Studenti disabili, la didattica è in presenza. Ma raramente è “inclusiva”

Claudia Frezza, insieme al Ciis, aiuta le famiglie a combattere la battaglia spesso necessaria per far valere un diritto: quello della frequenza, per gli studenti disabili, insieme a un gruppetto di compagni. “Credo che non più del 10% degli studenti disabili sia ora in presenza con i compagni. Il 40% è solo in classe, gli altri a casa”. Le storie di Claudia e di Michela

Studenti disabili, la didattica è in presenza. Ma raramente è “inclusiva”

Non solo presenza, ma presenza inclusiva: lo dice la norma, ma sembra utopia, quanto previsto da diverse circolari, tra cui l'ultima del ministero dell'Istruzione, la n. 662, che ha ribadito la necessità di garantire la “effettiva inclusione” degli studenti con disabilità anche nelle zone rosse. In altre parole, sempre in presenza e mai da soli, ma con un gruppo ristretto di compagni. Un diritto, quindi, scritto a chiare lettere, che però difficilmente le istituzioni scolastiche recepiscono e mettono in pratica.

“Io credo che non più del 10% degli alunni con disabilità stia frequentando la scuola insieme al famoso 'gruppo eterogeneo'. Circa il 40% è in classe da solo, con l'insegnante di sostegno. E gli altri sono a casa”: non sono dati ufficiali, ma l'esperienza vissuta da Claudia Frezza, mamma di una ragazza con disabilità, che già a novembre scorso, in Abruzzo, è riuscita a garantire a sua figlia la “presenza inclusiva”, riportando di fatto in classe un gruppo di compagni, quando la didattica alle scuole superiori era al 100% a distanza. “Allora la questione toccava solo pochi, perché a stare a casa erano i ragazzi più grandi – ricorda Frezza - Ma ora che tutte le scuole sono di nuovo a distanza, l'impatto è molto più forte, soprattutto per i bambini con disabilità. Così ho deciso di aiutare i genitori che non non conoscono le norme, o non riescono a farle applicare. Li aiuto a combattere la loro battaglia, perché i diritti dei loro figli siano rispettati. Perché per ottenere la presenza inclusiva, c'è quasi sempre una battaglia: e tanti si arrendono, o si accontentano di quel che passa il convento, accettando di mandare i propri figli a scuola senza compagni”.

Un “modello” di lettera da inviare ai “dirigenti negligenti”

Concretamente, Claudia ha elaborato, insieme a Evelina Chiocca e al Ciis, un modello di lettera, con tutti i riferimenti normativi: “Lo mando alle famiglie che mi chiedono aiuto, affinché possano inoltrarlo ai loro dirigenti. Perché la prima cosa da fare è scrivere, per chiedere che sia realizzato quanto disposto dalla normativa. E se non basta, occorre alzare i toni, mettendo in conoscenza l'Ufficio scolastico regionale. Allora, miracolosamente, quando l'Usr viene informato, si ottiene il gruppo eterogeneo. Altrimenti, nella migliore delle ipotesi, i dirigenti 'concedono' ai soli studenti con disabilità di frequentare la scuola: la scusa è la gravità dell'epidemia, approfittando del fatto che i genitori sono disperati e disposti ad accettare anche questa soluzione. Ma se così fosse, la scuola dovrebbe essere chiusa, perché anche insegnanti di sostegno e gli studenti con disabilità rischiano. Se la scuola è aperta, deve essere inclusiva. Altrimenti è cattiveria. E contro la cattiveria dobbiamo combattere con tutte le nostre forze”.

“Da soli a scuola non li mando, sarebbe orribile”

E' quello che sta facendo Michela Orsatti, mamma di Raffaele, che frequenta la prima elementare, e di Francesco a Tommaso, gemelli con autismo. Michela vive in provincia di Brescia e da ieri i suoi figli sono a casa. “I gemelli potrei mandarli, la scuola mi propone questa opzione. Ma io la rifiuto perché mi fa orrore – afferma – e anche se sono disperata, preferisco tenerli a casa che mandarli a scuola in queste condizioni”. Con l'aiuto di Claudia Frezza, Michela ha scritto alla scuola: “Ho mandato stamattina una mail chiedendo di fare didattica in presenza con un gruppo di compagni. I genitori sono d'accordo, abbiamo già organizzato tutto. Eppure, la referente del sostegno, con cui ho già preso contatto, si è appellata al fatto che nessuno lo sta facendo. È arrivata una comunicazione dalla scuola in cui si riconosce che tutto questo è previsto, ma la circolare della dirigente dispone che, alla luce della situazione epidemiologica, se gli studenti con disabilità vanno, devono andare da soli. Non sono disposta ad accettarlo, dopo quello che ho passato lo scorso anno, quando la scuola è sparita, gli insegnanti di sostegno anche e ho dovuto fare tutto da sola. Quest'anno i gemelli frequentano la quarta elementare, il piccolo la prima: la didattica a distanza è improponibile, ma non sopporto l'idea che Francesco e Tommaso siano a scuola da soli. Dovremmo forse ringraziare per questa bella possibilità di parcheggiarli in solitudine in questo ghetto? Mi batterò perché abbiano la didattica in presenza in modo inclusivo fin quando non l'avremo ottenuta”.

Una battaglia “a lieto fine”

Ha vinto la battaglia Claudia Guizzardi, mamma di Daniele, un bambino con autismo grave che frequenta la prima elementare a Roseto. “Siamo in zona rossa da due settimane e da due settimane mio figlio è da solo a scuola, con l'insegnante di sostegno. Mi è stato infatti proposto, inizialmente, che andasse in presenza ma da solo e con orario decurtato: non più dalle 8 alle 16 ma dalle 8.30 alle 13, con un Pei cambiato senza motivazione, perché la disponibilità di insegnanti e assistente per tutte le ore è stata confermata.
Io non ho aderito al nuovo Pei, ho chiesto che mio figlio frequentasse con un gruppo eterogeneo, come previsto dalla circolare. Nonostante ciò, la preside mi ha scritto per avvisarmi che Daniele avrebbe potuto frequentare, ma da solo. In una seconda mail afferma che la situazione epidemiologica da novembre a oggi è cambiata e che è necessario contemperamento tra interesse del singolo e della comunità. Insomma, ha puntato i piedi. A quel punto ho fatto segnalazione al provveditorato provinciale, ho raccontato la situazione a Claudia Frezza, che si è attivata con l'Ufficio scolastico regionale. Solo a quel punto, la dirigente ha contattato i genitori che si erano resi disponibili a mandare i figli a scuola, per dare il via libera. Io non ho ricevuto alcuna comunicazione ufficiale, ma proprio dai genitori ha saputo che da ieri Daniele avrebbe avuto con sé, a scuola due compagni, che si alterneranno con altri tre. Insomma, si è finalmente formato quel gruppo eterogeneo che chiedevo: cinque compagni e, a rotazione, tutti gli insegnanti curricolari.
Sono molto sollevata – ci dice – perché ho capito che questa solitudine per lui era pesante. Le maestre mi hanno detto che andava per le classi e quando le vedeva vuote aveva le sue crisi: un giorno ha fatto cadere tutte le penne, evidentemente percepiva che non c'era nessuno. Anche durante il lockdown, lo scorso anno, quando lo portavo a passeggio sul lungomare, era turbato da quel silenzio assordante. Sentiva solo il mare, mi tirava la mano perché voleva andare via. Stamattina ho parlato con le mamme che hanno portato a scuola i suoi compagni: tutte molto solidali e disponibili, mi hanno raccontato che i figli hanno portato dei giochi a scuola, da condividere con lui. E' stata una battaglia dure, ma a quanto pare l'abbiamo vinta. Ed era importante, molto importante vincerla”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)