Senza dimora. “Così la mia vita, a piccoli passi, è cambiata”
Dalla strada al progetto “Dimora”: la storia di Pietro che oggi, a 25 anni, è tornato a studiare. “I poli di accoglienza ti danno la possibilità di fare il primo passo, aiutandoti a rimetterti in piedi”
Oggi è pieno di energia Pietro Zacchino; 25 anni, ha tanta voglia di studiare, impegnarsi e dedicarsi anche agli altri. Ha alle spalle una situazione molto travagliata, che tre anni fa, lo ha portato a non avere più nulla e a vivere in strada. Grazie al progetto “DimORA! Pon Metro”, dedicato all'accoglienza di persone fragili in povertà socio-sanitaria, che ha previsto l'attivazione di tre poli notturni e diurni gestiti dalla Caritas diocesana con la coop La Panormitana, il Centro diaconale valdese La Noce, l'istituto Don Calabria e la Crocerossa, ora fa parte delle 114 persone senza dimora che, con il progetto di presa in carico - che ha previsto un capillare lavoro di rete tra privato sociale e servizi pubblici - sono riuscite ad intraprendere un percorso di accompagnamento graduale all'autonomia. Per situazioni economiche già a 16 anni Pietro ha dovuto lasciare gli studi, per cercare piccoli lavori che contribuissero a sostenere la sua famiglia.
"Quando avevo 22 anni la mia situazione economica è precipitata perché ho perso la casa in cui vivevo con mia mamma - racconta -. Ci siamo ritrovati all'improvviso, purtroppo, in una situazione molto brutta in cui eravamo rimasti soli e senza punti di riferimento. All'inizio abbiamo avuto la possibilità di farci aiutare dalle diverse unità di strada per quanto riguardava certi beni di prima necessità. Ho girato diversi dormitori, conoscendo le situazioni umane più varie. A poco a poco, non lavorando per lunghi periodi, abbiamo imparato a chiedere aiuto e poi quando hanno aperto i poli notturni abbiamo chiesto la possibilità di essere accolti. Mi ritengo, comunque, fortunato perché ho conosciuto persone per la strada che avevano situazioni di sofferenza molto forti e anche peggiori di quella nostra. Nella strada vedi la fame e conosci le cose peggiori; sei considerato un invisibile perché la società a volte mostra molto silenzio ed indifferenza, perché preferisce non guardare e girarsi dall'altra parte. Chiaramente maggiore è il tempo che vivi in strada, perdendo la cognizione del tempo, più tendi a vivere una vita parallela che può farti sfasare. Bisogna quindi intervenire prima che diventi sempre più difficile se non impossibile entrare nei centri".
Il polo di accoglienza diurno e notturno è stato per Pietro e sua madre l'inizio di una svolta significativa della loro vita. "Da quando siamo entrati nel polo di accoglienza, al centro Agape, la mia vita, a piccoli passi, è cambiata. Sono una persona molto semplice e umile, che ha ricevuto il dono di sapersi adattare ad una vita completamente diversa, rispetto al passato, da cui ho imparato davvero tanto. Ho sofferto soprattutto per mia mamma che, nonostante sia una donna molto forte che non mai abbandonato il sorriso, ha vissuto una ingiustizia che per lei forse si sarebbe potuta evitare. Dentro il polo, ho visto tutte le porte aperte e ho cercato di cogliere tutte le opportunità che mi hanno offerto. Ho firmato il patto di autonomia con loro e la prima cosa che ho fatto è stata riprendere a studiare; anche se ho fatto il liceo artistico, infatti, ho iniziato l'istituto tecnico commerciale in finanza e marketing. Nel frattempo ho iniziato nel pomeriggio un corso professionale, la mattina il servizio civile ordinario e la sera la scuola. Ho iniziato ad impegnarmi molto senza sentire neanche la stanchezza, perché volevo solo andare avanti per migliorare la mia vita. Fortunatamente il dono più grande che ho ricevuto è quello di mantenere quella forza e quella lucidità mentale che mi ha permesso di non scoraggiarmi. I poli di accoglienza fanno un servizio straordinario perché ti danno la possibilità di fare il primo passo, aiutandoti a rimetterti in piedi e non facendoti soprattutto sentire solo. Stare dentro un polo è solo un periodo di transazione perché è l'inizio di un cammino. Io sono stato stimolato a guardarmi dentro per capire come dovessi orientare la mia vita".
Pietro e sua madre sono usciti dal polo di accoglienza dopo avere trovato una piccola sistemazione provvisoria che riescono a mantenere con il reddito di cittadinanza e qualche altra piccola attività. "Adesso viviamo in un monolocale con accessori, e, pur nel nostro piccolo, abbiamo raggiunto una certa serenità. Spero a luglio di diplomarmi in modo da potere iniziare l'università ad ottobre - racconta -. Con il reddito di cittadinanza è difficilissimo riuscire a trovare una casa perché la gente è molto disinformata e diffidente. Se dovessi trovare un lavoro dignitoso e in regola, non chiederei più il reddito di cittadinanza. Il desiderio è di riuscire ad avere in futuro una casa vera con spazi più grandi. L'importante è sempre mettersi in gioco per cercare la propria strada. Per il momento, di mattina sto facendo il servizio civile per alcuni anziani con garanzia giovani e poi ho la scuola serale. Durante questo periodo della mia vita ho capito sempre di più che la vera ricchezza sono solo le persone che scelgono di starti vicino e non le cose materiali che sono effimere che, lavorando riesci ad averle, ma poi finiscono subito. Al centro della vita ci deve essere la relazione con le persone che ti portano a fare crescere legami significativi e a non cadere nella profonda solitudine. Sono credente e, nella vita tutto quello che ti accade non è casuale ma ogni cosa va conquistata con impegno e passione. Oggi, prima voglio pensare a mia madre e poi a me. Non appena mi sistemerò meglio mi piacerebbe pure dedicarmi al sociale per aiutare tutte quelle persone che soffrono e hanno situazioni difficili".
Serena Termini