Lizzola - L'adulto è stato ed è colui che non si è sottratto, anche se era evidente il suo stesso dolore. L'adulto è quello che non si sottrae, che quando si cerca c'è. Si è creata così una nuova alleanza interessante, all'interno di queste comunità: ragazzi che scontavano una pena, connettevano per la prima volta l'esperienza della loro pena con una condizione di pena esistenziale di tanti, in cui molti si trovavano pur senza esserselo meritato. Una pena non imputabile, che non nasceva da reato: una condizione di pena diffusa. E questo ha ricaricato di senso la messa alla prova”

La lezione della pandemia nelle comunità per disabili

Altrettanto significativa e importante è la trasformazione che hanno vissuto gli operatori delle comunità per adulti con disabilità o disagio psichico. “Ho incontrato gli operatori che sono rimasti nelle situazioni residenziali anche durante il lockdown, perché hanno voluto e potuto farlo, spesso rinunciando anche a tornare a casa, per non mettere a rischio i propri familiari – riferisce Lizzola – Altri non sono rimasti: non hanno voluto, o non hanno potuto, molti hanno avuto ferite profonde e lutti in famiglia. Chi ha potuto e voluto rimanere, mi ha svelato una grande scoperta: si sono trovati ad essere accompagnati dalle persone che avrebbero dovuto accompagnare. 'Mi hanno insegnato il valore del preparare con calma la colazione, del guardare con calma le piantine', ha riferito qualcuno. Gli operatori hanno imparato a far piano, a scoprire nella vita quotidiana che si era ritualizzata il luogo in cui potevamo appoggiare la loro fatica e sofferenza. Gli adulti con disabilità sono esperti di questo, abitano dentro una quotidianità ritualizzata in cui ogni incontro è sempre nuovo. 'Erano loro gli esperti, non noi”', mi hanno raccontato questi operatori. Così, il rapporto tra educatori e ospiti è cambiato, in un ribaltamento e una scoperta della reciprocità nell'asimmetria. Chi vive nella sofferenza da tempo e ci ha dovuto 'trafficare' è diventato capace di svelare i modi in cui possiamo tutti negoziare con il limite e la sofferenza”.

Cosa accadrà adesso? Queste “scoperte” potrebbero e dovrebbero cambiare l'identità dell'operatore, il suo modo di entrare in relazione e di vivere il sevizio? “Adesso è il momento della grande sofferenza a cui abbiamo resistito per mesi – spiega Lizzola - Questo è il momento della fatica degli insegnanti e degli operatori sociali. Dobbiamo porci la questione di riuscire ad accompagnarci bene nell'elaborare tutto questo. Prima dovevamo stare in piedi accanto alle persone più fragili, ora dobbiamo riscoprire queste realtà come realtà comunitarie, di incontro umano, di ricerca e riflessione anche su di noi come operatori. Quelli che sono stati capaci di attraversare questa prova senza fare defezione, non penso che riusciranno a tornare alle forme di un servizio meramente, ma porteranno in sé istanze che entreranno in conflitto con il sistema delle procedure e della burocrazia del servizio. Ci sarà un effetto verità, questo mi aspetto: una nuova istanza di ricerca, di nuova progettualità, di sperimentazione, di fronte alle diseguaglianze ancor più profonde che la pandemia ha prodotto. Ieri pomeriggio ho avuto un incontro con gli insegnanti di Sondrio – racconta Lizzola - Una delle questioni che si pongono è come gestire le storie di sofferenza che arrivano in classe, più numerose e più forti di prima. Gli insegnanti sanno che questo durerà per anni e si domandano come debbano prepararsi per reggere il confronto con la fatica per più tempo e di più persone. Che si pongano la questione è fondamentale: si è aperta una ricerca, ora sarà importante indicare una direzione, per non lasciare questa domanda senza risposta”.

Chiara Ludovisi

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)