#zittocancro: Dyakadja, Alessandra e le altre “sorelle guerriere”
In cura al Gemelli e allo Ieo, si sono conosciute su Facebook. Cinque donne con un tumore triplo negativo al seno, mamme di due figli, con la voglia di riprendersi in mano le loro vite. Da un selfie su WhatsApp è partita la storia di #zittocancro, per mettere a tacere il male che le ha colpite
MILANO – Cinque amiche, uno selfie condiviso per scherzo, la voglia di condividerlo sui social con l’hashtag #zittocancro. La risposta, poderosa, della rete, che comincia a imitare quell’immagine e a rilanciare il tag: prima i familiari, poi gli amici, i conoscenti. E alla fine, anche sconosciuti e volti noti del mondo dello spettacolo e dello sport.
Il selfie da cui tutto è partito è quello di Dykadja Paes, 28enne brasiliana arrivata, per amore, a Roma. Moglie felice, madre innamorata di due bambini piccoli. Dopo un’infanzia non semplice, Dykadja nella capitale trova il suo equilibrio, la sua pace: “Tutto è cambiato quando, un giorno, mentre allattavo il mio secondo figlio notai qualcosa che non andava. Mia mamma è morta a 39 anni per un tumore al seno, mi ero ripromessa che, finito il secondo allattamento, sarei andata a fare il test genetico. Ma il cancro è stato più veloce: mi è stato diagnosticato un triplo negativo. Visite e poi esami, la scoperta di avere la mutazione genetica BRCA1. Mastectomia, chemioterapia, radioterapia”. Ed è in quel periodo che Dykadja entra a far parte di un gruppo Facebook che oggi, senza esitare, chiama “la mia seconda famiglia”. È un gruppo di donne con tumore al seno triplo negativo: “Amo ballare e ridere, non ho masi smesso. Amo la vita ma, diciamocelo, la diagnosi è stato un duro colpo. Fortunatamente, al mio fianco ho sempre avuto la mia famiglia e i miei amici, una rete solida che non ha smesso un attimo di sorreggermi. In quel gruppo, invece, ho conosciuto anche tante ragazze completamente abbandonate a loro stesse così, nel mio piccolo, ho pensato di condividere con loro il mio innato ottimismo. Sapere che qualcuna, anche grazie alle mie parole, si è sentita meno sola, per me, è stata una grande terapia. Aiutare a stare bene loro, faceva stare meglio anche me”.
Tra i membri del gruppo, Dykadja – in cura al Gemelli di Roma – sviluppa un particolare feeling con 4 ragazze seguite dallo Ieo di Milano. Tra queste, Alessandra Giordani: “Il 5 novembre del 2018, al controllo senologico annuale – lo faccio da quando avevo 25 anni: a 13 anni, per un tumore al seno, ho perso la mamma, e anche mia nonna ha avuto il cancro al seno, due volte – mi trovano un nodulo. Dopo 24 ore l’ecografista mi dà l’esito: c5, massimo grado e nessun dubbio sulla malignità. All’inizio di dicembre mi fanno la mastectomia al seno sinistro e dopo dieci giorni ricevo l’esito dell’istologico: cancro triplo negativo. Mi fanno il test per la mutazione genetica e risulto BRCA1 mutata: ho l’85 per cento di possibilità per la mia mutazione di sviluppare un tumore al seno e il 60 per cento di svilupparne uno ovarico. Diagnosi che, dopo aver affrontato un percorso con una psiconcologa dell'istituto ed essermi confrontata con i medici, mi porta alla decisione di mettermi in lista per gli interventi di asportazione tube/ovaie, che farò a breve, e dell'altro seno, previsto verso la fine dell’anno. L’idea di un cancro ti devasta e l’intervento è stato alienante, come immagino lo saranno i prossimi due. Di fatto, vieni fisicamente mutilata in tutta la tua sfera femminile”.
“Quando il medico non basta, quando Google non basta – e anzi ti spaventa ancora di più –, decido di cercare sui social”. Ed è tra l’intervento e l’inizio della chemio che anche Alessandra scopre quel gruppo Facebook: “Ci scambiamo dubbi ed esperienze, chi ha già superato una fase o un ostacolo condivide le impressioni con chi ancora ci deve passare. Con alcune di loro decidiamo di vederci, ci incontriamo in ospedale. Ci conosciamo di persona e via Skype c’è collegata Dykadja: 5 donne tutte triplo negativo, tutte mamme di due figli. In tre con la mutazione. “Ci scambiamo i numeri di telefono e creiamo un gruppo su WhatsApp a 5 per condividere quotidianamente le novità di cure e interventi, controlli, ma anche più in generale come va la nostra vita. Così cresce la nostra amicizia”.
Ed è su quel gruppo che, un mese fa, Dykadja dà la notizia alle altre: “A 4 mesi da quella che credevo fosse la fine di quest’avventura, quando finalmente stavo riprendendo fiato, in piena estate arriva la seconda, inattesa e pesantissima, diagnosi: l'ospite non se n'è andato, il paracadute in qualche punto si è rotto, sono ufficialmente una malata oncologica metastatica – racconta la giovane brasiliana –. Chi è del ‘settore’ sa benissimo che dalle metastasi non si guarisce, si può solo vivere con questo peso cercando di metterlo a tacere il più a lungo possibile. Ma il come si decide di vivere con il tempo che ci è concesso può fare tutta la differenza del mondo. Io ho scelto di vivere bene, dando la forza di lottare a tutte quelle donne che l’hanno persa”.
Così, un giorno, in quella chat posta un selfie con l’indice sulla bocca e l’hashtag #zittocancro: “Ho immaginato che quel male avesse ripreso forma, che volesse ancora parlare, gridare più forte di me. Ma io non gliel’avrei permesso: avrei alzato la voce e l’avrei fatto stare zitto”. Per gioco, per solidarietà, le amiche postano le loro foto e quelle dei loro familiari, tutti con l’indice sulla bocca: “Ci siamo chieste: perché non condividere queste foto sui social? E così abbiamo fatto. Oggi centinaia di persone ci seguono in questa battaglia”, e sono arrivate anche le prime adesioni vip: Marek Hamsik, Marco D’Amore, Francesco Sarcina.
Dykadja, Alessandra e le altre “sorelle guerriere” (come si chiamano tra loro) non hanno nessuna intenzione di fermarsi qui: “Il nostro gioco si è trasformato in una specie di ‘terapia del buon umore’ – constata Alessandra –. E dunque, perché non continuare? Con la nostra idea, nella sua semplicità, potremmo invitare altre donne che, come noi, stanno affrontando lo stesso percorso a sentirsi meno sole. Potremmo aiutarle a non nascondersi – per esempio, abbiamo scelto di non vivere la chemio nascondendola con parrucche, solo cuffiette o nulla –, a condividere con le persone che stanno loro intorno quello che hanno dentro. Perché la condivisione, davvero, è una delle terapie più efficaci che esistano per ridurre i carichi che ognuno di noi deve sopportare”.