Attraverso le tenebre, verso la luce. Il cammino di purificazione nella letteratura e non solo

Il cammino di purificazione in attesa della Resurrezione non è solo quello liturgico, ma qualcosa di più profondamente legato alla sofferenza interiore.

Attraverso le tenebre, verso la luce. Il cammino di purificazione nella letteratura e non solo

Il cammino di purificazione in attesa della Resurrezione non è solo quello liturgico, ma qualcosa di più profondamente legato alla sofferenza interiore, agli ostacoli che si incontrano lungo la strada, ad una luce che si intravede nella tenebra, anche quando quella tenebra è fatta di rifiuto di Dio e della fede. La debolezza non è solo quella del credente, ma anche di chi non trova laicamente una via d’uscita da un momento di crisi: come scriveva san Paolo nella seconda lettera ai Corinzi, “quando sono debole, è allora che sono forte” (12, 10). Il che non significa “strettamente riservato ai credenti”, ma anzi esteso a chi non ha più nulla di fronte a sé, per la perdita di lavoro, di un figlio, per l’annuncio di una malattia e non ha neanche una fede cui aggrapparsi. È per chi attraversa la disperazione profonda questo cammino penitenziale, per chi non ha ancora un Dio cui rivolgersi. È nella notte più profonda che si può intuire l’avvento della luce.

Il cammino verso la Pasqua non è unicamente quello del credente che si priva di qualcosa di materiale per la mortificazione del corpo, ma è anche lo sprofondamento nell’inferno del dolore. Dovremmo ricordarci più spesso di un Gesù angosciato nella sua umanità che prega il Padre di allontanare da sé il calice, -“l’abbandono del Padre sostenne” scrive il Manzoni di “La Passione”- e pensare al cammino-inabissamento di chi sta attraversando il dolore e la mancanza. Come scriveva in una sua poesia santa Teresa di Calcutta il non avere saputo fare nulla per una persona che muore di fame è una vergogna, e questo ci dovrebbe far riflettere su quanto potremmo fare in attivo nel cammino verso la speranza e la redenzione.

Una parte del dolore del mondo può essere alleviato, non solo materialmente, ma anche quando noi, che avremmo fretta, incontriamo una persona che ci chiede un po’ d’ascolto, perché non ce la fa più nella sua solitudine o nel lutto. È per questo che poeti e scrittori hanno accentuato non tanto la penitenza ma la condivisione nel cammino di purificazione, come Umberto Marvardi che in Il pianto della Vergine non può non ricordare l’ossimoro del “dolore amore immenso” di una Madre che vede morire il Figlio ricordando la “tenerezza infinita di un tepido vagito”. Eppure, dopo tutto questo umano dolore insensato, dopo la notte della sofferenza indicibile, ecco prefigurarsi “l’alba eterna della vita”.

È che, come Francesco ha detto nell’omelia del Mercoledì delle Ceneri, il dare all’altro non è un bilanciamento della coscienza, del tipo “ecco, ora sono a posto con me stesso e con Dio”, ma qualcosa che va oltre e affonda nelle radici stesse dell’essere donne e uomini. Come scrive il francescano Vincenzo Battaglia in E’ il Signore, l‘elemosina insegnata da Gesù è la condivisione dei beni. L’adulto ripiegato su se stesso di cui parla Armando Matteo in Convertire Peter Pan è uno dei problemi di una realtà in cui estetismo e egocentrismo hanno preso il posto della porta aperta.
E’ per questo che un poeta come Eliot ha intitolato il poema del ritorno ad una fede e ad un Padre Mercoledì delle Ceneri ponendo come icona del nuovo cammino penitenziale l’immagine femminile, come aveva fatto Dante nel Purgatorio, quando la stupenda figura di Matelda che raccoglie fiori rapisce in estasi il poeta: esattamente come il protagonista del capolavoro di Chesterton, L’uomo che fu giovedì, che dopo essere passato per l’inferno dell’incubo e del non senso vede una figura cogliere fiori, proprio come Matelda, “con la sua inconsapevole gravità di fanciulla”.
Ancora la grazia femminile indica la direzione di un cammino di purificazione, non solo per chi crede, ma, come cantava Bob Dylan, “per i guerrieri/ la cui forza è di non combattere/ (…) per i rifugiati/ sull’inerme via della fuga/ e per ognuno e per tutti gli sfruttati”.

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Fonte: Sir