Oss diventano infermieri in 400 ore. “A rischio anziani e disabili nelle strutture”
La delibera della regione Veneto approva il percorso di “formazione complementare in assistenza sanitaria”, destinato prioritariamente agli operatori socio-sanitari in attività presso le strutture extraospedaliere residenziali e semiresidenziali per anziani. Scopo dichiarato: contrastare la carenza di personale dovuta all’emergenza. Ma il provvedimento non piace
400 ore di formazione online per diventare infermieri: è quanto potranno fare, d'ora in avanti, gli operatori socio-sanitari nel Veneto, grazie alla delibera n. 305/2021 approvata dalla giunta regionale.
Obiettivo dichiarato del provvedimento è rispondere alla carenza cronica di infermieri, che si è verificata soprattutto nelle strutture residenziali per anziani e disabili, a causa dell'emergenza sanitaria. Di fatto, tanti degli infermieri che si trovavano ad operare in queste strutture (ma anche a domicilio) sono stati trasferiti nelle strutture ospedaliere e sanitarie pubbliche, dove la domanda è crescente e le condizioni contrattuali più favorevoli.
La delibera istituisce un percorso di “Formazione complementare in assistenza sanitaria” destinato prioritariamente agli Oss già formati e al lavoro in strutture territoriali per anziani e disabili. Lo scopo dichiarato è “contrastare la carenza di personale dovuta all’emergenza pandemica”. Si spiega che “la situazione emergenziale da Covid-19 ha determinato una accresciuta esigenza di personale presso le strutture socio-sanitarie e socio-assistenziali e pertanto devono essere adottate tutte le misure necessarie al fine di fronteggiare le necessità assistenziali garantendo la presenza di operatori opportunamente preparati, in possesso delle competenze adeguate”. E si precisa che “nello specifico, nel settore della residenzialità e semiresidenzialità extraospedaliera, pubblica e privata, si è verificato un ulteriore aggravio delle attività di tipo sanitario, difficilmente affrontabile dal solo personale infermieristico, condizione critica che è stata rilevata peraltro anche in altre regioni”. La delibera fa riferimento al documento della Conferenza delle Regioni e delle Province ““Proposte per contrastare la carenza di personale sanitario e sociosanitario – emergenza covid-19” (nota 20/194/CR06bis/C7) che indica, come possibile soluzione, anche la “riattivazione del percorso di formazione complementare in assistenza sanitaria per operatori socio sanitari, già previsto dall’Accordo Stato Regioni del 16 gennaio 2003”.
Tutto il percorso formativo indicato dovrà svolgersi “in modalità FAD asincrona (ovvero formazione a distanza, tramite attività di insegnamento/apprendimento caratterizzate da non contiguità spaziale e temporale tra docenti e discenti, con utilizzo di apposita piattaforma informatica per la fruizione dei materiali didattici in tempi diversi da quelli dell’erogazione) per un totale di 150 ore. Per quanto riguarda l’attività di tirocinio, pari a 250 ore (ex L.r. 20/2001 s.m.i.), deve essere effettuata da ogni corsista presso le strutture sanitarie e socio-sanitarie degli Enti del Servizio Sanitario regionale”.
I compiti che potrà svolgere l'operatore socio sanitario a seguito del percorso formativo sono specificati nell'allegato A: tra questi, “medicazione della gastrostomia stabilizzata”, “aspirazione delle secrezioni oro-faringee, naso-faringee”, “sorveglianza dell'assistito, rilevazione e segnalazione della comparsa di alterazioni, “attività finalizzate alla mobilizzazione in sicurezza dell’assistito e alla prevenzione delle cadute”, “somministrazioni di prescrizioni terapeutiche per via naturale, intramuscolare, sottocutanea”, “somministrazione di ossigenoterapia rispettando tempi e dosaggio di flusso prescritto”. Compiti finora preclusi agli operatori socio sanitari, che rischiano anzi pene severe per “abuso di professione” nel caso in cui svolgano tali mansioni e prestazioni assistenziali non previste nel profilo professionale dell’Operatore Socio Sanitario, ovvero l’Accordo Stato-Regioni del 22 febbraio 2001.
Oss e infermiere: che differenza c'è?
Di qui, le critiche che, da più parti, si stanno levando nei confronti della delibera veneta. “La salute dei nostri cittadini è una cosa seria, non è pensabile che ogni regione crei le sue figure professionali con percorsi formativi auto deliberati – dichiara Stefania Mammì, deputata del M5S - La delibera del Veneto è pericolosa per tutto il Paese, poiché tende a voler sfruttare la categoria degli Oss affidando a questi compiti per i quali non hanno conoscenze, competenze, titolarità e ruolo giuridico. La creazione dell’operatore socio sanitario che svolge funzioni infermieristiche 'al fine di contrastare la carenza di personale dovuta all’emergenza pandemica' è un affronto a migliaia di lavoratrici e lavoratori, svilisce due ruoli fondamentali per la sanità”. E così spiega, in sintesi, la differenza tra le due professioni: “Gli infermieri sono professionisti sanitari responsabili della pianificazione e gestione del processo assistenziale (assistenza infermieristica), ossia, l’attività terapeutica, palliativa, riabilitativa, educativa e preventiva rivolta all’individuo, alla comunità o alla popolazione, svolta su individui malati o sani, al fine di recuperare uno stato di salute adeguato e/o di prevenire l’insorgenza di alterazioni morfo-funzionali. L’operatore socio sanitario, invece, svolge attività indirizzata a soddisfare i bisogni primari della persona, nell’ambito delle proprie aree di competenza, in un contesto sia sociale che sanitario. Favorisce dunque il benessere dell’utente, la sua autonomia e integrazione sociale. Entrambe le figure vanno tutelate e valorizzate rispettando le peculiarità formative e funzionali”. E ricorda: “La formazione degli Oss andrebbe definita a livello nazionale e andrebbero creati specifici registri dove inserire Oss riconosciuti, come io stessa ho proposto in una mia interrogazione chiedendo l’adozione di un elenco telematico nazionale e l’attivazione di un percorso formativo omogeneo in tutte le regioni. La delibera del Veneto crea una figura intermedia che non ha alcun senso se non quello di voler risparmiare e sminuire due professioni. Contestualmente mi aspetto che Zaia introduca uno scudo penale, prendendosi tutte le responsabilità, per eventuali errori commessi dai nuovi Oss”.
“A casa e in struttura meno 'curati' che in ospedale”
Preoccupato anche chi, quotidianamente, ha bisogno di assistenza infermieristica per un proprio familiare disabile, in casa o in struttura. “L'aspetto più incomprensibile di questa ordinanza è che parrebbe sanitariamente più logico aumentare le competenze in situazioni più delicate, non certo diminuirle – commenta Sara Bonanno, che per suo figlio Simone, persona in assistenza domiciliare integrata di 3° livello, che richiede assistenza sanitaria intensiva e professionale - La condizione di disabilità è già di per se una condizione di svantaggio che si aggrava, non migliora certo, se alla disabilità si aggiunge una o più condizioni patologiche sanitarie come l'alimentazione e la respirazione artificiale. Perché mai una regione dovrebbe fornire meno supporti, meno professionalità, meno specializzazione, meno sicurezza, se non perché ritiene che questi pazienti valgano meno di quelli che vengono assistiti in ospedale?”. E ancora: “Si dice che queste soluzioni siano dovute alla carenza di personale specialistico: ma se questo fosse vero, non sarebbe più logico ed economicamente efficace bilanciare le diverse specializzazioni, mettendo appunto il personale non professionale in reparto, dove troverebbe già il medico ed altri professionisti sanitari, assicurando invece professionisti sanitari dove i medici non ci sono, ovvero nelle case e residenze sanitarie per persone con disabilità? Ciò che ci dice, che urla questa ordinanza è invece fin troppo chiaro: le persone con disabilità valgono meno dei malati, per cui si risparmia sulla loro assistenza. E' il ritorno dell'Aktion T4”.
Chiara Ludovisi