Anoressia. Zanna (Osp. Bambino Gesù): “Attenzione a campanelli d’allarme. Si guarisce ma è fondamentale una diagnosi precoce”
Sempre più diffusa e con esordio sempre più precoce: negli ultimi tempi si è registrato un abbassamento dell’età fino agli 8/9 anni, ma l’anoressia è la punta dell’iceberg di una sofferenza più profonda. Per questo, oltre che sulle restrizioni alimentari, occorre intervenire sul disagio emotivo sottostante. Si può guarire, ma è fondamentale una diagnosi precoce. Parla la neuropsichiatra Valeria Zanna, responsabile del Centro per l’anoressia e i disturbi alimentari dell’ospedale Bambino Gesù
Controllare compulsivamente la propria immagine; anzi voler tenere tutto sotto controllo. Guardarsi allo specchio e non vedersi mai abbastanza magre. Affidare all’ossessione del peso e delle calorie una profonda sofferenza interiore che le parole non possono esprimere. In Italia i disturbi alimentari – soprattutto anoressia nervosa – riguardano più di tre milioni di persone, di cui il 96% donne e il 4% uomini; sono sempre più diffusi e l’esordio è sempre più precoce: negli ultimi tempi si è registrato un abbassamento dell’età fino agli 8/9 anni. Come riconoscere l’anoressia e come combatterla? Oggi, decima Giornata nazionale del fiocchetto lilla, istituita nel 2012 per diffondere la consapevolezza su questa malattia, lo abbiamo chiesto a Valeria Zanna, neuropsichiatra e responsabile del Centro per l’anoressia e i disturbi alimentari dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. “Con i piccoli – premette – è più semplice perché sono i genitori a portarceli. Il vero problema è dopo i 18 anni, quando le ragazze (parlo al femminile perché sono il 96% dei pazienti) non percepiscono alcun disagio rispetto ai sintomi che esse stesse ricercano. È molto difficile che chiedano spontaneamente aiuto”.
Dottoressa, che cosa si nasconde dietro l’anoressia?
Per la diagnosi facciamo riferimento ai criteri diagnostici del Dsm-5 (Manuale diagnostico statistico dei disturbi mentali, ndr). In presenza di un’importante perdita di peso; di dismorfofobia, ossia errata percezione delle proprie forme corporee; di un pensiero e un comportamento focalizzati sul controllo degli apporti alimentari, possiamo fare una diagnosi precisa di anoressia nervosa. Questo però dice poco rispetto a ciò che si nasconde dietro: un universo a sé per ogni paziente. Si tratta di una malattia utilizzata dalle ragazze per esprimere un disagio sottostante che va indagato e corretto una volta corretto il sintomo principale, ossia la restrizione alimentare.
Questa è solo la punta dell’iceberg di una sofferenza interiore estremamente importante.
Quali sono le cause?
Il problema insorge per lo più – ma non solo – durante l’adolescenza, legato alla rapida trasformazione del corpo. Limitando l’assunzione di cibo si riesce ad esercitare un controllo sulle sue modificazioni, ma questo avviene solo in presenza di fattori comportamentali di rischio. Si tratta di adolescenti molto simili tra loro: ragazzine “perfette” che non hanno mai dato problemi; timide, introverse e con una socialità piuttosto inibita, che spesso nascondono una profonda insicurezza dietro prestazioni scolastiche ad altissimo livello e hanno difficoltà a sbocciare nell’età evolutiva.
Il disturbo ha un esordio sempre più precoce, anche a 8/9 anni. Perché?
Difficile avere un’unica spiegazione. E’ verosimile sia legato all’abbassamento dell’età puberale nelle bambine, che si trovano così a dover affrontare cambiamenti fisici che non corrispondono ad una avvenuta maturazione emotiva, ad “abitare”, ancora bimbe, un corpo da adulta. A questo si aggiunge il sempre più diffuso impiego dei social anche in età precoce, che propongono modelli di bellezza irraggiungibili e nei quali i like fanno spesso riferimento all’immagine. Questo porta le bambine a confrontarsi sul loro corpo già alle elementari, a vergognarsi se si vedono più “cicciottelle” di altre, a sentirsi discriminate. Ma anche i genitori che fanno molta attenzione a ciò che mangiano e si lasciano andare a commenti insoddisfatti sul proprio corpo, diventano inconsapevolmente modelli non sani per i figli.
I messaggi della società dell’immagine e dei social sono spietati…
Tutti noi siamo esposti a queste sollecitazioni, ma si ammala solo chi ha i fattori predisponenti di cui parlavo prima. Tuttavia, social non supervisionati da genitori poco attenti possono costituire una grandissima fonte di induzione al disturbo, anche nei più piccoli. Penso all’influenza disastrosa di TikTok: occorre che i genitori siano consapevoli e vigili.
Avete visto un aumento di casi in quest’ultimo anno segnato dal Covid?
Sì. Abbiamo registrato un notevole incremento delle forme più precoci – al di sotto dei 14 anni -, in particolare nelle due fasce di età che corrispondono ai passaggi di ciclo scolastico. Probabilmente con la chiusura delle scuole queste ragazzine più “fragili” non hanno avuto il tempo necessario per integrarsi nella nuova classe e si sono trovate, durante la Dad, esposte alla visibilità in un contesto di pari che non conoscevano. E’ plausibile che questo abbia potuto aumentarne il timore di essere giudicate, esposte a commenti, criticate. Ovviamente non sono la Dad o TikTok, di per sé, a far ammalare di anoressia; si tratta sempre e comunque di ragazze che hanno caratteristiche predisponenti.
Quali sono i danni sulla salute?
Se c’è la possibilità di intervenire rapidamente perché i genitori ci portano le loro figlie, nell’età evolutiva le conseguenze sono generalmente ridotte e per lo più temporanee. Le più gravi sono quelle che incidono sulla crescita staturo-ponderale perché il picco di massa ossea si ha proprio in adolescenza; se viene bloccato da uno stato di malnutrizione è impossibile recuperarlo. Altre situazioni, come la perdita del ciclo mestruale – che nel tempo può costituire un problema – la bradicardia o l’abbassamento dei globuli bianchi, con una buona terapia possono essere corrette.
A quali campanelli d’allarme dovrebbero prestare attenzione i genitori?
Ogni bambino presenta segnali diversi, ma è bene che i genitori siano informati sulla combinazione di fattori che devono metterli in allarme. Il primo è la modifica delle abitudini alimentari: una ragazzina che inizia a mangiare meno, che si allontana al momento dei pasti o si impegna in attività che la tengano lontana da casa in quell’orario per sottrarsi all’osservazione dei genitori. E ancora: un aumento dell’ansia scolastica e delle ore di studio per essere sempre più performante. Se questo si associa ai fattori predisponenti di cui abbiamo parlato, nei genitori dovrebbe accendersi una spia. Ulteriori segnali sono il non voler più frequentare i luoghi di prima, continue richieste di rassicurazione sulle sue forme fisiche: “Sono più magra di… ?”, il soffermarsi a lungo davanti allo specchio tastandosi le ossa. Ma anche cambiamenti dell’umore: depressione, irritabilità o addirittura irascibilità. Ogni ragazzina può presentare un sintomo o l’altro, ma se la restrizione alimentare si accompagna ai fattori di rischio di cui abbiamo parlato non deve mai essere trascurata.
Quanto è importante una diagnosi precoce?
E’ fondamentale. Prima vengono prese in carico, prima si aiutano e si rompe questa condizione, prima guariscono. Perché dal disturbo alimentare si guarisce. Il 50% della popolazione guarisce completamente; un 25% guarisce mantenendo alcuni sintomi sotto soglia; il restante 25% richiede invece un tempo di trattamento più prolungato e può avere spesso bisogno di ricoveri presso strutture residenziali.
In che cosa consiste il trattamento?
Come sottolineato dalle linee guida internazionali, il trattamento in età evolutiva va condotto da una équipe multidisciplinare integrata e consiste in un programma terapeutico che coinvolga anche la famiglia, risorsa fondamentale per l’efficacia della cura. L’intervento medico deve essere affiancato da un percorso psicoterapeutico per affrontare gli aspetti psicologi e relazionali, cause profonde della malattia. In caso di importante comorbidità psichiatrica – depressione e/o ansia – si può prevedere anche un intervento farmacologico perché abbassare queste condizioni facilita il ripristino di un’alimentazione adeguata.