Tam Tam Basket e gli altri. Se lo ius soli sportivo non basta a tutelare i ragazzi
Domani il Tar si pronuncia sul ricorso della squadra di Castelvolturno formata da ragazzi nati e cresciuti in Italia ma formalmente stranieri: deciderà se potranno gareggiare nel torneo di basket di eccellenza. Il coach Antonelli: “Paradossale ma siamo fiduciosi”. Molea (Aics): “Il paese abbia coraggio e riconosca i diritti di tutti”
Sono tutti nati e/o cresciuti in Italia ma per sapere se potranno gareggiare nel torneo di basket di eccellenza devono attendere la decisione di un giudice. L’esito del ricorso al Tar del Tam Tam basket, la squadra di Castelvolturno formata da ragazzi di seconda generazione, si saprà domani. Ma la storia fa già discutere. Non è la prima volta, infatti, che la squadra deve appellarsi a deroghe e ricorsi per partecipare a una competizione: nel 2017 fu inserito in finanziaria un emendamento chiamato “norma salva Tam Tam basket”, Anche la legge sullo ius soli sportivo, è ispirata - tra le altre -alla vicenda dei ragazzi di Castel Volturno. E’ per questo che oggi questa storia che si ripete riapre la discussione sulla necessità di superare le norme settoriali e ripensare la legge sulla cittadinanza per permettere a tutti di avere gli stessi diritti.
“L’esito del ricorso lo sapremo domani, ma siamo fiduciosi - sottolinea Massimo Antonelli, allenatore e mentore del Tam Tam basket -. Le norme ci sono, se le federazioni vogliono possono attuarle. Possono cioè far giocare i nostri ragazzi, che sono tutti nati o cresciuti qui, che vivono qui, che frequentano le scuole qui. Noi abbiamo sempre auspicato che lo ius soli sportivo potesse fare da apripista per riconoscere chi è nato e cresciuto in Italia. Se la scuola li riconosce, se li riconosce lo sport perché non può riconoscerli lo Stato? - aggiunge -. La politica deve occuparsene così come chi si occupa di sport non deve mettere ostacoli al suo esercizio”. Antonelli sottolinea però un grande paradosso: “ci sono federazioni che attuano lo ius soli sportivo, federazioni più sensibili e più inclusive, che sanno stare al passo dei tempi, attenti ai cambiamenti sociali e che ne sanno cogliere al meglio le opportunità - spiega -. Ma i nostri ragazzi hanno ispirato la 'norma salva Tam Tam Basket' e sono i primi a non beneficiarne. Il mondo sembra che vada così ma non ci rassegniamo, crediamo in quello che facciamo a costo di perdere la battaglia ma non l’aspetto umano che sta dietro a tutta questa assurda vicenda”.
La storia
La vicenda del Tam Tam Basket è tornata al centro delle cronache a fine ottobre quando la squadra ha ricevuto il diniego all’iscrizione nel torneo di basket di eccellenza, dopo aver vinto il campionato under 15 nel 2019. “La nostra è una storia infinita, difficile da raccontare. Una storia che ritengo di parità universale dei diritti al gioco dei ragazzi - spiega Antonelli -. Ci siamo iscritti ai campionati di eccellenza sia con la Under 19 che con l’Under 17 e contemporaneamente, d’accordo con i ragazzi, loro stessi hanno scritto la richiesta alla FIP di giocare in deroga”. Ma la Federbasket ha detto no a differenza di quanto accaduto nel 2017, nonostante la possibilità di applicare lo ius soli sportivo. Non si tratta più di un campionato regionale ma di eccellenza, inoltre a pesare potrebbe essere stato anche il parere negativo delle altre società che partecipano al torneo. Da qui, dunque, la decisione del rifiuto.
Il padre dello ius soli sportivo: “Il Paese abbia coraggio e riformi la legge sulla cittadinanza”
“Si tratta di una vicenda strana ma esemplificativa - sottolinea Bruno Molea, presidente dell’Aics (Associazione sportiva cultura e sport) e primo firmatario della legge sullo ius soli sportivo -. Quando proposi quella norma l’idea era inserire una legge che fondamentalmente potesse aprire la strada a una discussione approfondita. Non a caso si tratta di una legge semplice, volta a non condizionare ma aprire il dibattito. Ma oggi ci rendiamo conto che la discussione è rimasta lì e forse quella legge è anche poco sopportata. Dobbiamo però chiederci se siamo davvero un paese inclusivo o se, su questi temi, stiamo solo scherzando. Di ius soli sportivo si è riparlato durante le Olimpiadi per il caso di un ragazzo (Marc Jacobs, ndr) che era già italiano. Non possiamo ricordarci di dover diventare inclusivi solo quando si vince una medaglia d’oro”.
Secondo il padre dello ius soli sportivo, dunque, la legge Molea è solo “lo strumento da cui partire per consentire pari opportunità anche fuori dall’ambito sportivo. La legge prevede che i minori che risiedono regolarmente sul territorio da almeno i 10 anni di età possano regolarmente giocare, come tutti gli altri. Ma la situazione della Tam Tam è perfino paradossale: i ragazzi iscritti all’associazione sportiva dilettantistica di Castelvolturno sono per lo più figli di immigrati, nati in Italia e che qui vivono da sempre. Da anni parliamo dello sport come leva di inclusione e coesione sociale ma poi ci si blocca sulle classifiche o sulle questioni di lana caprina.”
Quello che serve è una “legge nazionale di riforma della cittadinanza anche partendo magari dallo sport - aggiunge Molea - Come si fa a non dare a un ragazzo minorenne la possibilità di beneficiare della terza agenzia formativa del paese, in cui l’inclusione dovrebbe essere naturale? Come si fa a impedire a questo ragazzo di integrarsi nel tessuto in cui vive? Come si può pensare che diventino cittadini a tutto tondo se interveniamo frenando la loro formazione?”.
Per il presidente di Aics anche se domani il Tar dovesse emettere parere positivo sul caso Tam Tam Basket, il caso non è chiuso: “non si deve ricorrere a un tribunale per avere ciò che è dovuto. Il paese deve mostrare coraggio, deve guardarsi intorno e riconoscere davvero i diritti di chi è nato e cresciuto qui”.