Addio al sociologo Giovanni Battista Sgritta
Professore emerito di Sociologia all’Università “La Sapienza” di Roma e managing editor della “International Review of Sociology”, una vita dedicata allo studio e alla ricerca. Nei suoi interventi a Capodarco il ruolo del terzo settore e la crisi del welfare
Addio al sociologo Giovanni Battista Sgritta, uno dei padri della ricerca sociale italiana, un grande studioso che ha dedicato la vita alla didattica e alla ricerca, con numerosi studi su lavoro, famiglia e giovani. Professore emerito di Sociologia all’Università “La Sapienza” di Roma e managing editor della “International Review of Sociology” Giovanni Battista Sgritta è morto nella serata del 28 febbraio, a 78 anni.
Nato a Merano (Bolzano) il 24 giugno del 1943, aveva intrapreso la carriera accademica subito dopo la laurea in Scienze statistiche e demografiche. Professore ordinario di Sociologia dal 1993, il 17 marzo del 2015 è stato nominato “Emerito” dal Senato accademico dell’Università di Roma La Sapienza. In quell’occasione la comunità scientifica del Dipartimento di Scienze Statistiche sottolineò il riconoscimento “a coronamento d’una carriera proficua dal punto di vista sia della didattica, sia della ricerca”.
Autore di numerosi libri sui temi dell’inclusione sociale, della crisi e della discriminazione (tra cui “Dentro la crisi - Povertà e processi di impoverimento in tre aree metropolitane” - Franco Angeli), Sgritta è stato direttore del master “Fonti, strumenti e metodi della ricerca sociale” ed è stato anche membro della Commissione di indagine sull’esclusione sociale.
Nel 2016 era intervenuto alla due giorni dedicata ai 50 anni dalla fondazione della Comunità di Capodarco. "Lo Stato sociale è cambiato in peggio, quello che avevamo 20 o 30 anni fa si è progressivamente degradato. - aveva spiegato - I mali sono la frammentazione istituzionale, la commistione tra previdenza e assistenza, l'incapacità redistributiva, la mancanza di un reddito minimo non categoriale e non contributivo. Sono aumentate la povertà assoluta e quella relativa, i giovani sono stati massacrati non solo dalla crisi ma anche dalla carenza di politiche rivolte a loro, è cresciuta la disuguaglianza. Stiamo costruendo sulle macerie: non si tratta più di esclusione sociale, siamo all’espulsione sociale”. Qualche anno prima, nel 2014 la rete delle comunità e delle associazioni aderenti in tutta Italia alla Comunità di Capodarco lo avevano chiamato a un confronto sullo stato sociale in Italia, in vista del lancio di un appello condiviso con la richiesta di "stati generali del welfare". Quattro i grandi nodi al centro dell'analisi, per una "revisione radicale dell’attuale assetto del welfare": povertà, malattia, solitudine, emergenze.
E ancora nel 2013, sempre alla Comunità di Capodarco, in occasione dei 20 anni del seminario per giornalisti di Redattore sociale, dedicato a "La sostanza e gli accidenti", aveva parlato a un platea attenta di come “avvicinarsi all’essenziale” e dei "mali" del modello di welfare italiano.
Più recentemente, lo scorso anno, subito dopo l’inizio del lockdown, interpellato da 50&Più sul cambiamento delle relazioni sociali Sgritta aveva spiegato che “questa epidemia ha dato un colpo durissimo ad una socialità fragile. Pensiamo soprattutto a chi sulla socialità fa conto per l’assistenza e la sopravvivenza, come gli ultimi della società, le persone senza casa, senza fissa dimora, coloro che sono affetti da malattie gravi. Finora potevano contare sull’attenzione di associazioni, volontari, di una comunità, e oggi le difficoltà nel garantire una continuità a questo aiuto si sono moltiplicate, perché il Coronavirus ha abolito la promiscuità. La speranza è che non ci sia una totale assuefazione ad un livello di vita dove non solo la sicurezza è precipitata, ma anche il livello di cura cali pericolosamente: gli ospedali al momento hanno rinviato tutto ciò che non è urgente, e le persone seguite per altri motivi che non riguardano il virus rischiano di tenersi addosso anche la paura delle cure mancate. Agire senza attendere le emergenze deve diventare la priorità: pensiamo alla telemedicina, di cui si parla dagli anni Novanta ma che concretamente non è mai diventata uno strumento di prossimità, non rimandiamo più i servizi che in situazioni come quella di oggi avrebbero sicuramente aiutato”.