Da Varsavia a Fiumicino, tra i profughi ucraini dei voli umanitari Caritas
Sono arrivati a Fiumicino in questi ultimi due giorni 400 profughi ucraini accolti nello spazio predisposto dal governo polacco alla Fiera di Varsavia, con 10.000 posti letto. I due voli umanitari sono stati organizzati da Caritas italiana, in collaborazione con Open arms e Solidaire. Ora sono in 20 diocesi italiane
Sono arrivati all’aeroporto romano di Fiumicino con l’inizio della primavera. Date simboliche che possono far sperare nel rifiorire della vita, dopo tanta sofferenza e macerie. Nelle serate di lunedì e martedì sono atterrati infatti due voli umanitari con 400 profughi ucraini da Varsavia, organizzati da Caritas italiana, in collaborazione con le Ong spagnole Open arms e Solidaire, che hanno messo a disposizione l’aereo e il supporto logistico. Sono in maggioranza donne, bambini, pochissimi uomini.
Tra loro anche uno studente nigeriano che stava studiando medicina in Ucraina. Ora è ad Assisi e potrà proseguire gli studi all’Università di Perugia. Alcuni di loro, dopo il trauma della fuga dalle bombe, il riparo in Polonia, si sono sentiti male allo sbarco e sono ora ricoverati in ospedale per controlli. Come se il loro corpo avesse avuto, finalmente, la possibilità di rilasciare tutta la tensione e lo stress accumulati in questo mese di guerra. Ad organizzare il viaggio in Polonia e ad attenderli a Fiumicino c’erano gli operatori di Caritas italiana e delle Caritas diocesane.
Saranno accolti da una ventina di diocesi, principalmente del centro sud, per non farli stancare con altri viaggi lunghi: Assisi, Capua, Matera, Tricarico, Salerno, Molfetta, ma anche Alba ed Asti. Molti andranno nei circuiti dell’accoglienza già sperimentati con i corridoi umanitari, altri da famiglie di fiducia che hanno dato la disponibilità. Altri ancora hanno scelto di alloggiare da amici e parenti in zona. La raccomandazione di Caritas italiana è di privilegiare la sistemazione in case e appartamenti che consentano loro autonomia e privacy. Per provare a ricominciare una vita in Italia, con la possibilità di mandare i bambini a scuola, apprendere l’italiano e lavorare, grazie alla protezione temporanea umanitaria per un anno.
La Polonia, che ha aperto le porte a ben 2.145.000 profughi su un totale di 3 milioni e 600.000 (al 23 marzo), si è dimostrata ben organizzata e grandemente all’altezza della sfida immane. Tutti coloro che arrivano in treno alla stazione vengono identificati e portati con i pullman nel grande centro di transito allestito alla Fiera di Varsavia: 10.000 posti letto sulle brandine, un presidio medico-sanitario, bagni puliti, cibo, accoglienza e solidarietà.
Perfino uno spazio attrezzato per i bambini, con i clown e l’animazione. Qui diverse organizzazioni, tra cui la Caritas, hanno allestito in brevissimo tempo dei desk per creare collegamenti aerei o spostamenti via terra con diversi Paesi europei.
La meta per la salvezza. Sugli schermi veniva indicato il Paese di destinazione, le persone sceglievano così la meta per la salvezza. Caritas italiana, insieme ad Open Arms e Solidaire, ha preparato dei volantini con il disegno di un aereo, la bandiera dell’Ucraina e dell’Italia, e una casa, per far capire che sarebbe stato fornito alloggio presso le Caritas diocesane. Con brevi spiegazioni in inglese e ucraino su modalità delle partenze e su cosa sarebbe successo in Italia. Le persone che sceglievano l’Italia venivano identificate con un braccialetto, dopo il controllo dei documenti grazie alla collaborazione dell’ambasciata italiana in Polonia e dell’ambasciata ucraina.
Nella fiera di Varsavia. “E’ stata una esperienza molto intensa, fortissima sul piano umano – dice al Sir Caterina Boca, dell’ufficio immigrazione di Caritas italiana, tornata con lo stesso aereo da Varsavia -. Nella fiera c’è un ricambio continuo, arrivano persone nuove e altre se ne vanno. E’ una situazione incredibile, quasi una sintesi dell’umanità: alcuni con tanti bagagli, altri senza niente, donne, bambini, anziani, tantissimi cani e gatti. Ti fa capire l’assurdità di questa guerra improvvisa, persone come noi costrette a fuggire mentre vivevano una quotidianità quasi banale”.
Irina (è un nome di fantasia), ad esempio, finora non aveva mai lasciato il paese in cui viveva. E’ malata gravemente, ed è venuta in Italia con marito e 4 figli. “Aveva con sé poche borse riempite delle prime cose che aveva trovato in casa. racconta Boca -. Dentro aveva coltellini da cucina, bicchieri, libri di scuola, acquerelli per bambini. Si capiva che non aveva avuto il tempo di razionalizzare cosa stava accadendo. Ha dovuto lasciare tutto al controllo bagagli”.
Rischi e pericoli. Purtroppo, in situazioni così difficili, c’è anche chi tenta di approfittarsene. Il rischio che i profughi cadano nelle mani di persone senza scrupoli è altissimo. Quando si è disperati, in un altro contesto culturale, senza conoscere la lingua, può capitare di fidarsi ed entrare in un automobile o in bus sbagliato che ti porta chissà dove:
“Abbiamo intercettato e denunciato alcune situazioni di illegalità. Le autorità stanno facendo i controlli.
Al nostro desk si sono anche presentate due donne, apparentemente insospettabili. Si sono presentate come avvocati italiani e ci hanno detto di aver fatto un accordo con Caritas Bergamo per l’accoglienza dei profughi, con un bus a disposizione per il trasferimento. Poi sono sparite nel nulla. Abbiamo verificato con la Caritas diocesana ma non c’era nulla di vero. Bisogna stare molto attenti, si possono creare situazione ambigue e pericolose”.
Attenzione anche in Italia. “Bisogna fare attenzione anche in Italia, perché tra chi si offre per l’accoglienza c’è chi vuole la badante ucraina, chi la dama di compagnia, chi solo bambini di una certa età – conferma Manuela De Marco, dell’ufficio immigrazione di Caritas italiana -. All’aeroporto, ad esempio, la polizia si è accorta di una ragazza ucraina che vagava da due giorni nelle sale d’attesa, stava aspettando un uomo che non si è mai presentato”.
In questi due giorni a Fiumicino gli operatori Caritas hanno assistito a scene allarmanti, anche perché le pratiche burocratiche sono state ultimate alle due di notte: “Alcuni si sono sentiti male per lo sfinimento fisico. I bambini piangevano. Un donna con un tumore all’utero ha avuto una forte emorragia e abbiamo dovuto chiamare il pronto soccorso. Ora è all’ospedale Grassi di Ostia. Per fortuna la famiglia è a Palestrina, non sono lontani. Altre due donne anziane e un uomo sono stati ricoverati perché accusavano sintomi di stress e ansia. La maggior parte venivano da zone bombardate, hanno visto i loro villaggi distrutti”.
Nelle diocesi italiane ci sono intere comunità che aspettano di conoscerli. Sono venuti a prenderli a Fiumicino. Alcuni ucraini all’ultimo momento hanno scelto invece di andare da parenti anziché accettare l’ospitalità Caritas e un pulmino è tornato vuoto. “E’ un’accoglienza molto dinamica, la situazione cambia di giorno in giorno – aggiunge De Marco –. Per noi è importante accogliere tutti, senza distinzioni. Il percorso è lo stesso dei corridoi umanitari.
Chiediamo alle Caritas diocesane di rispettare al massimo la loro privacy, l’indipendenza e l’autonomia. Di non mandarli dai privati se non conoscono bene le famiglie, di verificare prima.
Ora hanno 48 ore di tempo per procedure le sanitarie (tamponi e autoisolamento), poi si inizierà la pratica in Questura per la protezione temporanea che consente di lavorare da subito. La comunicazione è difficile, per cui sarà indispensabile la presenza di mediatori culturali. Bisognerà fare un programma molto intensivo di lingua italiana e inizieranno i percorsi di inclusione dei bambini nelle scuole”. Un altro problema pratico da risolvere è che la loro moneta, la Grivnia ucraina, non è accettata dalle banche per il cambio in euro. Ci vorranno un po’ di giorni per prendere le misure di questa crisi umanitaria così diversa dalle altre.
Nel circuito Caritas ci sono a disposizione 5000/6000 posti. La sola Sicilia è disposta ad accogliere più di 800 ucraini. Per ora non c’è intenzione di organizzare altri voli perché da ieri la Polonia ha imposto condizioni più strette sulle partenze volontaristiche, probabilmente perché vogliono spingere sull’Ue per la redistribuzione dei profughi nei Paesi europei.