Dieci anni senza Vik, la madre: “Oggi sono viva perché mantengo vivo Vittorio”
Era il 15 aprile del 2011 quando il giornalista, scrittore e attivista Vittorio Arrigoni è stato ucciso da un gruppo terrorista nella striscia di Gaza. Nei suoi reportage raccontava la Palestina, chiudendo ogni articolo con la sua frase “restiamo umani”. La madre Egidia Beretta ha continuato a trasmettere il suo messaggio
"È quasi inutile sottolineare quanto sentiamo la mancanza di Vittorio. Si va avanti comunque, sapendo di portare una grande responsabilità addosso: quella di continuare a diffondere il suo messaggio. Io oggi sono viva perché mantengo vivo Vittorio”. Egidia Beretta, mamma di Vittorio “Vik” Arrigoni, non si stanca di raccontare. Esattamente dieci anni fa, il 15 aprile del 2011, le immagini di Vik bendato e in mano ai terroristi trasmesse in un video su YouTube hanno cambiato la sua vita: pochi minuti dopo sarebbe stato ucciso. Proprio lì, nella sua Gaza, dove aveva trascorso gli ultimi anni della sua vita. Giornalista, scrittore e attivista per i diritti umani, la sua morte provocò grande indignazione e oggi l’opinione pubblica lo ricorda con la frase con cui firmava i suoi pezzi sul Manifesto e sul suo blog Guerrilla Radio, “restiamo umani”. In occasione del decimo anniversario, sono tante le iniziative organizzate per mantenere viva la sua memoria: il podcast “Le ali di Vik” a cura di Samuele Sciarrillo; l’iniziativa “Ricordando Vik” dell’associazione Assopace Palestina e “Vittor10” in diretta sulla pagina Facebook Vittorio Arrigoni autore; lo spettacolo “Vittorio Arrigoni. Dieci anni dal brutale assassinio” dell’Anpi di Aprilia e il contest “L’eredità di Vittorio” lanciato dall’agenzia di stampa Nenanews. “È simbolo del fatto che il segno lasciato da Vittorio è molto profondo, e questo perché lui non ha mai rinunciato a portare avanti i suoi ideali di libertà e giustizia – racconta Egidia Beretta –. Tutti valori che ha avuto dentro fin da bambino, che poi si sono rafforzati con i numerosi campi che ha fatto, preparandosi inconsciamente all’incontro con la Palestina”.
Egidia, qual è il bilancio di questi dieci anni senza Vittorio?
C’è ancora grande desiderio di conoscere Vittorio, non solo come attivista ma come persona. In questi dieci anni ho fatto numerosissimi viaggi in tutta Italia: sono chiamata da associazioni, scuole, videoteche, oratori, per raccontare di lui e dei trascorsi della mia vita insieme a lui. Le persone, soprattutto i ragazzi, vogliono capire come Vittorio sia diventato quello che è diventato, una persona che ha preso così a cuore la Palestina e i palestinesi, e che negli ultimi anni si è dedicato principalmente a loro.
Com’è cambiato il clima politico e sociale in Palestina, in questi dieci anni?
Io seguo le notizie attraverso alcuni canali dei quali ho fiducia. La situazione forse è ancora peggiorata rispetto agli anni di Vittorio: sia a Gaza, che è chiusa in un blocco totale che impedisce alla popolazione di soddisfare le necessità più elementari, come l’accesso all’acqua e all’elettricità, ma anche in Cisgiordania, dove Israele continua a rubare territorio ai palestinesi, il che ha fatto sì che la Palestina non abbia più neanche una piccola entità territoriale compatta ma sia piena di colonie. Ai palestinesi ormai rimane ben poco, a partire dalle risorse naturali, come l’acqua.
Vittorio era riuscito a portare la situazione palestinese all’attenzione dell’opinione pubblica, ma oggi è tornato il silenzio sulla questione. Cosa si potrebbe fare per infrangerlo?
Vik era riuscito ad attirare l’attenzione sulla Palestina: voleva che le persone sapessero. È stato un grande comunicatore, ed è riuscito davvero a dare voce a chi voce non aveva. E se l’era prefissato come uno dei suoi compiti essenziali: informare, informare. Questo ci è mancato molto in questi dieci anni, e ci manca ancora adesso. Mancano persone che dalla Palestina raccontino quello che sta succedendo, manca una voce diretta, un testimone che mostri dal di dentro quello che accade. Anche questo ha fatto di Vittorio una figura importante: questa sua costanza e precisione nel raccontare, nel dire, nel parlare senza remore e senza timori, senza aver paura delle dire di qualche potente, di laggiù o di qui. Era anche questo un suo modo per fare giustizia, ai vivi e ai morti.
Oggi servirebbero altri Vittorio?
Altri Vittorio… Servirebbero altre persone che si prendano a cuore gli altri. Vittorio sosteneva che la Palestina potesse trovarsi anche fuori dall’uscio di casa nostra: basta aprire la porta, spalancare le finestre, vedere cosa c’è intorno e come possiamo aiutare. I modi per mettere in pratica la solidarietà e la giustizia sono tanti. Di sicuro in Palestina è molto difficile arrivarci e rimanerci, ma ognuno può fare la sua parte anche nel luogo in cui si trova.
Cosa avete fatto in questi dieci anni grazie alla fondazione Vik Utopia?
La fondazione è nata nel 2012, l’abbiamo fondata perché volevamo continuare l’opera di Vittorio. Continuiamo ad aiutare i più deboli, i più fragili, anche se in modo diverso: appoggiamo progetti di associazioni che operano in paesi che vogliamo supportare, anche seguendo le orme dei viaggi di Vittorio. abbiamo finanziato progetti in Romania, Congo, Uganda, e poi naturalmente in Palestina, sia in Cisgiordania che a Gaza. In particolare, cerchiamo progetti a sostegno dei diritti dei bambini: Vittorio aveva una fortissima empatia con i bambini e i ragazzi. Dove c’erano i bambini c’era Vittorio, e dove c’era Vittorio c’erano i bambini. Con la fondazione abbiamo anche pubblicato “Il bambino che non voleva essere un lupo”, un racconto-fiaba illustrato: l’autrice immagina questa piccola luce, ancora nel grembo della mamma, che non sa che cosa diventerà una volta fuori. Quando la piccola luce vede la luce, capisce di essere un bambino e di voler dedicare la sua vita agli altri.
Qual è l’aspetto di Vittorio di cui nessuno le ha mai chiesto, e che invece vorrebbe raccontare?
Tutti vedono Vittorio come un guerrigliero, ma lui è stato anche un poeta. Nel libro che ho scritto su di lui, “Il viaggio di Vittorio”, riporto un paio di sue poesie, molto delicate. “In morte di cane” l’ha scritto dopo la morte del suo amatissimo cane Trip. O anche “La bateau ivre”, ispirandosi alla poesia di Rimbaud. Lui aveva anche questo animo gentile, una grande profondità di sentimenti: amava la musica classica, l’arte figurativa. In casa ho ancora tante riviste che acquistava sui grandi pittori. Amava la natura, si metteva in giardino, sull’erba, a leggere i suoi libri. Non era solo un combattente, non era una persona unidirezionale nei suoi interessi.
Cosa significa oggi “restiamo umani”?
Vittorio pronunciava queste parole in situazioni particolarissime, anche se i giorni che viveva, quelli dell’operazione Piombo fuso, l’umanità l’avevano persa del tutto. Il senso lo spiega Vittorio stesso, quando dice che al di là delle latitudini e delle longitudini apparteniamo tutti a una stessa famiglia, quella umana. Restare umani significa allora saper aprire le porte, saper ascoltare i bisogni degli altri. Quando prendiamo delle decisioni, e valutiamo i pro e i contro, dobbiamo pensare se quello che decidiamo è conforme alla vera natura dell’uomo, che è quella di prenderci cura dell’altro e rifuggire quell’egoismo che rischia di diventare una corazza da cui poi è difficile liberarsi.
Alice Facchini