"Glassboy", il bambino che non usciva di casa
È l’emofilia la protagonista nascosta del film di Samuele Rossi disponibile sulle piattaforme di streaming, ispirato al romanzo “Il bambino di vetro” di Fabrizio Silei. Recensione pubblicata sulla rivista SuperAbile Inail
Pino indossa un casco, un mantello e una tuta protettiva. Non è un supereroe, ma un ragazzino che, in seguito a una malattia ereditaria, è così fragile da non poter uscire di casa. E, se lo fa, lo fa bardato in questo modo. Pino è il protagonista di “Glassboy”, il film di Samuele Rossi disponibile da febbraio sulle piattaforme di streaming, ispirato al romanzo “Il bambino di vetro” di Fabrizio Silei. Si parla di emofilia, ma nel film non viene mai citata espressamente, se non per i suoi effetti, quelli di un sangue che sgorga facilmente anche da piccole ferite. “Glassboy”, piuttosto, punta a un racconto universale che rappresenta tutte le fragilità, le diversità, le disabilità che ci frenano nel vivere appieno la nostra vita.
"Diversità e unicità sono i due volti della stessa medaglia", racconta il regista, Samuele Rossi. "La diversità di Pino diventa una risorsa, quello che lo definisce, come tutti noi: siamo fragili e forti, e abbiamo le nostre risorse". L’impresa del supereroe Pino, allora, sarà provare a uscire di casa e raggiungere quegli amici che fino a quel momento aveva visto solo da lontano, da dietro a una finestra. Per farlo, dovrà vincere le resistenze dei familiari e della nonna materna. Sì, perché spesso a frenare chi è fragile è soprattutto chi è vicino a lui. Samuele Rossi prende questa storia, la porta ai giorni nostri e la ammanta di cultura pop, dai fumetti (che aprono e chiudono il film, e sono il modo in cui Pino guarda il mondo) ai film per ragazzi che si facevano una volta, da “E.T.” a “I Goonies” e “Stand by me”. Ma c’è qualcosa in più che fa di “Glassboy” un film particolare. Girato prima del covid, si trova a uscire in un momento in cui tanti ragazzi, anche se non malati, si trovano nella condizione di Pino, isolati dagli altri e senza poter andare a scuola.
"Il film è diventato profetico nella misura in cui un bambino è chiuso in casa a causa di una malattia", precisa il regista. "E ci riporta a quello che tanti ragazzi e tanti bambini stanno vivendo oggi. Raccontiamo anche un po’ questi giorni, quella lotta per uscire, per conquistarsi un posto nel mondo". La pellicola è stata girata qualche settimana prima che scoppiasse la pandemia. "Ci sono tante coincidenze: c’è un bambino che vive a casa e vede la vita da una finestra", continua Rossi. "È un bambino che non va a scuola. E, se nel mondo di prima, "esultare perché si va a scuola era un paradosso, oggi invece è proprio così".
(La recensione è tratta dal numero di SuperAbile INAIL di febbraio, il mensile dell’Inail sui temi della disabilità)