Vietnam, scommessa sul futuro. Un Paese emergente nel Sud est asiatico

Il Vietnam ha spiccato il volo e grazie a una serie di partenariati cresce a ritmi sostenuti. Da Saigon Giuseppe Hien Chuong, professore di italiano, racconta le trasformazioni e le attese per il futuro di una nazione che ha saputo lasciarsi alle spalle la guerra e vivere la pace come occasione di sviluppo

Vietnam, scommessa sul futuro. Un Paese emergente nel Sud est asiatico

Con i suoi 98 milioni di abitanti, più della metà dei quali non hanno conosciuto la guerra, il Vietnam vive un boom economico, che gli permette di essere uno dei mercati più promettenti della regione dell’Association of South-East Asian Nations-Asean. Lo certifica il report della Banca mondiale che lo promuove (con lode): “Il Vietnam è stato una storia di successo nello sviluppo economico. Le riforme economiche avviate nel 1986 con il Doi Mòi (Rinnovamento), insieme alle tendenze globali positive, hanno contribuito a far passare il Vietnam da una delle nazioni più povere del mondo a un’economia a medio reddito in una sola generazione. Tra il 2002 e il 2022, il Pil pro capite è aumentato di 3,6 volte, mentre il tasso di povertà è sceso dal 14% del 2010 al 3,8 del 2020”.

Da Ho Chi Min City, un tempo capitale col nome di Saigon, Giuseppe Hien Chuong, 41 anni, insegnante di italiano, spiega che il suo è “un Paese di grandi energie, dove la vita della gente è molto migliorata, soprattutto dal 1994 in poi con il ritiro dopo 30 anni dell’embargo degli Stati Uniti. Anni molto difficili per noi, in una nazione da ricostruire dalle guerre: da quella americana (1955-1975) a quella con i Khmer Rossi cambogiani (1978). La riunificazione dei due Vietnam nel 1976 sotto il governo del Nord come Repubblica socialista ha sanato la ferita profonda della guerra e sancito il forte sentimento di unità nazionale”.Ora il Pil è al 6%, il popolo vietnamita è giovane: il 70% degli abitanti ha meno di 35 anni, i ragazzi con meno di 15 anni sono più del 23%.

Le generazioni nate dopo i conflitti guardano al futuro, vogliono fare del loro Paese – una lunga striscia di terra sotto la pancia della Cina, grande più o meno come l’Italia, con 3.000 chilometri di coste, e megalopoli abitate da milioni di persone – un hub di sviluppo industriale e di nuove tecnologie, specialmente nel campo dell’intelligenza artificiale.

Intelligenza artificiale. “Negli ultimi anni c’è molta richiesta nel campo della tecnologia – continua Hien Chuong –, anche all’università in moltissimi si iscrivono alle facoltà di informatica, in particolare nel campo dell’intelligenza artificiale; il Vietnam è stato uno dei primi a lavorare in questo settore, anche la produzione di tecnologie di ultima generazione ha fatto grandissimi progressi: si lavora molto per il mercato interno, ma ci sono importanti collaborazioni con industrie e fabbriche soprattutto americane”.

Voglia di migrazione. C’è anche l’altra faccia della medaglia: oltre alle continue migrazioni interne che portano i lavoratori dalle campagne alle principali città industriali, ci sono anche tanti giovani che vogliono emigrare, spiega Bianca Maisano, missionaria secolare Scalabriniana da Saigon perché “dopo tanti anni di chiusura ai contatti internazionali molti ragazzi studiano le lingue per partire. C’è chi studia il tedesco giorno e notte, ad esempio, per poter andare in Germania dove sono stati avviati intensi programmi di formazione professionale per l’infermieristica, la ristorazione e l’edilizia per inserire giovane forza lavoro immigrata”.

Made in Vietnam. La Repubblica socialista del Vietnam ha trovato una sua strada di sviluppo particolare basata sulle logiche del libero mercato come basi di alleanze geopolitiche e ora, con un diffuso livello di formazione scolastica e professionale, mette a frutto le risorse umane e naturali con una serie di progetti in collaborazione con molte potenze straniere, dalla Russia agli Stati Uniti, passando dalla Corea del Sud alla Cina, dal Giappone all’Australia.

Una strategia geopolitica vincente ai fini dello sviluppo dell’economia che ora può contare anche sul fiorente mercato del turismo internazionale.

E poi c’è il settore dell’abbigliamento che va alla grande, come spiega Hien Chuong: “Siamo diventati la ‘fabbrica del mondo’, molte borse, scarpe firmate e capi di abbigliamento di marca (Nike, Adidas, Zara) sono made in Vietnam. Senza dimenticare che siamo il secondo Paese al mondo fornitore di terre rare dopo la Cina, ci sono risorse con riserve di circa 22 milioni di tonnellate: le terre rare sono molto importanti per produrre semiconduttori, chip, batterie. Non manca il petrolio nei profondi giacimenti nel Mar della Cina Meridionale che viene estratto in partnership con aziende giapponesi, russe, americane”.

Villaggi e megalopoli. Del vecchio Vietnam restano i villaggi sempre più spopolati mentre il nuovo cresce nelle megalopoli come Saigon, Da Nang, Hanoi la capitale. Città che non dormono mai, dove vecchie povertà convivono in contesti ultra moderni. Dai quartieri del centro ai villaggi sembra di fare un salto di epoche “nelle montagne al Nord dove ci sono molte etnie minoritarie, c’è ancora povertà – continua Giuseppe –. Ma l’urbanizzazione è anche un trend positivo: sono nato nella regione del Delta del Mekong dove la mia famiglia coltivava riso, la mia generazione ha visto il cambiamento, da 30 anni tutto è meccanizzato, dalla semina al raccolto tutto si fa con i trattori”. Hien Chuong è di famiglia cattolica da generazioni: “I miei genitori si sono spostati nel 1954 al Sud perché nel Nord c’era il governo comunista contrario ai cattolici, in quegli anni ne sono partiti circa un milione e per questo ora in quest’area ci sono comunità più numerose. Oggi c’è più libertà religiosa, e nel luglio dello scorso anno è stato firmato l’accordo per le relazioni diplomatiche con la Santa Sede. I cattolici sono oltre 15 milioni, rappresentano circa 15% della popolazione, sono molto praticanti, ci sono molte vocazioni, il clero locale è vivo come testimoniano sacerdoti, vescovi e i missionari vietnamiti nel mondo”.

Preti vietnamiti ad gentes/1 – Padre Nguyen Dung Luc, restituire il dono della missione

“Mi piace essere missionario in Italia, mi sono sentito accolto con calore. Ho studiato a Roma da giovane prete e ora sono tornato dal 2020 per restare”. Padre Nguyen Dung Luc, 40 anni, Scalabriniano, viene dalla provincia del Dong Nai, vicino Saigon. È uno dei 50 sacerdoti della congregazione che viene dal Vietnam e dice sorridendo che “il cognome più comune tra i 700 confratelli è proprio Nguyen”. Un segno della vitalità di questa Chiesa del Sud est asiatico e del fiorire di numerose vocazioni che oggi vedono missionari Scalabriniani nel mondo, dall’Australia a varie città italiane, in Germania a Monaco, a Londra, a Calais in Francia, ma anche in Nord e Sud America. “Gli Scalabriniani sono arrivati in Vietnam nel 2005 – racconta padre Nguyen Dung –. All’inizio eravamo pochi studenti, vivevamo in piccole comunità in appartamenti, poi grazie all’aumento delle vocazioni, il nostro numero è cresciuto in fretta. Sono in Italia con spirito di servizio e di restituzione della fede ricevuta dai missionari europei venuti nel mio Paese. Ma per il servizio non basta il ricordo, c’è una donazione da vivere ogni giorno in mezzo alla gente, che parla la lingua del Vangelo, ed è fatta di attenzione nelle relazioni umane. E quel sentirsi a casa propria ovunque si parla di Cristo”.

Preti vietnamiti ad gentes/2 – Padre Thao tra i migranti in Calabria

A Reggio Calabria, nella chiesa dei Santi Filippo e Giacomo in San Agostino, padre Thao, il viceparroco è impegnato nel Centro ascolto “dove aiutiamo i migranti per le pratiche dei documenti, distribuiamo cibo e altri beni essenziali. La sera c’è scuola per gli adulti (è importante conoscere la lingua), nel pomeriggio dei volontari fanno dopo scuola ai bambini e ai ragazzi”. Anche padre Thao è missionario Scalabriniano, ha 34 anni e viene dal Vietnam, un Paese che “ha molto sofferto dell’isolamento internazionale in cui è stato chiuso per decenni ma in cui ora c’è apertura, c’è libertà religiosa – sottolinea –. Quando sono entrato in seminario era diverso”. La Chiesa vietnamita ha vissuto una prima evangelizzazione nel XVI secolo, ora ha 28 diocesi e numerose vocazioni. Padre Thao spiega la Chiesa vietnamita è ora impegnata particolarmente “nell’evangelizzazione di vari gruppi etnici, ce ne sono 54, ma più numerosi sono gli Xtieng. Tra le montagne del Nord, i missionari vanno nei villaggi si occupano che i bambini siano alfabetizzati, aiutano gli abitanti per i problemi sanitari e le cure mediche. La missione non conosce confini e ovunque mette al centro la persona umana”.

Miela Fagiolo D’Attilia (*)

(*) redazione “Popoli e Missione”

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Fonte: Sir