“Reti di sfruttamento e criminalità organizzata”, il ruolo della mafia nigeriana nella tratta
Il webinar promosso nell’ambito del progetto “Oltre la strada” racconta i meccanismi del fenomeno della tratta oggi, controllata in particolar modo da organizzazioni nigeriane. Stefano Orsi, Procuratore generale della Corte di appello di Bologna: “Sistema gerarchico, molto simile a quella di Cosa nostra"
Sfruttamento economico e sessuale, tratta di esseri umani, reti criminali legate al fenomeno della prostituzione. Sono questi i temi trattati oggi nel webinar “Reti di sfruttamento e criminalità organizzata”, promosso nell'ambito del progetto per l’accoglienza e l’integrazione sociale delle persone vittime di sfruttamento e tratta “Oltre la strada”, coordinato dall'assessorato a Politiche sociali e immigrazione della Regione Emilia-Romagna. L’incontro rientra nell'ambito dell’iniziativa “Costruire futuro rievocando tracce: riconoscimento, partecipazione e nuove narrazioni. Una rassegna sul decennio ONU per le persone afrodiscendenti”.
“Sfruttamento e tratta sono fenomeni che necessitano di risposte complesse, che prevedono il coinvolgimento di diversi soggetti – afferma l’assessore del Comune di Bologna al Contrasto alle discriminazioni, lotta alla violenza e alla tratta su donne e minori, Susanna Zaccaria, che ha introdotto l’incontro –. Il progetto Oltre la strada ha l’obiettivo di dare alle vittime di tratta la possibilità di uscire dai meccanismi di prevaricazione, tratta e sfruttamento a fini sessuali o lavorativi. Fondamentale in questo senso è la collaborazione tra Comune, Procura della Repubblica e associazioni, che sono come occhi che permettono di conoscere il territorio profondamente. Bisogna avere una conoscenza completa dei fenomeni, per poi intervenire efficacemente: non esiste solo lo sfruttamento della prostituzione, ma anche lo sfruttamento dell’accattonaggio, quello lavorativo, e la tratta non solo di donne ma anche di minori”.
È Consuelo Bianchelli, operatrice del progetto Oltre la strada, a moderare la discussione. “Il nostro obiettivo è l’emersione del fenomeno e l’assistenza delle vittime, che gradualmente riprendono in mano la propria vita e recuperano autonomia, sia sociale che economica – racconta –. Ma la protezione delle persone non è sufficiente per contrastare la tratta e lo sfruttamento. È necessario avere un approccio organico, definito con le 3 P: prevenzione, protezione delle vittime e persecuzione del crimine”.
Nel 2019 è l’operazione Burning flame, diretta dalla Direzione distrettuale antimafia di Bologna, ad aver svelato i meccanismi che stanno dietro alla tratta da parte della mafia nigeriana. “Rispetto a tratta e sfruttamento della prostituzione, in Emilia-Romagna quasi tutto è controllato dai nigeriani – spiega Stefano Orsi della Procura generale della Corte di Appello di Bologna, che ha combattuto in prima linea contro questi fenomeni –. Le organizzazioni criminali albanesi ormai hanno lasciato il campo, e ora si stanno occupando di reinvestire i guadagni ottenuti in passato nel proprio paese. Esiste anche lo sfruttamento di ragazze dell’est Europa, soprattutto rumene, che però spesso vengono in Italia per loro scelta sapendo cosa andranno a fare: lo fanno per guadagnare di più, e poi si trovano costrette dentro una rete dominata da logiche di violenza, da cui non riescono più a uscire. Ma la gran parte del mercato resta controllato dai nigeriani”.
Quando parliamo di organizzazione nigeriana parliamo di una vera e propria mafia, spiega il procuratore, con un sistema gerarchico, una compartimentazione dei settori, e reti di affiliazione basate sull’intimidazione, molto simile a quella di Cosa nostra in Sicilia. “Noi conosciamo la figura della mama, che gestisce le ragazze, e il collaboratore uomo, che controllo il sistema sul territorio, ma dietro di loro c’è un’organizzazione internazionale efficiente, dove ognuno ha il proprio ambito di competenza: solo così si può gestire il trasferimento di ragazze dalla Nigeria attraverso il deserto, la Libia, il viaggio in mare, e poi l’arrivo l’Italia. Si tratta di un salto di qualità logistico importante: quando la ragazza arriva nel nostro paese, viene subito agganciata all’interno del centro di accoglienza e dirottata verso il luogo dove si dovrà prostituire, in Italia o anche all’estero. Un fenomeno di tali dimensioni è gestibile solo da una grossa organizzazione strutturata, con una rete attiva a livello internazionale”.
Alcune delle vittime di tratta raccontano che nel paese di origine sono state “aiutate” a partire da associazioni caritative di matrice religiosa, o che addirittura il prete le ha messe in contatto con la madame o con i trafficanti. Che tipo di connessioni ci sono, allora, tra la tratta di esseri umani e le chiese? “Nelle indagini, abbiamo riscontrato più volte che i soggetti appartenenti alla mafia nigeriana si ritrovassero nelle chiese per fare le proprie riunioni – afferma Orsi –. Questa non è una prova, ma sicuramente c’è una situazione di estrema contiguità, che fa pensare. Lo stesso discorso si può fare per le organizzazioni caritatevoli, che poi caritatevoli non sono”.
Oltre alla rete della tratta e dello sfruttamento della prostituzione, gli stessi soggetti si occupano anche di traffico di stupefacenti. E infatti molte ragazze che si prostituiscono spesso poi finiscono in carcere per spaccio. “Chi è sfruttato fa quello che vuole lo sfruttatore: le ragazze quando sono in strada spesso si prostituiscono e spacciano anche – racconta Orsi –. Prostituzione e droga tradizionalmente vanno assieme: chi va dalla prostituta spesso vuole anche lo stupefacente”. E poi c’è la questione dello sfruttamento dei minori, che spesso vengono reclutati attraverso i social network e il dark web: “Facendo prostituire le ragazzine, si creano delle vere e proprie carriere criminali: quando diventeranno donne, faranno molta fatica a inserirsi nel mercato del lavoro come tutti gli altri, e così sarà più facile per loro mantenersi con attività illecite”.
Infine, dove finiscono i proventi della rete della prostituzione? “Gli attori criminali investono principalmente nel loro paese d’origine, in Nigeria, e lì effettuano operazioni di riciclaggio di denaro – conclude Orsi –. È però praticamente impossibile per la nostra Procura fare confische in Nigeria, e andare a colpire i loro capitali: tutto dipende dai rapporti tra i diversi paesi e dalla disponibilità del governo a collaborare alle indagini”.
Alice Facchini