Parentesi o destino? Gli effetti della dottrina Trump sul mercato globale
I dazi del presidente Usa hanno avuto un costo. La guerra commerciale ha rallentato il mondo intero, dalla Cina all'Europa.
La sta vincendo lui, Donald Trump, la battaglia che ha dichiarato al mondo, alla globalizzazione, a un sistema che ha rivoluzionato in una quindicina d’anni l’intera economia mondiale. Il libero commercio mondiale esteso anche alla Cina ha permesso soprattutto a quest’ultima di attirare milioni di posti di lavoro che si sono persi in Occidente, nel contempo esportando merci cinesi per miliardi di dollari ogni anno. Gli Usa ne hanno tratto un vantaggio immediato – tanti prodotti a prezzi più bassi –, vantaggio che si è fatto sentire nei portafogli americani; ma nel contempo chiudevano le fabbriche. E, con esse, sparivano i posti di lavoro.
Senza lavoro non c’è reddito da spendere: quindi nel medio-lungo periodo il danno è stato maggiore del vantaggio iniziale. Proprio i danneggiati da questo sistema hanno votato Trump. Che ha adottato vecchi metodi per la nuova economia.
Se gli Usa sono il maggior mercato al mondo, il problema sta all’ingresso del mercato. Era stato volutamente sguarnito nella convinzione che l’equilibrio si sarebbe trovato poi in Cina, laddove un miliardo e mezzo di individui attendevano le nostre merci. Non è successo così. I cinesi consumano poco, soprattutto made in China; mentre risparmiano la metà del loro reddito e vendono tantissimo negli altri mercati. Bum.
Allora Trump si è messo, come accadeva nelle città del Medioevo, all’ingresso del mercato, facendo pagare per entrare (i dazi). Ottenendo così un triplice vantaggio: l’incasso dei dazi stessi; il rincaro delle merci importate, a tutto vantaggio di quelle made in Usa; l’aumento dei posti di lavoro interni. Cosa non secondaria: poi, ha cominciato a trattare. Sarò meno cattivo se sarete più accoglienti con i miei prodotti.
E così ha paralizzato l’Organizzazione mondiale del commercio (Wto); ha stracciato i precedenti trattati commerciali per rinegoziarli; ha costretto infine Cina, Messico, Canada, Brasile ad aderire alle sue condizioni. Insomma ha riequilibrato la situazione a favore del suo popolo: siccome è dal suo popolo che viene votato…
Tutto ciò però ha avuto un costo. La guerra commerciale ha rallentato il mondo intero; la Cina in difficoltà è un problema per tutti coloro che ne vedevano il futuro mercato del mondo; soprattutto, sta facendo emergere la questione-Europa.
Noi europei ci siamo avvantaggiati di questa situazione sia prima, che dopo: calava l’export cinese? Arrivavamo noi. Trump purtroppo lo sa bene e adesso la sua mira è rivolta contro di noi. Ha già imposto dazi su alluminio e acciai, e su alcuni prodotti alimentari (ahinoi, i formaggi). Ma siccome lo squilibrio commerciale è enorme e a nostro favore, ora arriverà la parte più dura del suo pugno.
Ce l’ha soprattutto con i tedeschi, ma noi italiani siamo subito dietro. Non vuole ad esempio automobili che arrivano via nave dall’Europa; vuole auto europee costruite negli Usa. Peccato che ciò che si apre lì, si chiude qui. E se la Cina – che è un gigante – si è prostrata nel giro di due anni, l’Europa frastagliata, divisa, troppo spesso impotente, con Londra a fare da partner agli americani, ci metterà molto meno a… pagare dazio.
Il vecchio Occidente si sta spaccando in due; alle presidenziali americane di novembre capiremo se sarà una parentesi o un destino.