Inserimento lavorativo di giovani con grave forma di autismo? Al centro San Giuseppe si può
Inaugurata la struttura di San Bonico, nel Piacentino, dove nove ragazzi autistici tra i 19 e i 21 anni imparano un mestiere affiancati da operai e artigiani. La presidente Ballerini: “La svolta è di inserire questi ragazzi, che hanno disturbi gravi, in un contesto lavorativo vero: non si tratta di mansioni palliative né di simulazioni, i prodotti vanno realmente consegnati alla grande distribuzione”
Dalla realizzazione di spugne colorate al lavoro nei campi, fianco a fianco con operai, artigiani e educatori, per gestire insieme le commesse provenienti da varie aziende del territorio. È il modo con cui nove ragazzi con grave forma di autismo, tra i 19 e 21 anni – 5 in formazione e 4 impegnati in tirocini – imparano un mestiere.
A portare avanti questo progetto pilota di inserimento socio-lavorativo è il centro sociale “San Giuseppe”, attivo da giugno 2020 a San Bonico, in provincia di Piacenza, e inaugurato pochi giorni fa.
“Con l’associazione Oltre l’autismo, formata da genitori di ragazzi autistici, è dal 2003 che ci occupiamo di supportare i giovani con questo disturbo – racconta Maria Grazia Ballerini, presidente dell’associazione e del centro –. In tempo di lockdown, però, abbiamo sentito l’esigenza di riorganizzare la nostra attività in maniera più strutturata e dare maggiore continuità ai nostri progetti: in quel momento, incontrarsi era diventata una necessità di vita. In più i ragazzi crescono, non restano bambini e diventano giovani adulti, con bisogni più complessi: da un giorno all’altro hanno visto chiudere la scuola e non avere nessuno sbocco davanti. Si sono chiesti allora: cosa facciamo adesso noi da grandi?”
Il centro San Giuseppe nasce proprio per trovare una risposta a questo interrogativo. Lo spazio di un ex capannone è stato ristrutturato e reso un luogo caldo, accogliente, dignitoso, pensato ad hoc per le attività che vi si svolgono. I ragazzi arrivano il mattino alle 9, c’è un momento di accoglienza, dopodiché timbrano il cartellino e, come ogni altro lavoratore, si mettono all’opera. “Realizzano spugne, fanno confezionamento, assemblaggio, cablaggio – spiega Ballerini –. La svolta è di inserire questi ragazzi, che hanno disturbi gravi, in un contesto lavorativo vero: non si tratta di mansioni palliative né di simulazioni, i prodotti vanno realmente consegnati alla grande distribuzione. Anche se, ovviamente, ogni ragazzo lavora con i suoi tempi”.
Il buon funzionamento del progetto è possibile grazie all’affiancamento di due artigiani, alcuni volontari e, naturalmente, gli educatori: “La collaborazione con artigiani e operai è fondamentale per sviluppare nuove competenze e trasmettere conoscenze e abilità che andrebbero perdute – continua Ballerini –. Diverse aziende del territorio poi ci supportano dandoci commesse per incrementare la produzione e offrire vere esperienze lavorative a ragazzi che hanno terminato il percorso scolastico. Tra le imprese con cui collaboriamo ci sono Zeca, Tualba, Euroacque e Nordmeccanica”.
Fondamentale è la divisione degli spazi del centro San Giuseppe: c’è il punto accoglienza con divani e poltrone relax, dove leggere il giornale e ascoltare la musica, i tavoli dove si organizzano attività educative, la macchinetta del caffè e tavolini per il break, e a breve nascerà anche una postazione di computer. E poi, naturalmente, ci sono gli ambienti di lavoro, divisi in gruppi di tavoli con postazioni fisse. “Quando il ragazzo arriva, visivamente conosce che lavoro corrisponde a quale tavolo, e sa già dove si deve posizionare”, racconta Ballerini. Alle 12, poi, la giornata lavorativa è finita: i ragazzi pranzano tutti insieme e poi nel pomeriggio vengono proposte diverse attività, tra cui sport, il laboratorio di falegnameria, o l’attività agricola nei campi. Alle 16.30, infine, tornano a casa, a riposare per la prossima giornata di lavoro.
Alice Facchini