Fragili rocce sul tetto d’Europa. La scalata in vetta di cinque malati di fibrosi cistica
Valeria ha voluto coinvolgere altre quattro “fragili rocce” come lei, chi affetto da fibrosi cistica, chi trapiantato di reni o polmoni, provenienti da diverse zone d’Italia.
All’alba e al tramonto le sue rocce granitiche si tingono di rosa. Molti alzano lo sguardo per contemplarne la bellezza, fantasticando magari di poter camminare un giorno sui suoi ghiacciai. E poi c’è chi, su quei ghiacciai dove la neve si trasforma in un grande tappeto immacolato pronto a luccicare quando viene baciato da un raggio di sole, ci arriva per davvero. Dopo mesi di costante impegno, scanditi da allenamenti, controlli, fatica e tanta determinazione.
Impegno, allenamenti, controlli, fatica ma soprattutto tanta determinazione sono stati il pane quotidiano per Valeria Lusztig e per la cordata di “Fragili rocce” che con lei, nel fine settimana del 17 e 18 luglio, si sono messi in marcia alla volta di Capanna Margherita che, con i suoi 4554 metri, è il rifugio più alto d’Europa.
Un’impresa nell’impresa, quella di Valeria e dei suoi quattro compagni Samantha Ciurluini, Antonella Tegoni, Mirko Dalle Mulle e Gabriel Zeni. Perché, ciascuno di loro, prima di affrontare l’impegnativa salita lungo le pareti del massiccio montuoso più esteso d’Europa, ha dovuto affrontare un’altra salita, ancor più impegnativa. Quella della malattia.
Valeria, giornalista e scrittrice di Reggio Emilia, ha 45 anni ed è affetta da fibrosi cistica, una malattia genetica degenerativa che nel tempo ha compromesso i suoi polmoni. A fine 2017 si è reso necessario un trapianto bipolmonare, al quale nel settembre 2018 è seguito un brutto rigetto. Due “montagne” che Valeria ha affrontato e superato con forza e determinazione.
Lo scorso anno, con i suoi nuovi polmoni, Valeria è salita al Balmenhorn, a 4.167 metri di altitudine, uno dei picchi della catena del Monte Rosa, particolarmente conosciuto perché sulla sua sommità c’è la maestosa statua del Cristo delle Vette. Un’impresa umana e sportiva che Valeria ha compiuto in sostegno della Fondazione ricerca per la fibrosi cistica e per far sapere che “la vita dopo il trapianto, se e quando possibile, non è tra le mura di casa, ma è una possibilità continua di misurarsi con se stessi e con un mondo che prima ci era precluso”. Un’impresa quella di Valeria, collegata al progetto “Guardami adesso” – che prende il nome dal libro in cui la Lusztig racconta la sua storia – con il quale organizza spedizioni a scopo benefico, raccontando attraverso cammini e scalate la rinascita di persone che hanno alle spalle storie sanitarie complesse.
Quest’anno Valeria ha voluto coinvolgere altre quattro “fragili rocce” come lei, chi affetto da fibrosi cistica, chi trapiantato di reni o polmoni, provenienti da diverse zone d’Italia. Insieme a loro un nutrito gruppo di medici, infermieri, guide alpine e sostenitori dell’Aido, associazione a cui è stato legato il progetto.
Partito sabato 17 da Alagna Valsesia, il gruppo ha raggiunto, con gli impianti di risalita, Punta Indren, per poi iniziare la traversata fino a Capanna Gnifetti a 3647 metri. Da qui Valeria, Samantha e Antonella hanno lanciato simbolicamente la volata a Mirko Dalle Mulle e Gabriel Zeni, gli unici due “fragili” che hanno concluso l’impresa. I due, in cordata con le guide e i medici che li accompagnavano, hanno ripreso la scalata domenica 18 luglio, alle 2.30 di notte, proseguendo tra i crepacci del ghiacciaio del Lys per raggiungere il Colle del Lys a quota 4151 metri, per poi affrontare la salita finale fino alla Punta Gnifetti (4554 m), dove il rifugio Capanna Margherita li ha accolti stremati dalla fatica ma stretti in un abbraccio che ha commosso il popolo di Fb.
A raccontare l’impresa, sulla sua pagina Fb, è Valeria, in un post del 19 luglio.
“È finita. Domenica si è concluso il progetto che mi ha tolto sonno, energie, pazienza e aspettative per mesi – scrive Valeria –. Il progetto che ha assorbito ogni cellula e che ha messo alla prova resistenza fisica e morale, amicizie, collaborazioni, tenuta psicologica. Ma quanto mi ha dato. Conferme e sorprese. Come spesso ho detto, continuare a voler esserci ha significato grande consapevolezza: ogni passo è stata una faticosa conquista. Mirko Dalle Mulle e Gabriel Zeni sono le ‘fragili rocce’ che hanno portato Aido sul tetto d’Europa. Con la cordata dei supporters sono arrivati a Capanna Margherita. Ma il mio inchino più umile e sentito, oltre a loro, va a tutte le ‘fragili rocce’ che si sono allenate con sacrificio e passione e solo per uno sgarbo meteorologico non hanno raggiunto la vetta. E a ben vedere, non è davvero importante. Antonella Tegoni e Samantha Ciurluini hanno dimostrato una determinazione che potrebbero spostare le montagne. Voglio ringraziare tutti. In questa organizzazione difficile, a tante voci, che a volte ha pagato lo scotto dei malintesi, dei cali di entusiasmo, dei personalismi e della leggerezza ho scoperto le persone. Curioso. Cerchi le montagne e scopri l’umanità più profonda e nuda che esista”.
Leggendo il post, ci si accorge che, nella cordata con Valeria e i suoi quattro compagni d’avventura, c’era anche un’altra piccola “fragile roccia” che, proprio nel momento in cui Mirko e Gabriel raggiungevano Capanna Margherita, anche lei dal #grandhoteldibologna (Policlinico Sant’Orsola di Bologna) dov’era ricoverata da alcune settimane, raggiungeva la sua “vetta”.
“Questo è stato il mio addio al ghiacciaio – scrive Valeria -. A questo amatissimo ghiacciaio sicuramente. Quando sono, per la seconda volta, arrivata alla terrazza di Capanna Gnifetti, dai pioli della scaletta che tanto, nelle foto, mi impressionava, ero felice. Pochi minuti dopo dal cellulare scoprivo che Irene, a cui avrei fatto dedicare la vetta (e a cui è dedicata, per quello che può valere), se ne era andata. A 13 anni, in attesa di due polmoni che l’avrebbero portata ovunque, probabilmente. In quel momento, la sua incredibile mamma, in un pianto assurdo e surreale mi ha detto sai, Irene non voleva dirtelo ma diceva sempre : ‘Mamma ma cosa ci va a fare sul monte Rosa? Io quando avrò i polmoni voglio fare cose normali’. Ecco. Siamo riuscite a ridere, su quella terrazza che considero la più bella del mondo e che grazie a te, angelo sfanculatore impertinente, mi ha mostrato la via delle cose normali. A volte non basta una montagna di 4500 metri a farci sentire piccoli. Presi dalle sfide con noi stessi. Io per prima, inondata di supponenza travestita da umiltà a prender schiaffi di consapevolezza a ogni passo. Sono state le tue parole Irene, dette con la fatica degli alti flussi che volevo dimenticare e cancellare con la fatica dell’aria sottile, a riportarmi alla realtà, a farmi, finalmente, sentire piccola. Piccolissima. E allora Irene non ti dedico le mie vette mancate, le imprese. Ti dedicherò le ‘cose normali’. Come l’abbraccio stretto alla tua incredibile mamma, alta come una montagna, Barbara Goldoni”.
“Ti vogliamo tanto bene Valeria – le risponde Barbara tra i commenti al post – sei stata la nostra roccia di questi ultimi tempi, molto duri. Secondo me Irene adesso si sta arrampicando su una montagna alta, senza fatica e sta pensando che, in fondo, è una cosa divertente”.