Parlare con Dio, nonostante il limite. La lunga ricerca del divino nel rapporto tra filosofia e arti in un libro di Umberto Curi

Elemento centrale del libro è la separazione che avviene tra antica religione “retributiva” e l’amore gratuito per l’altro: anche questo altro è nemico mortale

Parlare con Dio, nonostante il limite. La lunga ricerca del divino nel rapporto tra filosofia e arti in un libro di Umberto Curi

Le contraddizioni dell’esistere e del pensare, la ricerca dell’esistenza di Dio e il perché del dolore senza giustificazione vengono affrontate dal filosofo Umberto Curi in “Parlare con Dio. Un’indagine fra filosofia e teologia” (Bollati Boringhieri, 160 pagine, 15 euro).
Al di là di un linguaggio specialistico spesso non immediatamente fruibile ai non addetti ai lavori, “Parlare con Dio” assume un ruolo importante nell’attuale panorama non solo filosofico: soprattutto nella seconda parte Curi affronta i legami profondi tra filosofia, fede, arte, cinema, musica, poesia. Lo fa attraverso un percorso in cui gli stessi luoghi della rivelazione assumono un profondo significato simbolico, come nel caso della montagna in Mosè, per il Cristo ma anche per Heidegger. La montagna stessa avrà una grande importanza simbolica in letteratura, con scrittori del calibro di Hermann Broch, Malcom Lowry, Thomas Mann o Ernst Jünger, solo per fare alcuni nomi.
Elemento centrale del libro è la separazione che avviene tra antica religione “retributiva” e l’amore gratuito per l’altro: anche questo altro è nemico mortale. Un discorso che porterebbe oltre, nelle terre di Tolstoj e della sua assoluta non risposta alla violenza che tanto peso avrà sul messaggio di Gandhi. Anche perché la sfera del politico è ampiamente affrontata dalla ricerca di Curi, che accenna all’ipotesi della politica stessa come rimedio imperfetto e talvolta “avvelenato” di una “catastrofe originaria”, di una dimensione indicibile in cui si era parte di un tutto: interpretazione che reca sia l’impronta dell’unità perduta di Anassimandro sia della cacciata dal Giardino della Bibbia.
Il tema della misericordia è centrale in questa parte del libro: abbassamento verso la sofferenza, come nella parabola del buon Samaritano, oltre le regole dell’apparenza come nel caso del sacerdote e del levita. L’insegnamento del Cristo è un nuovo inizio che apre la porta dell’amore gratuito e quindi un nuovo universo di pensiero che avrà frutti non solo e non tanto nella dimensione prettamente confessionale, ma nei sentieri nascosti delle ricerche di senso, come nel caso di Simone Weil.
Davvero suggestiva è la pagina dedicata all’episodio di Gesù con l’adultera, in cui l’invito a non giudicare è scritto dal Messia con il dito in terra: “Ci sono due scritture: una è fatta nel marmo delle tavole ed è fatta da Dio, l’altra è la scrittura per terra nella polvere ed è fatta da Gesù”. Il che non vuol dire istituzione di una separazione tra Dio e Gesù, ma di una nuova e diversa dimensione della fede e della religione.
Quando Curi si avvicina al terreno interdisciplinare, le profondità della fede acquistano una parvenza di dicibilità, perché forse l’immagine artistica, quella dello schermo e il fluire delle note, più di altre arti riescono ad avvicinarsi all’indicibile della sofferenza del Cristo, e di quella umana. Talvolta scambiando la causa per l’effetto, nota giustamente l’autore riferendosi al film “La passione di Cristo” di Mel Gibson, che antepone l’effetto orrifico alla verità profonda di quella sofferenza, divenendo esso stesso protagonista, mentre nella “Ricotta” e nel “Vangelo secondo Matteo” di Pasolini, così come nella “Passione secondo Matteo” di Bach si affrontano “i limiti dei propri mezzi conoscitivi e rappresentativi” riproponendo la drammatica questione di come rappresentare il non umanamente rappresentabile.
La grande arte, come la musica, o anche la poesia -Curi cita giustamente Jacopone- possono manifestare genialmente il limite insito nel parlare con Dio. E di Dio.

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Fonte: Sir