Ospedali in affanno. Giarratano (Siaarti): “Pianificazione e riorganizzazione per non penalizzare i pazienti più fragili”
Ospedali sotto pressione e a rischio collasso a causa del Covid-19. Interventi programmati e terapie importanti costretti al rinvio. Medici intensivisti e d'emergenza in burnout. Per il presidente degli anestesisti e rianimatori, la carenza di posti letto e di personale specializzato rischia di penalizzare i pazienti più fragili. Per non mandare in tilt il sistema sono urgenti pianificazione, riorganizzazione e gestione coordinata a livello nazionale
Li abbiamo visti in prima linea nelle terapie intensive fin dallo scoppio del Covid-19. E lo sono tuttora, senza risparmiarsi, in ospedali prossimi al collasso tra nuova ondata pandemica e carenza di personale. Il 17 gennaio la Siaarti (Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva) ha lanciato un allarme per voce del suo presidente Antonino Giarratano:
“Attenzione al pericoloso posticipo di interventi già programmati”.
Il riferimento è a pazienti con urgenza di interventi chirurgici importanti, come l’asportazione di un tumore o un trapianto: una popolazione sempre più numerosa di vaccinati, spesso con tre dosi, ma che, pur essendo asintomatici, risultano positivi al tampone di ingresso. A questi si aggiungono, pur di non stretta pertinenza di anestesisti e rianimatori, i pazienti oncologici bisognosi di chemio e/o radioterapia. Esigenze non dilazionabili.
Presidente, quale situazione vivono oggi gli anestesisti-rianimatori negli ospedali sotto pressione per Covid-19? Quali le principali criticità?
Uno studio Siaarti in corso di pubblicazione ci dice che oggi rispetto a due anni fa
gli anestesisti-rianimatori, dopo 5 ondate pandemiche, manifestano in 3 casi su 5 una condizione di burnout.
Si presenta quindi una percentuale altissima – è passata dal 15% al 65% – di professionisti con vari gradi di esaurimento psicofisico che colpisce prevalentemente il sesso femminile e i giovani. La pressione poi nell’ultima attuale ondata pandemica vede le terapie intensive e gli ospedali sotto enorme pressione per tre tipologie di pazienti: i pazienti Covid con grave sindrome da insufficienza respiratoria; i pazienti Covid che con la variante Omicron e con la vaccinazione si presentano (a loro insaputa) positivi ed asintomatici e comunque vanno in ospedale per trattare un’altra loro condizione patologica, come un’ernia, una frattura o un tumore; e da ultimo i pazienti non-Covid, come definiamo i pazienti che necessitano di cure come prima la pandemia e che trovano meno spazio e meno risorse disponibili per le loro cure.
Qual è oggi la fotografia delle terapie intensive, e in particolare le Ti Covid-19?
Nelle ultime settimane si sono raggiunte percentuali vicine o superiori al 20% di intasamento che, a prescindere dal numero assoluto e dal passaggio di colore che le Regioni vedono come una limitazione alle attività economiche e che quasi interpretano anche come un verdetto negativo di efficiente gestione politica, mettono
in crisi il sistema sanitario ospedaliero e in particolare il sistema delle chirurgie e delle aree di emergenza.
Il 17 gennaio avete chiesto al ministero della Salute indicazioni chiare e linee operative. Occorre rivedere e adeguare le procedure vigenti?
In questo momento le tre popolazioni di pazienti già citate sono gestite spesso in modo non coordinato su base nazionale e regionale con soluzioni che variano da ospedale ad ospedale. E’ necessario pianificare e organizzare perché
la carenza di posti letto specialistici e di risorse umane – come anestesisti rianimatori e infermieri competenti e numericamente adeguati – rischia di ritardare la risposta alla domanda di salute dei cittadini più fragili e bisognosi.
Perché è importante distinguere, nel conteggio dei positivi, chi si ricovera per sindromi respiratorie o polmonari da Covid-19 da chi richiede assistenza sanitaria per altre patologie, ma al momento del tampone pre-ricovero risulta positivo al Sars-Cov-2?
Perché anche se percorsi e strutture devono essere separati e la gestione clinica resta complessa, è chiaro che l’impegno del sistema sanitario nel curare un paziente Covid asintomatico rispetto a quello sintomatico e in grave insufficienza respiratoria è diverso anche nel numero e nella tipologia di medici e infermieri necessari.
Uno scenario nel quale si innesta la carenza di 40mila operatori sanitari tra medici, infermieri, tecnici, oss. Oltre al personale che si infetta con il Sars-Cov-2, stiamo pagando le conseguenze dei forti tagli alla sanità di questi anni?
Si, anche se devo dire che negli ultimi tre anni si stava facendo qualcosa, soprattutto nel campo delle specializzazioni carenti come anestesia e rianimazione, e medicina d’urgenza. Il Covid ha complicato tutto: oggi,
se non si limita e si recupera il fenomeno di burnout, rischiamo di trovarci ad avere tanti posti di specializzazione e magari tanti concorsi e, per crisi di vocazione, non avere poi chi vi partecipa.
Una boccata d’ossigeno per gli ospedali potrebbe arrivare con la stabilizzazione dei precari prevista nella Legge di bilancio che porterebbe all’assunzione di quasi 48mila professionisti?
Si. Sul versante infermieristico e su quello medico questo è sicuramente utile. Resta però da affrontare il problema di come incentivare e valorizzare la professione dei medici e degli infermieri che resta una missione, ma che è troppo penalizzata anche sotto il profilo retributivo rispetto alle stesse categorie nel resto d’Europa. Se a questo si somma una turnazione massacrante in alcune aree, e l’assenza di riposo e recuperi, si comprende come la situazione sia più complessa e non sia sufficiente il solo ricorrere ai concorsi.