Cibo, troppi sprechi. Al G20 di Firenze emerge l’assurdità di un mondo che butta via gli alimenti
Ogni anno nel mondo viene sprecato quasi un miliardo di tonnellate di cibo, pari al 17% di tutto quello prodotto.
Cibo prodotto, cibo sprecato. È una delle assurdità che il mondo vive. Ed è un’assurdità pesante, visto che cozza anche contro il livello altissimo delle tecnologie di produzione da una parte e, dall’altra, deve fare i conti con i miliardi di persone che, invece, di cibo non ne hanno a sufficienza. Assurdità che, tra l’altro, non è limitata “all’Occidente civilizzato”, ma che anzi dilaga un po’ dappertutto.
La situazione è stata delineata da Coldiretti nel corso del G20 dell’agricoltura che si è tenuto a Firenze. Il dato è semplice. Ogni anno nel mondo viene sprecato quasi un miliardo di tonnellate di cibo, pari al 17% di tutto quello prodotto. E a sprecare di più non sono i commercianti, ma tutti noi: le famiglie. Nelle abitazioni private, infatti, pare vada buttato circa l11% del cibo acquistato, mentre mense e rivenditori ne gettano rispettivamente il 5% e il 2%. Spreco, dunque, che determina non solo un danno economico in termini di costi sostenuti per nulla, ma anche un danno ambientale: si stima, infatti, che le emissioni associate allo spreco alimentare rappresentino l’8-10% del totale dei gas serra. Ma tutto questo non basta.
Per comprendere meglio la situazione, è necessario avere un’idea della geografia dello spreco mondiale di cibo. Così, se nelle case italiane si gettano mediamente ogni anno (fonte Coldiretti/Onu), circa 67 kg di cibo per abitante, per un totale di oltre 4 milioni di tonnellate (condizione che pone l’Italia al dodicesimo posto nell’ambito del G20), a sprecare di più sono l’Arabia Saudita e l’Australia, seguiti però dal Messico. Ad essere più attenti al cibo, invece, sono la Russia e l’India. Su tutto, poi, c’è il paradosso più pesante: nel 2020 circa 2,37 miliardi le persone non hanno avuto accesso a un’alimentazione sana e moltissime di queste persone hanno dovuto fare i conti con la assoluta mancanza di cibo.
Questione di cultura? Oppure di semplice – e più grave – incuria e disattenzione? Probabilmente non c’è una risposta sola. Il sistema di produzione, trasformazione e distribuzione degli alimenti presenta una serie di squilibri, locali e globali, che provocano non solo sprechi finali di cibo ma diverse storture lungo tutta la filiera agroalimentare. Così, lo spreco di alimenti da parte dei consumatori finali così come (seppur in tono molto minore come si è visto), da parte delle industrie e dei commercianti, è in qualche modo l’ultimo atto di qualcosa di più complesso. Educazione, pare essere la parola d’ordine. Per questo, sono importanti tutte le azioni e le occasioni per far apprendere metodi e strategie di trasformazione e conservazione degli alimenti. A tutto questo, però, possono essere associati anche altri strumenti come quello della razionalizzazione dei metodi produttivi e di trasformazione, miglioramento delle reti di distribuzione e conservazione, efficientamento di tutto il percorso dai campi alle tavole.
Rimane per ora la realtà dei fatti con quanto sintetizzato dai coltivatori: lo spreco di cibo determina effetti dirompenti sull’economia, sulla sostenibilità e sul piano ambientale per l’impatto negativo sul dispendio energetico e sullo smaltimento dei rifiuti. Oltre a tutto questo, rimane anche l’assurdità di un’agricoltura che sarebbe tecnicamente in grado di sfamare tutti e che vede, invece, una parte importante della sua produzione che finisce nel bidone della spazzatura senza un valido motivo. Ed è bene rammentare un numero: da un anno all’altro, le persone che in un modo o nell’altro sono rimaste senza cibo sufficiente sono aumentate di circa 320 milioni.