Si fa spazio la sanità privata. Vincenzo Papes: «La sanità pubblica boccheggia. Un processo deflagrato dopo il Covid-19»

In Italia ci sono oltre settemila società con un totale di 19 miliardi di euro di ricavi. Nel solo Nordest sono 729 e generano 1,68 miliardi di euro. Il modello veneto premia da decenni i privati convenzionati. Una specie di “delega” a cui la Regione affida anche lo smaltimento delle liste d’attesa

Si fa spazio la sanità privata. Vincenzo Papes: «La sanità pubblica boccheggia. Un processo deflagrato dopo il Covid-19»

Cura, benessere, farmaci e supporti medicali. In Veneto (dati Infocamere) è un settore… miliardario che vale oltre 50 mila posti di lavoro. E Padova spicca nell’universo di aziende e società private più o meno concorrenziali con il Servizio sanitario nazionale.

La galassia di “unità locali”. Case di cura e poliambulatori, prodotti farmaceutici, apparecchiature elettromedicali, forniture medico-dentistiche, commercio e assistenza sanitari, servizi ospedalieri, centri benessere: una galassia che nel 2018, prima della pandemia, contava 9.502 aziende in Veneto, con 51.615 addetti e quasi 9 miliardi di euro di valore della produzione. E nella provincia di Padova i numeri erano significativi: 2.217 realtà economiche con 480 unità locali registrate che hanno presentato bilancio e 10.428 addetti per oltre 2,5 miliardi di euro di valore prodotto. L’anno scorso è arrivata la conferma del radicamento in Veneto con 9.919 aziende o società che fanno lavorare 56.746 addetti, anche se il fatturato è sceso a 7,4 miliardi. Nel primo semestre 2023 il trend resta positivo con 9.947 attività per 57.709 addetti. E nel Padovano è lo stesso: 2.301 presenze con 11.446 addetti e 2,5 miliardi di produzione nel 2022, mentre nella prima metà di quest’anno le cifre sono diventate 2.321 e 11.605.

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La sanità privata. Gli ultimi dati dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) certificano una spesa sanitaria in Italia di 4.630 euro per abitante, la Germania supera i 7.500 euro. Ma si fa sempre più largo la sanità privata che conta oltre settemila società sfiora i 19 miliardi di euro di ricavi con una crescita del 16 per cento nel 2019-2021. Nel Nordest sono 729 le società che generano 1,68 miliardi di ricavi. Spiega candidamente sul Gazzettino Vincenzo Papes, ex calciatore ora amministratore delegato di Centro di medicina (network di strutture sanitarie private e convenzionate, 200 milioni di euro di fatturato con 900 dipendenti): «La sanità pubblica boccheggia e il privato sta trovando spazi sempre maggiori: un processo deflagrato dopo il Covid e non lo ferma più nessuno».

Risorse ai convenzionati. Il “modello veneto” premia da decenni i privati convenzionati. Un flusso di denaro pubblico erogato in base agli accordi, che troppo spesso non sono verificati. Una specie di delega della Regione, che ora affida ai privati anche lo smaltimento delle liste d’attesa: «È stato assegnato un budget di 628 milioni di euro a privati accreditati di cui 383 milioni per ricoveri, 124 milioni per specialistica erogata da strutture private ospedaliere e 121 milioni per strutture ambulatoriali – è scritto nella Relazione socio-sanitaria della Regione – Inoltre è stato assegnato nel 2022 un budget aggiuntivo per recuperare le prestazioni sospese per la pandemia da Covid pari a 14 milioni di euro per le strutture ambulatoriali e 16 milioni per ricoveri e prestazioni ambulatoriali per gli erogatori ospedalieri». La contabilità 2022 dell’Ulss 6 Euganea ha registrato 1 milione e 20.665 euro al laboratorio analisi dell’ormai ex Data medica più altri 2 milioni e 148.960 mila alla radiologia e quasi 999 mila euro alla cardiologia; 1 milione e 775.23 euro alla riabilitazione del Cemes; altri 3 milioni e 454 mila nelle casse di Iniziativa medica a Monselice. Un business che ha sancito lo sbarco in grande stile della multinazionale Synlab, che ad Albignasego con la società satellite (10.400 euro di capitale sociale) gestisce 74 dipendenti, fattura 6 milioni e offre la risonanza magnetica ad alto campo 3 Tesla.

Si accende la spia. Antonello Maruotti, docente di statistica all’Università Lumsa di Roma, il ricercatore Pierfrancesco Alaimo Di Loro e Kathleen Johnson dell’Università della West Virginia hanno “fotografato” recentemente il “federalismo sanitario”. In Veneto 125.194 famiglie (pari al 5,9 per cento del totale) hanno speso oltre il 20 per cento del reddito per curarsi . È la percentuale più alta dell’intero Centro-Nord, ma anche il sintomo di un comportamento consolidato. Tant’è che in estate, Agenas (l’Agenzia dei servizi sanitari diretta da Domenico Mantoan) ha rilevato come in Veneto tra il 2018 e il 2022 si sia registrato un calo del 10 per cento nei ticket sanitari pagati dai cittadini. Del resto il dossier Istat presentato a maggio al Senato segnalava: «Nel 2021, ogni famiglia ha speso in media 117,8 euro mensili per la salute. Il 46,7 per cento assorbito dalla spesa per servizi ambulatoriali, il 42,9 per cento da prodotti farmaceutici e medicali, il 9,1 per cento da attrezzature e apparecchi terapeutici (per la maggior parte occhiali e lenti a contato) e l’1,2 per cento dalla spesa per servizi ospedalieri».

Assicurazioni alternative. Nel bollettino dell’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni si scopre che «i premi contabilizzati si sono attestati a 6,418 miliardi di euro, pari al 18,8 per cento della produzione dei rami danni, quota pressoché invariata rispetto al 2020 e in crescita rispetto al 2016 (16,8 per cento). La crescita ha interessato più il ramo malattia con un più 5,3 per cento rispetto al 2020 e meno il ramo infortuni con un più 3,2 per cento. I premi del lavoro diretto italiano nel ramo malattia, raccolti nel 2021 dalle 58 imprese vigilate sono pari a 3,144 miliardi di euro (più 5,3 per cento rispetto al 2020), riprendendo l’incremento dopo l’interruzione pandemica». Nel 2022 in Veneto i pazienti assistiti con cure domiciliari erano 133.150, cui vanno aggiunti i 57.823 nelle “cure intensive” sempre fra le mura domestiche. La Relazione socio-sanitaria della Regione evidenzia l’attività delle 53 sedi Adi (Assistenza domiciliare integrata) nelle Ulss venete: «Risultano erogati a residenti 2.126.861 accessi domiciliari. Considerando solo gli accessi degli operatori sanitari di cure domiciliari, risultano essere stati effettuati 1.773.072 accessi, in particolare da infermieri (75 per cento) e da medici di medicina generale (17 per cento). Nel 2022 più di otto assistiti su dieci hanno almeno 65 anni e in questa fascia di popolazione risultano in carico più del 10 per cento degli assistiti, il 4,2 per cento in maniera più intensiva». Le statistiche confermano la crucialità del servizio: nel 2019 c’era almeno un accesso all’anno per 128.506 pazienti che nel 2021 sono diventati 143.239, mentre gli assistiti over 75 hanno sempre superato il 70 per cento. Le Ulss più impegnate sul fronte delle cure domiciliari agli anziani sono la 6 Euganea, la 4 Veneto Orientale e la 5 Polesana. Anche i servizi sono in sintonia con il “quadro clinico” del Veneto. Si legge: «Le malattie cardio e cerebrovascolari sono le patologie più frequenti tra gli assistiti in cure domiciliari (28 per cento) seguite dalle neoplasie (13 per cento) e dalla sindrome ipocinetica (13 per cento). A causa della pandemia da Covid-19, nel 2022 le malattie respiratore risultano ancora tra le diagnosi più presenti (7 per cento) anche se in calo rispetto ai valori rilevati nel 2021 e 2020 (11 per cento)». La Regione, almeno sulla carta, è impegnata a tradurre le risorse del Pnrr: «Il decreto ministeriale del 23 gennaio ha decretato la ripartizione delle risorse relative all’investimento “Casa come primo luogo di cura (Adi)” per aumentare le prestazioni rese in assistenza domiciliare fino a prendere in carico a livello nazionale il 10 per cento della popolazione residente di età superiore ai 65 anni. Per il raggiungimento del target, stabilito per il Veneto al 10,98 per cento, si considerano assistiti in cure domiciliari tutti i soggetti residenti con almeno una presa in carico di tipo sanitario o socio-sanitario in cui è registrata almeno una diagnosi, uno o più bisogni assistenziali e una Svama (Scheda per la valutazione multidimensionale dell’adulto e dell’anziano, ndr) semplificata».

L’indagine

I risultati di un’indagine dell’Istituto Piepoli per la Fnomceo, la Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, dicono che per più di tre italiani su quattro, ovvero il 76 per cento, la sanità deve essere prevalentemente pubblica. In media, poi, gli italiani risparmiano il 10 per cento delle proprie entrate per le spese sanitarie, ma tanti (il 23 per cento) vorrebbero ma non riescono a farlo, tanto che a oggi circa 3 milioni ammettono che, quando devono usufruire di prestazioni sanitarie a pagamento, rinunciano a curarsi. Sempre più cittadini sono costretti a spostarsi in altre Regioni alla ricerca di centri di eccellenza: il 63 per cento percepisce questo problema con riferimento al proprio territorio.

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