Pensione Beat. Musica e ricordi di una stagione intramontabile

Pensione Beat è il nome di un apprezzato gruppo padovano di otto musicisti che da dieci anni si esibisce in feste e teatri, raccontando i grandi cantautori della beat generation italiana. Leader della band è Gigi Barichello, 72 anni e una grinta che non conosce sosta. Il loro prossimo concerto è il 22 giugno a Padova.

Pensione Beat. Musica e ricordi di una stagione intramontabile

Lorenzo Iarrera, pianoforte, Matteo Martinello, chitarra, Nicola Mimmo, organo e tastiere, Andrea Segato, flauto e sax, Stefano Bellabon, basso, Guido Ghedin, batteria, Diego Marcellan, voce, Gigi Barichello, voce e conduzione: sono i Pensione Beat, gruppo che celebra e racconta attraverso note e parole la rivoluzione musicale, estetica e culturale iniziata con il rock and roll di Adriano Celentano e continuata con i gruppi che avevano preso a modello i Beatles e la psichedelia inglese, portando l’Italia a guardare oltre il belcanto e la romanza. Il vero rock italiano nasce qui e il valore della sua produzione dimostra che non si tratta di una stagione passata, ma di una fonte sempre viva. Gigi Barichello ha raccontato in esclusiva alla Difesa le emozioni che si vivono sopra e sotto il palco. Come nascono i Pensione Beat e qual è il significato del nome? «Il gruppo nasce quasi per caso, riallacciandosi alla storia di una precedente formazione, i Pensione Garibaldi: il nome era quello di un alberghetto in Abruzzo dove erano stati in vacanza i due membri fondatori, Stefano Bellabon e Lorenzo Iarrera, quando erano poco più che ventenni. Suonavano rock insieme fin dal liceo e avevano anche rischiato il successo, facendosi notare in alcuni importanti concorsi con brani originali scritti da loro. A un certo punto si erano fermati e quando hanno ripreso, nel 2014, hanno deciso di proporre un repertorio anni Sessanta-Settanta. Al tempo avevo appena terminato di fare l’amministratore a Limena e, siccome ho sempre avuto la passione per quel periodo ed ero anche abbastanza conosciuto, mi hanno chiesto di unirmi al gruppo. È davvero una fortuna condividere un’esperienza simile con questi ragazzi, ci capiamo bene fra noi, c’è una comunicazione sincera e naturale, come avveniva una volta quando si stava in comunità e non esistevano il bullismo e le invidie, ognuno veniva apprezzato per la sua personalità». Quali sono i brani che eseguite? «In repertorio abbiamo 140 canzoni e durante un concerto ne proponiamo circa una trentina, restando sul palco due ore e mezza: finché sei lì sopra è impossibile sentire la stanchezza, è la magia della musica, non si può spiegare in altro modo. Suoniamo brani de I Camaleonti, Equipe 84, Dik Dik, Nomadi e Premiata Forneria Marconi; poi, naturalmente, Battisti e Celentano. Stiamo inserendo inoltre pezzi di Patty Pravo e di cantautori quali De Gregori, Battiato e Bertoli. È una varietà che al pubblico piace e che proponiamo sempre con grande entusiasmo. I Pensione Beat presentano inoltre un’anomalia interessante: hanno due cantanti, io e Diego Marcellan, che ha davvero una voce straordinaria. Il mio ruolo è anche quello di narratore e, visto che ho vissuto l’epoca della nostra proposta musicale, non faccio nemmeno fatica: racconto del 1966, di quando ho sentito per la prima volta Girl e Michelle dei Beatles, di quando ho sentito la performance di Joe Cocker a Woodstock, di cosa ha significato Il tuo bacio è come un rock di Celentano, una cosa rivoluzionaria se si pensa che prima in Italia si ascoltavano Papaveri e papere di Nilla Pizzi, Granada di Claudio Villa, Aveva un bavero del Quartetto Cetra: quando è arrivato il rock and roll ci ha davvero cambiato la vita. Abbiamo cominciato ad andare a vedere le chitarre, si arrivava a Padova camminando o con l’autostop, non era mica come adesso: c’era la Siamic (Società italiana autoservizi mediterranei in concessione, ndr) che faceva servizio e passava per Limena, ma gli autobus erano uno ogni ora. Una volta arrivati si andava da Zin e da Castellan e vedevi le chitarre acustiche amplificate, tipo quella di Chuck Berry, di Elvis Presley e dei grandi americani, e ti batteva il cuore. Ecco, sul palco cerco di ricreare un po’ quell’atmosfera». Cos’è cambiato maggiormente rispetto a quegli anni? «Abbiamo vissuto, non so se meritatamente, un periodo irripetibile e non siamo stati sufficientemente bravi a mantenerlo. Siamo nati poveri, ma capivamo che di fronte a noi c’era un’alba che si alzava e che avremo cambiato la nostra condizione. Oggi è molto più complicato il mondo per i nostri figli». Qual è il vostro pubblico? «È piuttosto eterogeneo, lo zoccolo duro è probabilmente nella fascia dei 35-50enni, però se suoniamo in contesti studenteschi, come capitato al Portello, partecipa anche un pubblico molto giovane che poi comincia a seguirci, perché i ragazzi si divertono. Il palco tipico dei Pensione Beat è quello delle feste popolari o dei teatri, è più difficile, proprio per la nostra composizione, andare nei pub o nei luoghi piccoli, questo un po’ ci dispiace, perché vorremmo poter suonare dappertutto». Quale pezzo non può mai mancare a un vostro concerto? «Impressioni di settembre, che ha un finale straordinario con un lungo assolo strumentale, e Io vagabondo (che non sono altro), se non le facciamo non ci lasciano andare via». C’è qualcuno che le piace della scena contemporanea? «Mi piace molto Diodato».

«Racconto gli anni Sessanta vissuti in prima persona»
Gigi-Barichello

«Sul palco cerco di ricreare l’atmosfera di quegli anni. Si fa fatica oggi a spiegare ai ragazzi la guerra del Vietnam, di quando la sera, nella televisione in bianco e nero che sgranava le immagini, c’era Mario Pastore e si vedevano i B-52 che lanciavano grappoli di bombe nelle risaie: capisci allora il valore di Gianni Morandi che cantava C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones».

In sintonia

«In totale siamo otto elementi che vanno dai 33 anni fino a uno come me, che ne ha 72 – racconta Gigi Barichello – è qualcosa di raro, che ha quasi dell’incredibile pensare che dopo tanto tempo siamo ancora qui, in assetto stabile, con la stessa passione dell’inizio. Sono stati proprio i due membri più giovani e gli ultimi ad entrare in formazione, Nicola e Guido, tastierista e batterista, oltre che cugini, che hanno suggerito di sostituire il “Garibaldi” del precedente nome con “Beat”, ci è piaciuto e quello è rimasto». «La canzone che mi ha cambiato la vita? Il ragazzo della via Gluck», conclude Barichello.

Fabio Velo Dalbrenta

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)