Le mamme in Rsa: la rabbia e il dolore dei figli, che ancora aspettano di rivederle
La riapertura è stata annunciata con una circolare del 30 novembre 2020, ma “è stata una grande balla”: le strutture sono ancora chiuse, sebbene gli ospiti siano tutti vaccinati. E i comitati dei familiari chiedono giustizia: “Aspettiamo direttive urgenti”. Il 9 maggio porteranno rose alle mamme. O sporgeranno denuncia
Dario Francolino (Comitato Orsan) ha potuto rivedere sua mamma solo qualche minuto a febbraio, in pronto soccorso, dove era stata portata in ambulanza dopo una caduta che le ha fratturato il femore. “Ci siamo abbracciati di nascosto, dopo un anno che non la vedevo. Ora ci vediamo solo attraverso il plexiglass, che lei cerca di bucare”. La mamma di Alessandro Azzoni (associazione Felicita) ha avuto il Covid a marzo 2020 ma l'ha superato, in quel Pio Albergo Trivulzio in cui tanti hanno trovato la morte. Non ha mai potuto vederla, se non qualche volta a settembre, all'aperto: quanto gli è bastato per capire che non è più la stessa, che quasi non lo riconosce più. Poi, di nuovo, la chiusura, la distanza, il dubbio che possa finire così. Giuseppe Panero (associazione Felicita), prima della pandemia, entrava due volte al giorno nella stanza di sua mamma, nella Rsa che la ospita dal 2017: pranzo e cena, per aiutarla a mangiare, dopo che l'ictus le ha provocato gravi danni fisici “ma non le ha tolto la lucidità. E questo – assicura – rende tutto più difficile”. Non la vede dal marzo 2020, solo qualche volta, a settembre, a quattro metri di distanza e con due inferriate nel mezzo. Poi di nuovo tutto chiuso, lui a casa, lei nella sua stanza, a “spegnersi velocemente. Ha perso quasi 30 chili in un anno”.
La “balla” della circolare e l'ordinanza nelle “prossime ore”
Sono storie diverse ma simili, queste che Redattore Sociale vuole raccontare, alla vigilia della Festa della Mamma. Storia di chi la mamma non può vederla, proprio nel periodo più difficile, in cui dovrebbe e vorrebbe prendersi cura di lei. Sì, perché niente è cambiato, i cancelli delle Rsa sono ancora chiusi, a dispetto della circolare del ministero del 30 novembre 2020, “Disposizioni per l’accesso dei visitatori a strutture residenziali socioassistenziali, sociosanitarie e hospice e indicazioni per i nuovi ingressi nell’evenienza di assistiti positivi nella struttura”. Insomma, “una grande balla, che mi indigna come cittadino – commenta Giuseppe Panero, familiare socio del comitato Felicita – Dopo quella circolare, quasi nessuna struttura ha aperto alle visite, alcune si sono chiuse addirittura di più. Ma nessuno si è curato di controllare e verificare che fosse recepita. Perché non far entrare i familiari, quando gli ospiti della Rsa sono ormai tutti vaccinati con doppia dose? Forse perché noi familiari siamo anche controllo? Forse si teme che i nostri occhi vedano cose che è meglio tenere nascoste?”.
Due giorni fa, di nuovo, la promessa e l'impegno di Sandra Zampa, consulente del ministro della Salute Roberto Speranza: “Sarà sicuramente un’ordinanza che arriverà nel giro delle prossime ore il provvedimento che sbloccherà il nodo della riapertura delle Rsa, assicurando la possibilità di visita da parte dei familiari, nel rispetto delle norme di sicurezza come è oggi possibile solo in pochissime strutture. Il ministero ha scelto di predisporre un’ordinanza su cui si sta lavorando in queste ore, affinché entri in vigore immediatamente”.
Crederci o non crederci? “Ci fidiamo di quanto promesso e annunciato – riferisce Dario Francolini, che circa un mese fa ha dato vita al comitato di familiari Orsan -. Le interminabili ore di attesa per il varo del provvedimento stanno trascorrendo e siamo certi che oggi dalla cabina di regia arrivi la tanto attesa buona notizia. Confidiamo nel senso di urgenza delle istituzioni politiche: ci sono 2,5 milioni di ospiti e familiari in attesa di notizie. Ma siamo anche preoccupati perché dalla promessa che ad ore sarebbe arrivato il provvedimento, non siamo stati contattati da nessuno e dal ministero tutto tace. Viene il dubbio che non vogliano farci entrare, che ci sia qualcosa da nascondere, che non dobbiamo vedere. Ma intanto, fiduciosi, stiamo facendo i tamponi rapidi e comprando i regalini da portare finalmente, dopo 15 mesi ai nostri cari. Soprattutto alle mamme, che tutti festeggeremo domenica prossima”. Proprio per la Festa della Mamma, Orsan ha organizzato una manifestazione simbolica, invitando tutti i figli a “portare, domenica 9 alle 9 di mattina, 9 rose rosse davanti alle Rsa. Se non ci faranno entrare – ci spiega – andremo direttamente in questura, a sporgere denuncia. Ma noi tutti preferiremmo consegnare le rose alle nostre mamme e poi tornare a casa, più felici dopo averle finalmente riabbracciate”.
Quell'abbraccio rubato in pronto soccorso
La mamma di Dario Francolino, fondatore e presidente del comitato di familiari Orsan, vive in una Rsa di nova Milanese da tre anni: nel 2008 le è stata diagnosticata una grave demenza, ma “ci riconosce, o almeno ci riconosceva, fino a qualche tempo fa – ci racconta Francolino – Il 22 febbraio scorso è caduta in struttura e si è rotta il femore. Sono riuscito a incontrarla al pronto soccorso, entrando con un codice bianco datomi pietosamente da un operatore, che si era reso conto di quanto mia mamma fosse dolorante, oltre che disorientata. Sono stato con lei in quei minuti e l'ho abbracciata, esattamente dopo un anno dalla chiusura”. Da marzo 2020 infatti non poteva più vederla, “sebbene lei abbia avuto il Covid, asintomatico, e la doppia dose di vaccino. E nonostante, questo, è sottoposta a misure di quarantena, se entra in contatto con un positivo: è successo a Pasqua, stava chiusa nella sua stanza e urlava 'Fatemi uscire!'. Da mesi la vedo solo attraverso il plexiglass e anche questo per lei è incomprensibile e intollerabile: cerca di bucarlo, mi chiede di aprirlo, poi si arrabbia, dice che ha male alle gambe e chiede di tornare in stanza. E dobbiamo considerarci fortunati, perché solo due strutture su dieci si sono dotate di pareti in plexiglass: le più ricche, presumo. D'altra parte, paghiamo una retta di 2.700 euro, che non dovremmo neanche pagare, visto che l'Alzheimer è esentato dalla compartecipazione”. Il problema è che alternative non ce ne sono: “Mamma in Rsa ha trovato persone capaci di prendersi cura di lei, non saprei dove altro portarla. Certo, ci siamo resi conto che, soprattutto con la diminuzione del personale, 'saccheggiato' da ospedali e cliniche, l'obiettivo principale è tenere queste persone in vita. Ma da oltre un anno queste persone sono abbandonate a se stesse, vittime di una dimenticanza collettiva e di un caos istituzionale che hanno generato una segregazione di fatto, che adesso deve finire. O dobbiamo portare Fedez a cantare davanti alle Rsa, perché i nostri cari finiscano in prima pagina?”.
“Mia mamma non mi riconosce più. Io devo starle vicino”
La mamma di Alessandro Azzoni, presidente del comitato di familiari Felicita, si è ammalata di Covid nel marzo 2020, al Pio Albergo Trivulzio: “Non ho potuto vederla fino a settembre – ci racconta Azzoni – quando ci hanno permesso di incontrarci in giardino. La malattia e due mesi di ospedale l'avevano cambiata tanto, ma ancora mi riconosceva. Oggi, dopo altri otto mesi di isolamento, dovuti alla seconda ondata, non dà più segno di riconoscermi. Fino a marzo 2020 l'Alzheimer le permetteva ancora di essere felice, uscire, andare a mangiare un gelato. Ora è in stato catatonico, mangia con la peg e io non posso essere accanto a lei: non la vedo da settembre, se non attraverso una videochiamata settimanale che per lei non ha alcun senso. Mamma avrebbe bisogno di stimolazioni che comportano la fisicità, il contatto. Le cure in ospedale le hanno salvato la vita, ma quella che vive adesso fatico a chiamarla vita. E' spaesata, persa e so che quello che è perduto è perduto. Io devo poterle stare vicino, per farle sentire il mio affetto e darle coraggio, perché reagisca e resista. In questa completa solitudine in cui vive da oltre un anno, non penso che potrà vivere ancora a lungo”.
Azzoni, con il comitato Felicita nato per iniziativa dei familiari del Pio Albergo Trivulzio, si sta dando da fare: “Facciamo sentire la nostra voce, incontriamo i prefetti, chiediamo che sia applicata la legge, la circolare di novembre. Ora ci aspettiamo che già dalla prossima settimana siano diffusi protocolli obbligatori per tutte le Rsa. Chiediamo l'apertura, subito, senza esitare ancora. Vogliamo che riprendano le visite in presenza, che ci sia permesso di sederci a un tavolino, di prendere per mano i nostri cari: in sicurezza, naturalmente. Si può fare, il Trentino ha dato l'esempio e i contagi non sono aumentati nelle Rsa di quella regione. Aprire è necessario e urgente: per i nostri cari, è già troppo tardi”.
“Mamma ha perso 30 chili in un anno. Si sta spegnendo?”
La mamma di Giuseppe Panero è in una Rsa di Marene, in provincia di Cuneo, dal 2017, in seguito a un ictus. “Fino a prima della pandemia, andavo a fare assistenza ai pasti, alle 11 e alle 17. Poi è arrivata la pandemia e con questa la chiusura delle strutture, che ha creato grandi squilibri. Mia mamma ha tanti problemi fisici, non cammina ma è lucida. E questo aggrava molto la situazione e la sofferenza. L'ultima volta che sono entrato nella struttura era il 5 marzo 2020. Dopo, l'ho sentita al telefono due volte alla settimana, fino a giugno, quando ci hanno permesso gli incontri in giardino. O meglio, lei in giardino, io in strada, con due inferiate di metallo in mezzo, noi due a distanza di 4-5 metri, sorvegliato da un'educatrice. Mia madre ci sente poco e dovevamo urlare, anche per darle informazioni private come quelle sul suo conto bancario, che sono io a gestire. Dopo Natale, per un breve periodo, abbiamo iniziato a vederci dentro la struttura, una volta a settimana, attraverso una parete di plexiglass. Poi, a febbraio, di nuovo chiusura totale: non ho più avuto la possibilità di vederla”. Un isolamento e una distanza che fanno male, in tutti i sensi: “In un anno mia mamma ha perso quasi 30 chili, passando da 72 a 45. Per un anno, da febbraio 2020 a febbraio 2021, non le sono stati tagliati i capelli, perché alla parrucchiera non era permesso entrare. Questa segregazione sta producendo in lei un cedimento psicofisico: si lamenta di essere poco seguita nel pasto, nei sevizi di cura. E non ha mai nessuno che parli con lei. Ho chiesto un'ispezione della commissione di vigilanza, sono in attesa dell'esito. Intanto, la struttura mi diffida, mi dice di portarla via, mia madre, se lì non mi piace. Io ci penso, lo vorrei, ma non è possibile: un ragazzo, settimane fa, ha portato via sua madre, se l'è presa in casa, con una badante: la settimana scorsa l'ha riportata in struttura: non ce la faceva più, rischiava anche di perdere il lavoro. Come parenti, noi siamo stati lasciati soli da tutti in questa battaglia, che solo in pochi stiamo combattendo, perché i più hanno paura. Perché non ci fanno entrare? I nostri cari sono tutti vaccinati. Il dubbio è che non vogliano farci entrare, perché noi siamo anche occhi e orecchie, siamo controllo. Ma io ho un pensiero fisso: mia madre si sta spegnendo, il suo smarrimento è incolmabile, lei chiede di me e io non posso esserci. Ha la voce flebile, non la sento quasi più. Ha bisogno di un contatto, una carezza, un abbraccio. Perché ancora le viene negato?”.
Chiara Ludovisi