In Italia oltre mille studenti detenuti: crescono le donne
I dati della della Conferenza dei poli penitenziari a tre anni di vita: tra gli anni accademici 2018-19 e 2020-21 crescono iscritti (+128,6% per le donne) e atenei aderenti. All'Università di Torino, tra i fondatori, 60 studenti. Il 7 maggio seminario tra bilanci e prospettive. "Trasformare la detenzione da tempo sospeso a fecondo"
Sono 1.034 gli studenti detenuti iscritti (di cui 64 donne) all’università nell’anno accademico in corso: 109 si trovano in regime di esecuzione penale esterna, oltre la metà (549) scontano una pena in carcere in circuiti di media sicurezza, 355 in alta sicurezza e 21 (2,1%) in regime 41bis. Le studentesse (in crescita) rappresentano il 6,2% del totale degli studenti. A ricordare i dati la Conferenza nazionale universitaria dei poli penitenziari (Cnupp), istituita dalla Conferenza dei rettori delle università italiane nel 2018, per coordinare le attività di formazione universitaria in carcere. Un bilancio a 3 anni di vita - che segnano anche la conclusione del mandato del primo consiglio nazionale, presieduto da Franco Prina, delegato per il Polo Universitario Penitenziario del Rettore dell’Università di Torino - e gli impegni per il futuro saranno l’oggetto venerdì 7 maggio alle ore 15 del seminario “Il diritto agli studi universitari in carcere: tre anni di esperienza della cnupp e prospettive”.
“L’Università di Torino è tra i fondatori della Conferenza, essendo stato il primo Ateneo in Italia a costituire un Polo Universitario in carcere a partire dagli anni 90”, spiegano i promotori: 60 i detenuti e le detenute iscritti a UniTo, nella Casa circondariale Lorusso e Cutugno e nella Casa di Reclusione Rodolfo Morandi di Saluzzo (14).
Degli iscritti 11 stanno completando gli studi dopo aver lasciato il carcere e aver ottenuto misure alternative. Stanno seguendo corsi di studio triennali (52) e magistrali (8), afferenti ai dipartimenti di Culture, politica e società (36), Giurisprudenza (18), Matematica, Psicologia, Dams. E nell’ultimo anno si sono laureati 5 studenti.
Nel primo triennio di vita della Conferenza dei poli penitenziari le attività tutti i numeri sono in crescita: gli atenei aderenti con studenti attivi sono passati da 27 nel 2018-19 a 32 nel 2020-21 (+18,5%); gli istituti penitenziari in cui operano i Poli Universitari Penitenziari da 70 a 82 (+17,1%) e il numero di studenti iscritti da 796 a 1034 (incremento +29,9%). “Tra questi dati spicca il notevole incremento della componente femminile, che passa da appena 28 studentesse nel 2018-19 a 64 nel 2020-21, quindi un incremento del +128,6%". Sono impegnati oggi 196 dipartimenti universitari, che corrispondono al 37% dei dipartimenti presenti nei 32 atenei coinvolti.
E ancora: 896 sono gli studenti iscritti a corsi di laurea triennale (87%), mentre 137 frequentano corsi di laurea magistrale (13%). Le aree disciplinari più frequentate dagli studenti in regime di detenzione sono quella politico-sociale (25,4%) seguita dall’area artistico-letteraria (18,6%), area giuridica (15,1%), area agronomico-ambientale (13,7%), area psico-pedagogica (7,4%), area storico-filosofica (7,3%), area economica (6,5%) e altre aree (6%).
In occasione della conclusione del primo triennio di vita gli obiettivi della Conferenza per il prossimo futuro sono quelli di "migliorare la qualità della formazione delle persone detenute impegnate in percorsi di studio universitario anche attraverso modelli didattici innovativi (è in corso una prima sperimentazione per adottare strumenti per la didattica a distanza anche oltre la pandemia), di migliorare le performances degli studenti (diminuzione degli abbandoni, incremento degli esami sostenuti e dei laureati), di lavorare al raccordo tra istruzione secondaria superiore all’interno degli Istituti e Università". Impegni sono inoltre previsti sul fronte della formazione del personale dell’Amministrazione Penitenziaria (polizia penitenziaria e operatori dell’area trattamentale), nonché sullo sviluppo di attività di ricerca sulle problematiche carcerarie.
"Percorsi sinergici con l’Amministrazione Penitenziaria - spiegano i promotori - possono consentire di trasformare la detenzione da un tempo “sospeso” ad un periodo fecondo, in cui il cittadino condannato possa intraprendere, se lo desidera, percorsi formativi anche di alto livello che gli consentano di investire sul proprio capitale umano, strumento indispensabile per ridurre i rischi di recidiva, con benefici non solo per il singolo ma per tutta la società italiana. La presenza delle Università nei luoghi di detenzione ha, in questo senso, una profonda valenza culturale per il Paese e per la più ampia discussione sul significato che possono avere la pena e l’esecuzione penale".