Tra apertura e popolarità: il nuovo legame della parrocchia con il territorio
Il legame della parrocchia con il territorio è centrale, ma va inteso in modo nuovo: non può più essere solo geografico, ma legato alla vita delle persone

La parrocchia nella storia ha sempre avuto un rapporto profondo con il territorio; la sua identità però è mutata nei secoli. «Fino al 3° secolo la Chiesa è presente quasi esclusivamente in città: la paroikìa descrive un’assemblea liturgica che si riunisce in una casa privata, attorno al vescovo. A partire dal 6° secolo, la parrocchia diventa il perno dell’attività religiosa e civile per le popolazioni delle campagne: è il luogo di ritrovo della comunità cristiana. Il Concilio Lateranense IV nel 1215 istituisce la cosiddetta “parrocchia necessaria”, cioè ogni fedele è obbligato a essere inserito nel territorio di una parrocchia. Sarà infine il Concilio di Trento a istituire la struttura giunta fino ai nostri giorni: un parroco, una comunità, un territorio». Così don Rolando Covi, docente della Facoltà teologica del Triveneto e curatore, con Andrea Pozzobon, del libro Rigenerare la parrocchia, nato dal laboratorio teologico-pastorale promosso dall’Issr di Verona e sostenuto dalla Facoltà teologica del Triveneto, condotto da un’equipe coordinata da Enzo Biemmi e composta da laici, laiche, religiose e presbiteri.
Nella mobilità che caratterizza il nostro tempo, la parrocchia ha ancora la funzione di generazione e rigenerazione della fede?
«Oggi la grande mobilità e la virtualità mettono in forte discussione la costruzione dei legami in rapporto a un determinato territorio e quindi non possono non incidere anche sull’identità della parrocchia. Il laboratorio si è chiesto se fosse quindi ipotizzabile abbandonare questo legame, per accogliere altre forme parrocchiali, già presenti in nord Europa: ad esempio, comunità di piccoli gruppi, legate a un’esperienza o a un momento della vita dell’adulto. Ci è sembrato però che per questa via si perdesse l’universalità della fede, che si traduce in una proposta senza distinzioni né scelte previe, perché garantita dalla prima condizione di un essere umano, quella di avere un luogo dove abitare. La cattolicità della fede, espressa dalla parrocchia, e la sua conseguente apertura a tutti, quindi il suo carattere popolare, non possono essere abbandonate».
Come può oggi la parrocchia essere segno e strumento di uscita verso nuovi modi di abitare il territorio?
«Posto il valore del legame territoriale, si pone la questione di come viverlo, visto il grande cambiamento rispetto al passato. Se si intende come territorio uno spazio da presidiare, allora la parrocchia non ha più le forze e le possibilità per farlo. Se invece si intende per territorio l’insieme dei luoghi dove la vita si dà nelle sue esperienze umane fondanti, e dove gli indicatori del quotidiano si esprimono, anche attraverso offerte diversificate con le quali dialogare, allora la parrocchia può riscoprire in modo nuovo il suo stare dentro un territorio».
Quali esperienze avete raccolto sul campo?
E quale direzione suggeriscono queste esperienze? «Le esperienze ascoltate – aule studio per universitari, parrocchia di San Carlo in Diocesi di Padova; Via Crucis della misericordia, parrocchia di Santa Maria a Rovereto, Diocesi di Trento; ripensamento di uno spazio pubblico come giardino nella parrocchia di Creazzo, Diocesi di Vicenza – sono nate dalla risposta a un bisogno concreto e sono frutto di un continuo “sconfinamento” tra la comunità cristiana e quella porzione di territorio, in una reciprocità che genera. Ci pare una via interessante, da esplorare, per permettere il necessario e non più derogabile “dimagrimento” necessario delle strutture parrocchiali, perché le energie possano concentrarsi attorno alla vita, lì dove accade».