Riforma non autosufficienza, ecco i sei rischi "che nulla cambi"
L'analisi di Sergio Pasquinelli (Welforum): “Quanto di tutto quello che è previsto dal Pnrr produrrà cambiamento?”. Tra le preoccupazioni principali: “perdere l'occasione delle riforme di sistema”, “lasciare l'Adi così com'è”, confondere Case della comunità e poliambulatori, non modificare l'indennità di accompagnamento, lasciare le Rsa “istituzioni totali” e “dimenticare gli assenti”
La riforma dei servizi e del welfare per la non autosufficienza e la disabilità potrebbe presto vedere la luce, dopo essere stata annunciata, tratteggiata e dettagliata nel Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il rischio però è che non sia efficace e non centri il bersaglio: a richiamare oggi l'attenzione su questa possibilità è Sergio Pasquinelli, che su Welforum ha pubblicato un'analisi di quelli che considera i “sei modi per non cambiare nulla”. Perché proprio questa è la preoccupazione di fondo: che il cambiamento annunciato non produca, di fatto, nulla (o quasi) di nuovo, in un settore che invece ha bisogno di una grande e profonda riforma strutturale. “Quanto tutto quello che viene previsto produrrà davvero cambiamento rispetto al welfare di oggi?”, è la domanda da cui prende il via l'analisi di Pasquinelli. “In controluce – afferma - vedo sei rischi di non riuscire a farlo, di non cogliere queste opportunità”.
Perdere l'occasione
Il primo rischio è di “perdere l’occasione di riforme di sistema”, dal momento che “si prevede un provvedimento legislativo, a seguito di apposita delega parlamentare, per un sistema organico di interventi a favore degli anziani non autosufficienti”, che sarà adottato “entro la scadenza naturale della legislatura (primavera 2023)” e finalizzato a costruire 'un sistema organico di interventi' e alla formale individuazione di livelli essenziali delle prestazioni per gli anziani non autosufficienti”. E ricorda i diversi soggetti istituzionali che stanno lavorando in questa direzione: da un lato “una coalizione di attori guidata dal Network per la Non Autosufficienza”; dall'altro “un Gruppo di lavoro di esperti appena costituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali proprio per elaborare nuove politiche per la non autosufficienza”. Due sono le ragioni, opposte, per cui tuttavia l'occasione potrebbe andar persa: primo, si potrebbe “costruire un provvedimento monumentale, che implica decine di decreti attuativi, che impiegheranno anni per essere realizzati e messi a regime”; d'altra parte, “il rischio opposto è quello di piegarsi ai regionalismi, di rinunciare a sintesi alte con accordi al ribasso, di non mettere a tema, e per primi, nuovi livelli essenziali di assistenza. Insomma il rischio è che tutto si risolva in una serie di raccomandazioni e linee guida che lasceranno ampi margini alle Regioni per continuare a fare quello che già facevano”.
Servizi domiciliari potenziati, ma non integrati
La seconda preoccupazione è che l'assistenza domiciliare integrata resti così com'è. “Il Piano investe 4 miliardi a favore dei servizi domiciliari”, ricorda Pasquinelli, ma sui servizi “c’è il rischio che l’intervento si traduca in un semplice potenziamento dell’Adi delle Asl”. Invece, i servizi domiciliari andrebbero profondamente cambiati, perché “sia quelli delle Asl sia quelli dei Comuni, soffrono di gravi limiti di estensione, intensità, confini ristretti entro cui operano, carattere fortemente prestazionale. Soprattutto, non si occupano (o lo fanno del tutto marginalmente) dell’aiuto negli atti quotidiani della vita, per cui le famiglie sono lasciate a se stesse. La sensazione è che se qui non facciamo integrazione (tra Comuni e Asl) oggi, non la si farà più”.
Case della Comunità come poliambulatori
Il terzo rischio è che le Case della comunità assumano una funzione puramente sanitaria, confondendosi con i poliambulatori. “Due miliardi sono dedicati alla realizzazione di ben 1.288 'Case della Comunità', luoghi deputati ad adempiere diverse funzioni: 'coordinare' i servizi offerti, in particolare ai malati cronici, punti unici di accesso alla rete dei servizi, unità di valutazione multidisciplinare, con predominante presenza sanitaria ma dove si prevede la presenza anche di assistenti sociali per garantirne una dimensione sociosanitaria integrata”. Se questo è l'ideale, il reale potrebbe non somigliargli affatto, per il “rischio di un predominio della sanità” in queste strutture, che di fatto sarebbero “concepite alla stregua di poliambulatori distrettuali, con un assistente sociale 'di complemento' e sostanzialmente ancillare rispetto alla predominanza di prestazioni sanitarie di vario tipo”.
Nessuna riforma dell'indennità di accompagnamento
Il quarto rischio è che non si metta mano all'indennità di accompagnamento, mentre “c’è un’ampia convergenza di vedute sui limiti di questo sussidio, e sulle possibilità di un suo miglioramento nella direzione non già di un aggancio con le condizioni economiche dei beneficiari, ma con le diverse condizioni di salute e autosufficienza della platea che ne usufruisce. Una misura che avrebbe un grande potenziale per fare emergere il mercato nero delle badanti. Le proposte di revisione sono diverse ma con ampie convergenze, la più recente quella contenuta nell’ultimo rapporto del Network non autosufficienza”, ricorda Pasquinelli, convinto che “senza un potenziamento, una valorizzazione, una riconfigurazione di questa misura, percepita da più di due milioni di anziani, nella direzione di una fruizione orientata all’uso di servizi, un intervento di sistema sulla non autosufficienza rischia di avere pochi margini di cambiamento”.
Rsa “istituzioni totali”
Il quinto rischio è che le Rsa restino “istituzioni totali”, quando “la Rsa del futuro deve diventare un luogo meno isolato e più aperto, amico del territorio, capace di innescare una osmosi con i suoi abitanti, attraverso un insieme di proposte da progettare insieme alla comunità locale (terzo settore, mondo della cultura, scuole, ecc.): aiuti domiciliari, di varia tipologia e intensità, centri diurni, sostegni ai caregiver, supporti al lavoro privato di cura, quello svolto dalle badanti, proposte per l’invecchiamento attivo. Le Rsa di domani dovranno fronteggiare anziani sempre più soli, cioè senza caregiver familiare: ciò richiede un potenziamento di una dimensione anche sociale delle cure”.
I grandi assenti
La sesta criticità del Piano è che “non nomina soggetti e strumenti importanti che fanno parte del welfare dei servizi”, come i medici di medicina generale, il cui ruolo “deve modificarsi entrando di più in interazione col sistema delle cure”; ma non vengono nominati neanche “i caregiver che assistono un familiare fragile (ce ne sono sette milioni, di cui 2,1 prestano un sostegno quotidiano per più di 20 ore alla settimana). In Senato giace da quasi tre anni un disegno di legge – ricorda Pasquinelli - firmato dai principali partiti, che non riesce a essere calendarizzato”. Tra i soggetti non nominati, ci sono anche gli assistenti famigliari (badanti): “Un milione in Italia, di cui il 60% lavora in modo irregolare, una realtà cambiata negli anni, che invecchia a sua volta, molto meno disposta di una volta a coabitare con l’anziano fragile, e questo pone certamente una grande tema di domanda di assistenza scoperta”. Il rischio, appunto, è che “ci si dimentichi degli assenti”.
Pasquinelli ritiene quindi necessario e auspica che “le riforme di sistema si ricordino di questi attori e strumenti, perché il welfare di domani non riproponga quei cambiamenti per pezzi, o per stratificazioni successive, che ci hanno accompagnati fino ad oggi”.