Carcere, il garante di Bologna: “Gli enti locali individuino strutture per madri detenute con figli”
Antonio Ianniello stigmatizza la scelta di aprire un nido nella sezione femminile della Dozza: “Il contesto detentivo è quanto di più inadeguato per lo sviluppo psico-fisico del bambino. Il nido sullo stesso piano dell’articolazione salute mentale: allarmante e incompatibile”
Perplessità per la coesistenza del nido con l’articolazione per la tutela della salute mentale per donne con pertinenza psichiatrica. È questa la considerazione al centro della nota di Antonio Ianniello, Garante per i diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Bologna a proposito dell’apertura – con inaugurazione il prossimo venerdì 9 luglio – del nido presso la casa circondariale cittadina destinata ad accogliere madri detenute con figli sino ai tre anni al seguito. “La prospettiva della futura coesistenza presso la sezione femminile, al medesimo piano seppur a distanza, di uno spazio detentivo per pazienti psichiatriche e di un nido desta grave perplessità, potendosi configurare evidenti, e per certi versi allarmanti, profili di incompatibilità. Tale preoccupazione è già stata rappresentata lo scorso anno agli attori istituzionali di riferimento”.
Ianniello avanza poi una considerazione. La permanenza in carcere di madri con figli al seguito non è cosa rara, “seppure per brevi periodi e con andamento fluttuante, tendenzialmente collegata al tempo necessario per l’individuazione di soluzioni che comunque consentissero l’accesso ad altre misure per la madre detenuta e anche il trasferimento in strutture più adeguate”. La scelta dell’amministrazione penitenziaria, dunque, “potrebbe anche avere una chiave di lettura pragmatica. Fino a oggi non c’è stata separazione effettiva dei minori dalla restante popolazione detenuta. Le madri con figli, infatti, vengono collocate all’interno delle ordinarie sezioni detentive in camere di pernottamento tradizionali – nella sezione giudiziaria e nella sezione reclusione –, stanze singole riservate a donne con figli nelle quali è previsto l’allestimento del lettino per i bambini”. In questo senso, continua il garante, l’accoglienza che il nido potrà fornire al bambino sarà migliorativa, almeno per quanto riguarda il profilo degli spazi esclusivi e dedicati, della separazione effettiva dei minori dalla restante popolazione detenuta e delle condizioni migliori di cura e assistenza.
“Tutta la società civile condivide l’assoluto convincimento che il contesto detentivo sia quanto di più inadeguato per il miglior sviluppo psico-fisico del bambino. Esiste comunque una normativa di riferimento che di fatto non esclude e continua a consentire il passaggio dal carcere del bambino al seguito della madre detenuta. Ed è la stessa normativa che indica anche la possibilità di praticare soluzioni istituzionali affinché – a determinate condizioni e sussistendo determinati requisiti – venga evitato il passaggio del bambino dal contesto detentivo”.
È il decreto 8 marzo 2013 dell’allora ministro Severino a fissare i requisiti strutturali delle case famiglia protette considerandone di fondamentale importanza la realizzazione in quanto snodo decisivo per la piena applicazione della normativa di riferimento (legge n.62 del 21 aprile 2011). Le case protette, infatti, consentono ai destinatari della norma, qualora sprovvisti di riferimenti materiali e abitativi, di evitare davvero in toto l’ingresso in strutture penitenziarie, anche nel caso di istituti a custodia attenuata quali gli Icam “che, comunque, carceri sono”, puntualizza il garante. Fra i requisiti fissati: la sussistenza di caratteristiche tali da consentire una vita quotidiana ispirata a modelli familiari; la presenza di operatori professionali; spazi adeguati per i bambini e per le attività in comune. “Per l’attivazione delle case famiglia protette – continua Ianniello – è necessario anche l’impulso degli enti territoriali, potendo il ministro della Giustizia stipulare con loro convenzioni per individuare le strutture da utilizzare per lo scopo. Bisogna constatare che, dal 2013 a oggi, a livello territoriale – anche con riferimento all’ampio distretto emiliano-romagnolo – non sono state praticate soluzioni istituzionali orientate all’individuazione di una casa famiglia protetta. Ora, anche alla luce dello stanziamento della legge di bilancio 2021 di fondi ad hoc per garantire le risorse necessarie all’inserimento di madri con bambini in case famiglia protette, il forte auspicio è che – una volta emanati i decreti attuativi e ripartite le risorse – gli enti territoriali competenti possano con urgenza procedere all’individuazione sul territorio di questa tipologia di strutture, anche eventualmente optando per la valorizzazione di strutture del privato sociale già esistenti e che già accolgono bambini in difficoltà e che potrebbero riservare dei posti destinati alle donne detenute con i loro bambini”.
Ambra Notari