Apolidia. Nasce Unia, la prima associazione italiana dei “senza patria”
Sono tremila gli apolidi, ovvero le persone senza la cittadinanza di nessuno Stato, che vivono nel nostro Paese. Unia, l’Unione Italiana Apolidi, è “la prima organizzazione in Italia di apolidi per gli apolidi”, che mira a migliorare le condizioni di vita di migliaia di persone
Armando Augello Cupi ha 27 anni e un’unica certezza: essere nato a Sanremo. Le altre informazioni sul suo atto di nascita sono, invece, false. Quando aveva pochi mesi i suoi genitori biologici, di cui non conosce neanche la nazionalità, lo hanno abbandonato e Armando è stato cresciuto da una coppia italiana. “Da bambino ho avuto un’infanzia normale, sono riuscito a frequentare la scuola obbligatoria, ma arrivato in primo liceo sono stato espulso poiché non avevo nessun documento - racconta - Tra i 15 e i 18 anni ho vissuto momenti davvero bui nei quali cercavo spesso di capire cosa stesse succedendo. Mentre i miei coetanei potevano proseguire i loro studi, viaggiare e lavorare, io ero fermo nell’incertezza”.
Armando Augello Cupi è uno dei tremila apolidi, ovvero senza la cittadinanza di nessuno Stato, che vivono nel nostro Paese. Insieme ad altri ragazzi nella sua stessa situazione ha creato Unia, l’Unione Italiana Apolidi, “la prima organizzazione in Italia di apolidi per gli apolidi”, che mira a migliorare le condizioni di vita di migliaia di persone senza la cittadinanza di nessuno stato. “A 18 anni ho provato ad andare al Comune per chiedere una carta d’identità, ma non risultavo da nessuna parte e non potevano concedermela. Non avevo idea di cosa fosse l’apolidia. L’ho scoperto quando a 19 anni ho deciso di ingaggiare un avvocato per aiutarmi a venire fuori da questa situazione - spiega il presidente di Unia -.
Finalmente, grazie alla procedura di riconoscimento dello status di apolide, sono riuscito ad ottenere un permesso di soggiorno. Subito dopo e grazie a una carta d’identità, un codice fiscale, e la patente. Ero libero di fare quello che volevo, ma avevo perso tutto il liceo. Ho iniziato allora a fare qualsiasi lavoro pur di mantenermi: il barista, il commerciante porta a porta, cassiere, magazziniere. Ho usato i soldi che sono riuscito a risparmiare per fare un corso da barman, il mio sogno era quello di recuperare gli anni scolastici ed iscrivermi all’università, e fare il barman pensavo mi avrebbe permesso di fare tutto questo. Nel 2022 ho deciso di fondare Unia, l’Unione Italiana Apolidi perché volevo creare un’associazione fatta dagli apolidi per gli apolidi – vogliamo essere un punto di riferimento per questa comunità che fino adesso non ne ha avuto uno - aggiunge - Vorremmo poter rappresentare alle istituzioni cosa significa davvero “vivere nell’incertezza”, senza la cittadinanza di nessuno stato, e aiutare le persone che stanno vivendo quello che ho passato io”.
La causa principale di apolidia in Italia ed in Europa è legata alla dissoluzione dell’ex Unione Sovietica e dell’ex Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia, una situazione che ha posto le basi per la successiva trasmissione dell’apolidia di generazione in generazione. L’associazione Unia si fonda su tre i punti fondamentali: promuovere informazioni chiare e affidabili per informare sia le persone apolidi dei propri diritti sia gli uffici pubblici interessati; riformare le procedure di determinazione dell’apolidia in modo da renderle maggiormente accessibili ed efficienti, in linea con gli standard internazionali. E, infine, facilitare in maniera efficace l’ottenimento della cittadinanza italiana per le persone apolidi attraverso, per esempio, la riduzione dei tempi della procedura e l’esenzione dal test di lingua, uniti a un’applicazione flessibile del requisito relativo al reddito.
“La volontà dei fondatori di Unia di attingere alla loro esperienza personale come risorsa per migliorare la situazione delle persone apolidi in Italia’ per noi una fonte di ispirazione. Facciamo loro un sincero augurio di buon lavoro” sottolinea Chiara Cardoletti, rappresentante Unhcr per l’Italia, la Santa Sede e San Marino. “Il nostro impegno per porre fine all’apolidia proseguirà nella convinzione che solo continuando a lavorare in sinergia con le istituzioni e la società civile potremo finalmente rimuovere gli ostacoli che le persone apolidi incontrano nel godere dei loro diritti fondamentali”. La creazione di Unia è stata supportata dal programma PartecipAzione di Unhcr con la collaborazione di Intersos, un progetto che mira a facilitare l’accesso e la partecipazione attiva dei rifugiati e degli apolidi nella vita sociale e civile italiana. “Intersos, attraverso PartecipAzione, ha sostenuto con convinzione la nascita di Unia. L’associazione segna un importante avanzamento sul fronte della tutela dei diritti umani in Italia. Da oggi gli apolidi non sono più invisibili. Le loro istanze avranno finalmente una rappresentanza formale di fronte alle istituzioni”, commenta il direttore regionale per l’Europa di Intersos Cesare Fermi.
Le storie dei ragazzi “senza patria”
Dell’associazione fa parte anche Edin Portonato Ruznic, originario della Bosnia Erzegovina. “Sono nato 28 anni fa in Slovenia in tempi incerti in cui la burocrazia e i lavori d’ufficio nei comuni erano sotto pressione a causa delle grandi trasformazioni in corso nell’allora Jugoslavia. Una situazione che mi ha portato a essere apolide - spiega - . L’errore principale del municipio ai tempi era stato quello di mischiare i dati anagrafici dei miei genitori inserendo come padre biologico un’altra persona che io non avevo mai conosciuto. Mia madre non essendo in grado di trasferirmi la sua nuova cittadinanza bosniaca per via di una legge che prevedeva sia il padre che la madre della stessa cittadinanza io rimasi nel limbo fino all’età di 28 anni, anno in cui ho ottenuto lo status di apolide. Sono giunto in Italia dalla Slovenia nascosto in un cruscotto della macchina e ho vissuto praticamente qui da quando ho memoria, avevo circa due anni quando arrivai a Trieste. Oggi lavoro come receptionist in un albergo in provincia di Brescia, mi sono ambientato bene nella società italiana e ne faccio parte a tutti gli effetti e questo mi rende felice e libero di vivere come tutti”.
Karen Ducusin, vice presidente di Unia è nata nel 1994 a Messina, in Sicilia, da genitori filippini. “Mia madre e mio padre erano arrivati in Italia per lavorare anni prima. Poco dopo la mia nascita mia madre è stata male, e mio padre non mi ha mai registrato all’anagrafe. Per un periodo hanno affrontato una gravissima difficoltà economica, oltre che sociale e linguistica, e alla fine si sono separati - spiega -. Ho vissuto per tantissimi anni nel limbo senza nessun documento, di me non c’era niente!Niente, tranne le mie pagelle di scuola perché’ per fortuna sono sempre riuscita ad andarci. Quando ho finito il liceo artistico però non sono riuscita ad iscrivermi all'università perché serviva almeno una carta d’identità. Sono andata al Comune di Messina tantissime volte nel corso degli anni, ma mi rispondevano solo “cosa possiamo fare per te?”Ho deciso allora di provare tramite avvocati e finalmente una di loro mi ha detto che esisteva l’apolidia e che forse avrei potuto essere riconosciuta. Sono stata bloccata in questa situazione per anni. Vivo nel limbo senza nessuna protezione e senza avere nessun diritto perché non esisto né per l’Italia, paese di nascita e dove sono sempre vissuta, né per le Filippine, paese di origine dei miei genitori”.
Romina Todorovic, 33 anni, è un’educatrice di sostegno per bambini con disabilità, “Sono Rom e sono nata e cresciuta in Italia, in un campo “nomadi” fino a 18 anni. I miei genitori sono serbi della ex Jugoslavia e sono arrivati in Italia negli anni 80. Quando i loro passaporti sono scaduti, non li hanno potuti rinnovare e sono rimasti senza documenti. Per questo motivo io non ho mai avuto la cittadinanza serba - racconta -.Ho iniziato a frequentare la scuola a 9 anni, ma poi ho dovuto interromperla a 12 perché in quegli anni i miei genitori ci hanno trasferito molte volte di città in città. Mi chiedo ancora, perché nessuno mi ha mai cercata? Perché quando sparivo da scuola le insegnanti non mi hanno mai cercata? Questo in un paese, l’Italia, dove i diritti umani sono tutelati dalle leggi dello Stato. Solo a 33 anni ho ottenuto la cittadinanza italiana. Sono contenta ma non soddisfatta perché fino all’età di 18 anni sono vissuta senza che di me si sapesse nulla”.