San Vito di Valdobbiadene. In festa al Caravaggio
Incastonato in mezzo alle case di San Vito di Valdobbiadene, tra il verde del monte Perlo e i campi delle vigne di prosecco, il santuario della Madonna di Caravaggio è un gioiello di storia, architettura, fede e devozione.
Le due feste maggiori – il 26 maggio anniversario dell’apparizione della Madonna e l’8 settembre compleanno di Maria – sono i due appuntamenti che invitano anche i più distratti ad adottare tre semplici modalità per star bene con sé stessi e accorgersi di una bellezza a portata di mano: rallentare, fermarsi, ed entrare.
Ispirato allo stile del Canova, i cui natali sono poco lontani da qui, a Possagno, il santuario si fa ammirare per l’armonia delle colonne della facciata, ma fa pensare allo sconquasso di cui è capace l’uomo guardando la parete laterale che guarda verso Valdobbiadene, ancora sfregiata dalle pallottole e dai mortai della prima guerra mondiale.
All’interno la padrona di casa, Maria, raffigurata nel grande quadro sul fondo dell’abside e nella statua che in occasione delle due feste maggiori viene posta a fianco dell’altare. La Madonna ha le braccia tese nel gesto dell’accoglienza, e le mani hanno il linguaggio dell’iconografia cristiana: la mano destra, con le prime tre dita aperte, indica che la Madonna sta parlando; la mano sinistra, aperta verso il basso, è il gesto che invita a sostare.
La cronaca del giorno dell’apparizione, il 26 maggio 1432, racconta che Giannetta, una giovane contadina, si era recata in un prato poco lontano dal paese per falciare dell’erba, quando all’improvviso le apparve una donna bellissima, vestita di abiti regali. Presa dallo stupore e dal timore, la giovane si lasciò sfuggire un’esclamazione che era sulla bocca delle persone pie: «Maria Santissima». E Maria: «Non temere, sono proprio io».
Giannetta si inginocchiò, ma dopo qualche attimo fece per alzarsi e andare via, per continuare con il suo lavoro e per non attardarsi. La Madonna, allora, col gesto della mano sinistra, come per fermarla, le disse: «Adesso fa quello che ti dico: fermati, sta in ginocchio e prega».
Si tratta di un messaggio salutare e attuale, accolto da molti anche nella festa del 26 maggio scorso, per evitare di essere travolti dalle cose da fare e dal tempo che non sembra mai bastare.
In un tempo ormai passato, due filari di pioppi delimitavano la grande strada che conduceva al santuario, lo Stradon de la Madona, percorso dai pellegrini che a piedi arrivavano “da terre vicine e lontane” fin dal giorno prima, alloggiati anche nei fienili per essere pronti alla prima messa del giorno di festa. E Maria, a piene mani, elargiva grazie, testimoniate dai numerosi ex-voto presenti in Santuario. Erano altri tempi.
Ma questo gioiello di devozioni, incastonato nella quotidianità della vita, continua ad arricchire la terra di Valdobbiadene, della Marca Trevigiana e della Diocesi di Padova.
(G. G.)