Welfare. E se gli enti di terzo settore sparissero? Impoverimento per l’intera società
Lo mette in luce il rapporto “Il Terzo settore e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile” realizzato dal Forum del terzo settore. Fondamentali durante la pandemia, si impegnano sempre più anche per realizzare l’Agenda 2030
La pandemia da Covid 19 ha cambiato anche il ruolo degli Enti di Terzo settore, che si sono trovati a rispondere a nuovi bisogni delle comunità e dei territori. Parallelamente è cresciuta la confidenza degli enti con gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030, Lo dice il Rapporto 2021 “Il Terzo settore e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile” presentato oggi. L’indagine è stata promossa dal Forum Terzo settore tra i suoi soci per monitorare l’impegno degli ETS italiani nel perseguimento dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile fissati dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.
La prima edizione nel 2017 aveva l’obiettivo di trovare un nuovo modo di leggere e interpretare l’impegno degli enti associati, alla luce dei 17 obiettivi, nel tentativo di organizzare e valutare le attività promosse per la costruzione di un modello di sviluppo equo, efficace e sostenibile. Il Rapporto 2021 parte dai numeri sempre crescenti del Terzo settore italiano, che tuttavia ha risentito fortemente della recente crisi pandemica da Covid-19 e degli impatti che questa ha avuto sullo sviluppo economico e sociale. L’analisi sul ruolo che gli Ets sono e saranno chiamati a svolgere nei prossimi anni è dunque ancora più approfondita e si è ritenuto necessario riprendere quell’indagine a partire da un interrogativo: cosa succederebbe se gli enti, di colpo, sparissero?
I risultati della ricerca sottolineano innanzitutto la molteplicità degli obiettivi di sviluppo sostenibile sui quali ciascuna rete è impegnata congiuntamente o parallelamente. Inoltre rilevante è l’impegno, comune a tutti i rispondenti, nella costruzione di territori sostenibili, nella riduzione delle diseguaglianze e nell’erogazione di servizi idonei a rispondere all’accrescimento delle capabilities di base (salute e istruzione) necessarie per l’attivazione di processi capaci di rendere la società maggiormente generativa, inclusiva e sostenibile. Importante è anche il volume di risorse umane impegnate a vario titolo per l’erogazione dei servizi e l’alto numero di beneficiari degli stessi, la pratica diffusa della costruzione di partenariati nello svolgimento delle proprie progettualità.
Dall’analisi emerge, dunque, la centralità del Terzo settore in termini di capacità di generare impatti multidimensionali, di costruire reti e di valorizzare le persone, sia dal lato dei beneficiari, sia dal lato dei lavoratori e volontari. Inoltre si sottolinea il valore di ridurre i conflitti sociali e attivare percorsi di economia inclusiva che superano la logica dell’assistenzialismo e generano coesione sociale. Importante è anche la capacità di valorizzare il territorio e l’ambiente naturale. “Queste molteplici capacità sono direttamente riconducibili alle “cinque P” dell’Agenda2030: Persone, Pace, Prosperità, Pianeta e Partnership - dimostrando, nei fatti, una coerenza intrinseca fra l’azione del Terzo settore e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile” si legge nel rapporto.
Stando ai dati la rete aderente al Forum del Terzo settore è impegnata mediamente in ben 9 obiettivi e 34 attività. Le reti che operano su un solo obiettivo sono solo il 3% del totale; più del 50% delle reti è invece impegnato nel conseguimento di almeno 10 o più obiettivi. Tutti gli obiettivi vedono operative almeno una o più reti nazionali: si va da un minimo di 9 enti (nel caso dell’accesso all’acqua) ad un massimo di 51 enti (per città e comunità sostenibili).
“Il report confuta una volta di più l’idea secondo la quale gli enti di Terzo settore si occupano di welfare e poco più - si legge ancora nel dossier -. I dati emersi dai questionari confermano un elemento che da sempre contraddistingue l’attività del Terzo settore: la capacità di essere rete, di essere costruttore di relazioni volte a valorizzare il capitale sociale e il contributo multisettoriale di diversi soggetti aventi un obiettivo comune da perseguire”.
Per quanto riguarda il metodo, le reti rispondenti alla survey hanno segnalato oltre 200 esperienze, un panorama ridotto rispetto alla quantità e qualità di tutte le attività che gli enti svolgono, ma comunque capaci di rappresentare l’importanza del Terzo settore. “Dalla lettura di queste esperienze si coglie quanto il venir meno degli enti del Terzo settore potrebbe rappresentare un notevole impoverimento per le nostre comunità e il nostro Paese - continua il rapporto -. . L’emergenza epidemiologica, con i suoi lockdown e le sospensioni di attività che ha determinato, ha messo a dura prova gli enti del Terzo settore, che sono stati variamente colpiti. Vi sono stati enti – quali ad esempio quelli impegnati nella protezione civile, nella sanità o nel trasporto medico – catapultati in prima linea (spesso anche senza i necessari dispositivi di protezione individuale); altri che hanno dovuto all’improvviso sospendere le proprie attività, spesso, con grande rapidità e adattabilità, reinventandosi e mettendosi a disposizione delle nuove esigenze (es. per portare cibo e farmaci agli anziani, conforto a persone rimaste separate dai propri cari, etc.); altri ancora alle prese con disposizioni che imponevano la cessazione dei servizi, e con l’impossibilità (e anche la non volontà di farlo) perché persone con disabilità e non autosufficienti e i minori (privati non solo della scuola ma anche delle più semplici occasioni di socialità) sarebbero stati lasciati al loro destino e privati di supporti fondamentali; infine, altri hanno interrotto le proprie attività con una perdita di occasioni di socialità che ha ulteriormente impoverito le nostre comunità”.
Così, nella drammaticità degli eventi, la pandemia ha rappresentato un rilevante “stress test” che ha messo in luce quanto gli enti del Terzo settore ( sia quelli che hanno continuato ad operare, sia quelli costretti alla sospensione delle attività siano cruciali per il nostro Paese). “L’Italia è il Paese con la più rilevante economia sociale d’Europa e riteniamo che questo sia un patrimonio prezioso” conclude la ricerca.