Piccolo non è bello. Piccolo è la cifra dimensionale di quasi tutta l’economia e la finanza italiana, e da troppi anni stiamo scontando questo gap
Nell’economia globalizzata, piccolo sarà creativo e dinamico, ma non è più bello. Perché i nanetti, nel campo di basket del mondo, non ce la fanno a competere con i giganti.
Nell’economia globalizzata, piccolo sarà creativo e dinamico, ma non è più bello. Perché i nanetti, nel campo di basket del mondo, non ce la fanno a competere con i giganti. Purtroppo, piccolo è la cifra dimensionale di quasi tutta l’economia e la finanza italiana, e da troppi anni stiamo scontando questo gap.
Tra le banche, ad esempio. La scena sta obbligando ad assistere a continue concentrazioni per trovare dimensioni finalmente adeguate a una concorrenza che non si ferma al tunnel del Brennero o del Monte Bianco. Le banche medio-piccole saranno “adese al territorio”, ma non hanno i mezzi per offrire alla clientela quanto invece le grandi banche possono. E quindi già l’aggregazione tra la milanese Bpm e il veronese Banco Popolare, che non più tardi di qualche anno fa aveva portato alla nascita della terza banca italiana, si sta rivelando insufficiente e si parla di una fusione addirittura con Unicredit: unico modo per fronteggiare sia Intesa San Paolo sia i giganti europei e americani.
Figuriamoci le piccole municipalizzate di città, quelle che portano gas ed elettricità nelle nostre case. Anche qui stiamo assistendo negli ultimi anni a un processo di concentrazione che sta cancellando storici nomi lombardi, veneti, emiliani in favore di realtà con dimensioni tali sia da affrontare gli acquisti di materia prima con i giusti prezzi, sia nell’investire nell’innovazione: centrali per fonti rinnovabili, rete elettrica adeguata a una vita e a una mobilità sempre più elettrica, la raccolta e il recupero di rifiuti che devono diventare risorse, la sfida dell’idrogeno.
Ma il discorso non si ferma qui: si pensi alle grandi catene alberghiere e alla loro resilienza ai fatti della vita (vedi virus) rispetto alle piccole realtà familiari; ai gloriosi marchi di moda italici che però fatturano un ventesimo rispetto ai colossi francesi; alle ridicole dimensioni medie della proprietà agricola italiana rispetto al resto del mondo; alla lunga ma ingloriosa fine che sta facendo Alitalia…
Abbiamo pochi campioni internazionali, comunque di medie dimensioni in assoluto. Per far capire come si finisce, basti pensare all’ex Fiat poi Fca. Ora sta dentro un gruppo internazionale (dal forte accento francese) chiamato Stellantis, certo non da protagonista. Le fabbriche italiane sono satelliti di una galassia più grande; d’altronde, con che capitali si poteva affrontare la colossale sfida dell’elettrificazione della mobilità di massa? Appunto. E ora in quelle fabbriche si parla francese e i loro destini sono decisi molto lontano da qui.