Reggio Calabria, 65% delle associazioni operative nell’emergenza Covid
Anche il sondaggio del Csv reggino conferma come, dal nord al sud, il volontariato ha reagito alla pandemia adattandosi ai nuovi bisogni. Circa 800 i volontari messi in campo, di cui la metà nuovi, “ma ne sarebbero serviti almeno il doppio”
Continuano ad arrivare le fotografie scattate dai Csv in tutta Italia sulle condizioni del volontariato nel periodo di emergenza Coronavirus. Anche il centro di servizio di Reggio Calabria ha condotto un sondaggio, basato su quello proposto da CSVnet a tutta la rete dei Csv, per fare il punto sulla reazione delle associazioni locali, sui loro bisogni attuali e per il prossimo futuro.
Hanno partecipato 126 tra associazioni di volontariato (79,4%), Aps (10,3%), cooperative/imprese sociali (4%) e associazioni culturali (1,5%). In primo luogo è emerso che la loro operatività non è stata fermata dall’emergenza; il 65 per cento degli Ets infatti ha continuato a svolgere le attività ordinarie e, contemporaneamente, ha intrapreso nuove iniziative, adattandosi alle esigenze della comunità.
Il 19,5 per cento del totale dei rispondenti ha dovuto, invece, interrompere anche le attività ordinarie, quasi sempre per il rispetto dei decreti governativi. Altre concause sono state la mancanza di dispositivi di sicurezza (18,2%) e di volontari (15,9%) la scarsità di risorse economiche (11,4%) e l’indisponibilità delle sedi (4,5%). Tuttavia la maggior parte degli enti bloccati dall’emergenza, si è dichiarata e resa disponibile per le attività organizzate in risposta all’emergenza.
Le associazioni attive in pandemia si sono dedicate soprattutto alla distribuzione di beni di prima necessità a domicilio (61%) o presso parrocchie, empori solidali, ecc. (37,8%), nonché al volontariato di protezione civile (20,7%). Il 40 per cento delle associazioni ha continuato a garantire spazi relazionali, di ascolto e supporto psicologico, attività di educazione e animazione a distanza (26,8%). Immancabili il trasporto sociale e la raccolta sangue (entrambi al 13,4%) e più in generale il volontariato sanitario (8,5%), anche se condizionati dalle stringenti misure di contenimento del virus.
Come nel resto d’Italia, le attività basate su socializzazione e incontri in presenza hanno subito maggiormente le misure restrittive imposte dall’emergenza. Fra queste, si citano servizi e iniziative per il tempo libero e attività culturali (54,7%), attività formative ed educative (50,7%), assistenza a persone in difficoltà (18,7%).
Gli Ets hanno messo in campo complessivamente 793 volontari, di cui 389 “nuove entrate”, ma dichiarano che ne sarebbero serviti quasi il doppio. Grazie all’impegno di queste persone sono state rilevate e affrontate problematiche come la solitudine (67,1%), l’aumento della povertà (64,6%), difficoltà nella gestione domestica/finanziaria (47,6%) e quelle legate a un nuovo regime di convivenza (24,4%), aumento o insorgenza di casi di depressione (40,2%), necessità di supporto psicologico a bambine/i e adolescenti (36,6%), aggravamento o insorgenza di patologie psichiatriche (11%), aumento delle violenze intra-familiari (8,5%).
Gli enti hanno dedicato la loro attenzione soprattutto ad anziani (52,4%) e persone con disabilità, adulti in quarantena e persone sole (42,7%). Anche i minori sono stati destinatari di particolari attenzioni (per il 41,5% degli enti), così come le persone con disagio mentale (20,7%), migranti (19,5%), persone con patologie a rischio di contagio (18,3%), persone senza fissa dimora (13,4%), detenuti (8,5%).
Quanto alle collaborazioni attivate dagli Ets durante l’emergenza, al primo posto con un 36,6% si pongono i Comuni e al secondo altre associazioni non profit (31,7%); poi la Protezione Civile (23,2%), le Caritas e le parrocchie (22%), le scuole (9,8%) e, infine, le imprese produttive e commerciali (6,1%). Il 25,6 per cento degli enti, invece, non ha attivato collaborazioni con altri soggetti.
Le principali difficoltà riscontrate dagli enti di terzo settore sono state le scarse risorse economiche (41,8%), la scarsità di dispositivi di sicurezza (35,4%) e di volontari (21,5%), l’incertezza sulla normativa dell’emergenza (19%), difficile collaborazione con le amministrazioni pubbliche (22,8%).
È proprio su questo punto che, secondo il presidente del Csv Giuseppe Bognoni “l’indagine sollecita il Centro quale facilitatore di un rapporto e di un dialogo con le pubbliche amministrazioni che secondo il 42% dei rispondenti soffre di una “debolezza strutturale”. Al Csv si chiede anche sostegno nella ricerca e formazione dei volontari, alla luce delle istanze emerse dal territorio e “consapevoli che quando si fa volontariato, insieme a generosità e motivazioni, vanno messe in campo conoscenze e competenze”.