Alla ricerca di un “welfare umano”: il confronto con gli amministratori
Nella prima giornata del convegno organizzato dalla Comunità di Capodarco la relazione di Livia Turco e le considerazioni dell’assessore al Bilancio della regione Marche, Guido Castelli. Fra standardizzazione e budgetizzazione, il tentativo di rimettere in primo piano la questione sociale
Una riflessione condivisa sulle caratteristiche del welfare attuale e sulla necessità di ripensare i servizi nell’ottica di una maggiore valorizzazione delle persone che vivono una situazione di fragilità. La prima giornata del convegno “Welfare umano”, organizzato dalla Comunità di Capodarco di Fermo, ha raccolto i contributi del mondo della politica e del territorio, chiamato a confrontarsi sui passi da fare per tornare ad una maggiore umanità nell’erogazione dei servizi pubblici.
Nel pomeriggio che ha visto il contributo assai particolareggiato dell’ex ministra della Solidarietà sociale e della Salute Livia Turco, sul tavolo si sono avvicendati anche gli amministratori del territorio, chiamati in prima persona all’elaborazione di un obiettivo di fondo che costituisca un valore aggiunto nella gestione dei servizi di welfare.
Nel suo intervento Guido Castelli, assessore a Bilancio, Finanze e Ricostruzione della Regione Marche, ha ricordato come negli ultimi anni le grandi mobilitazioni di spesa disposte dal governo nazionale non hanno riguardato l’ambito dei servizi e certamente non quello del sostegno alle persone con disabilità, e che il sistema di welfare nel suo complesso “è arrivato già disadorno alla pandemia, che poi ha fatto esplodere la questione della tenuta del sistema”. In questo contesto – ha detto Castelli – “dobbiamo ridare centralità alla questione sociale: c’è bisogno che si sviluppino azioni di stimolo e di sollecitazione qualificate, per uscire dalla logica in cui l’adesione allo stile anglosassone della budgetizzazione e del minutaggio ci ha portati”. E dobbiamo farlo assai presto, ha ammonito, usando “le leve del discernimento”, perché la stagione di grande abbondanza legata ai fondi del Recovery Fund non durerà a lungo: “Ci aspettano tempi non semplicissimi sul piano dei servizi e dunque sul piano dei diritti”.
Castelli ha anche affermato che è necessario che chi si occupa di amministrazione aggiorni le proprie mappe cognitive per contestualizzare le cose secondo la prospettiva dei tempi: il welfare, ha detto, “deve misurarsi con la mediazione tecnica, che è necessaria a tal punto che sarebbe antistorico farne a meno”. Al tempo stesso occorre ricordare che il welfare è chiamato a contrastare gli effetti indesiderati di un fenomeno di per se stesso profondamente positivo, cioè l’allungamento medio della vita. Il calo demografico, in particolare, rappresenta secondo Castelli lo scenario globale dentro cui non è possibile non pensare il sistema dei servizi. L’obiettivo che dunque si ha davanti è quello di fare in modo che il destinatario del welfare sia reso protagonista dell’intervento: “Parte di una soluzione e non solo destinatario di un budget”. Occorre quindi muoversi per “creare un sistema di relazioni in cui la capacità di non standardizzare l’altro da sé è una sfida che precede la costruzione di un welfare umano”.
Tre i pensieri che ha portato al dibattito Riccardo Sollini, direttore della Comunità di Capodarco. Il primo è quello direttamente legato alla vita della Comunità di Capodarco, che con questo convegno riapre le porte al contatto umano e fisico interrotto due anni fa all’emergere della pandemia. “E’ stato duro interrompere, ma ora è il momento di aprire le porte non solo in termini fisici ma anche di pensiero, nella necessità di rimettere in fila dei concetti che qui sono vissuti sempre e di approfondire un modello che ha il valore di mettere al centro la persona e la possibilità di vivere un benessere e un futuro”. Il secondo pensiero è quello rivolto agli operatori che lavorano nelle strutture: “Welfare umano significa avere operatori che abbiano la possibilità di vivere bene. In un mondo in cui il welfare stesso è stato messo a bando, in cui si è persa l’idea di una professione come diritto, si vedono varie tipologie contrattuali, precarietà elevata, un disfacimento del livello di attenzione. Noi in Comunità abbiamo scelto l’inquadramento contrattuale più alto, perché l’aiuto e la professionalità nell’aiuto viene anche dal buon coinvolgimento degli operatori”. Il terzo pensiero riguarda la necessità di confrontarsi e di parlare: “Abbiamo bisogno di attivare la dimensione dell’interazione per narrare una società che possa avere una prospettiva a lungo termine: e in questo l’incontro deve essere anche con l’età dell’adolescenza che è la classe dirigente del futuro”. “Abbiamo una sfida davanti”, dice Sollini: “E’ quella di pensare un’architettura dei servizi che incida e accompagni la lettura delle esigenze delle persone, in una dimensione di assistenza umana adeguata che tenga conto della singola persona”.
Numerosi gli interventi istituzionali che si sono succeduti in apertura di incontro. Un saluto alla Comunità di Capodarco e un plauso per l’attività svolta sono arrivati da Vincenza Filippi, prefetto di Fermo: “In questa terra – ha detto – c’è una rete di volontariato e un tessuto sociale particolarmente forte e occorre essere particolarmente sensibili nel comprendere la relazione fra le difficoltà e i servizi rivolti ai cittadini e l’esigenza di un equilibrio dei conti pubblici”. Ricordando che “non si può pensare di trovare fonti di economia dalla pura razionalizzazione dei servizi”.
Dal sindaco di Fermo, Paolo Calcinaro, è arrivato l’invito a “paradigmare il welfare”: “Ci troviamo – ha detto – in un’epoca in cui le fragilità, che un tempo erano ben riconoscibili, si moltiplicano per complessità e per diversità, e non toccano solo chi viene da contesti molti difficili. C’è non solo una carenza economica, ma una povertà di idee, di passioni e in definitiva di futuro. Pertanto è necessario pensare al welfare perché le risposte sono profondamente diverse e perché c’è il rischio forte di una concorrenza fra le fragilità”. Un rischio che è particolarmente elevato nella situazione contingente di una guerra e del caro-vita che ne è derivato: “Una condizione – sottolinea Calcinaro - che sta incidendo molto sulla popolazione e che può marginalizzare ed erodere ampie fasce, portandole verso una condizione di nuova fragilità”. Un’evoluzione sociale che ci mette davanti a sfide sempre nuove nel campo del sostegno”.
Sull’importanza di sentirsi comunità ha insistito anche la sindaca di Monterubbiano, Maria Teresa Mircoli: “Al di là della comunità in senso fisico – ha detto - è importante sentirsi territorio, è importarsi sentirsi insieme come collettività, come paese. La cosa più importante è che un percorso di welfare si fa insieme, la rete dei servizi è preziosa”. “Ho ascoltato in campagna elettorale – ha affermato il neosindaco di Porto San Giorgio, Valerio Vesprini - le difficoltà e le paure che i cittadini pongono alle istituzioni: il tema del welfare umano è fondamentale, tanto più dopo una pandemia che ha modificato le abitudini e ha portato paure aggregative fra gli anziani e anche fra i giovani”.
“Il fatto che sentiamo il bisogno di precisare che il welfare sia “umano” – ha affermato il vescovo di Fermo, Rocco Pennacchio - significa che ci troviamo in un contesto culturale che è scivolato su un piano inclinato: di per se stesso, il welfare non avrebbe bisogno di un aggettivo come quello. Occorre capire in quali direzione devono muoversi coloro che si occupano delle misure a sostegno delle persone che hanno maggiori bisogni, liberando la parole welfare di quel carico di burocratizzazione che alla lunga ammazza gli interventi”.