Nuovi cardinali. Mons. Barreto (Perù): “Sulla custodia del creato è in gioco il futuro dell’umanità”
Mons. Pedro Barreto Jimeno si è segnalato per la sua azione pastorale coraggiosa a favore delle popolazioni più povere e indifese, soprattutto quando ha difeso le popolazioni indigene contro i progetti minerari delle multinazionali
“Stavo viaggiando dal Perù a Roma, quando ho fatto scalo all’aeroporto di Barajas, a Madrid, ho acceso il telefonino e ho trovato messaggi di auguri e felicitazioni. Ho aperto qualche messaggio e ho capito che il Papa mi aveva fatto cardinale! Un notizia inaspettata e non meritata, una grande sorpresa che ho accolto come volontà del Signore”. Racconta così, mons. Pedro Barreto Jimeno la sua nomina a cardinale, comunicata domenica 20 maggio da Papa Francesco. Un nome, forse, non conosciutissimo in Italia, ma certamente in America Latina, dove si è segnalato per la sua azione pastorale coraggiosa a favore delle popolazioni più povere e indifese, soprattutto quando ha difeso le popolazioni indigene contro i progetti minerari delle multinazionali. 74 anni, nativo di Lima, gesuita, mons. Pedro Barreto è attualmente arcivescovo di Huancayo, vicepresidente della Conferenza episcopale peruviana e vicepresidente della Repam, la Rete ecclesiale panamazzonica. In passato ha guidato il Dipartimento giustizia e solidarietà del Consiglio episcopale latinoamericano (Dejusol – Celam). Molti hanno riconosciuto la sua “ispirazione” nel recente documento del Celam sulla Laudato si’ e il fenomeno dell’estrattivismo indiscriminato. In questa intervista racconta del suo profondo legame con l’Amazzonia e lo speciale rapporto con Francesco, rafforzato ora dalla nomina a cardinale.
Mons. Barreto, ci racconta come è nata la sua attenzione alla custodia del creato?
Ricordo i miei primi anni di episcopato a Huancayo, gli scontri molto duri che si crearono a causa dei progetti minerari, ma mi hanno sostenuto la grazia di Dio e il magistero di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, che parlavano dell’importanza della custodia del creato, vista come parte essenziale nella vita della Chiesa. Del resto, già nel 1971 Paolo VI parlava di un inaccettabile “degrado ambientale”. Poi è arrivato Papa Francesco, che ha raccolto e rilanciato questa attenzione, è venuta l’enciclica Laudato si’. Un documento che mi ha dato forza, tranquillità, ma anche convinzione che sulla custodia del creato è in gioco il futuro dell’umanità.
Sarà il cardinale dell’ecologia integrale, è stato detto. Si riconosce in questa affermazione?
Ci sono persone buone che affermano su di me cose molto positive, riconosco che in quello che sta accadendo c’è la volontà espressa di Dio, c’è lo Spirito Santo. Ringrazio tantissimo, soprattutto le persone alle quali mi sento unito per amicizia e impegno comune. Però, quando in passato mi hanno chiamato “arcivescovo ecologico” non mi sono proprio riconosciuto.
Vede, noi gesuiti vogliamo soprattutto il bene della Chiesa. E oggi, quando parliamo di ecologia integrale, non parliamo di me, ma della Chiesa, del suo futuro e del futuro di tutta l’umanità. Va fatto un appello alle persone di buona volontà, perché il futuro sta nelle mani di tutti noi che abitiamo in questo mondo.
E’ intanto iniziato il cammino verso il Sinodo per la Panamazzonia del 2019. Non pensa che la sua nomina sia in qualche modo collegata a questo evento ecclesiale?
Quella per la Panamazzonia è una missione molto importante e, lo ripeto, questo processo è frutto dell’azione dello Spirito Santo, ne sono profondamente convinto. Papa Francesco al n° 38 della Laudato si’ parla dell’Amazzonia come del “polmone del mondo”. Non dobbiamo dimenticare che la grande foresta fornisce il 20 per cento dell’ossigeno del pianeta alla biodiversità. La mia attenzione all’Amazzonia risale già agli anni del Collegio dei gesuiti, quando sentivo gli indigeni che parlavano della loro esperienza in lingue che non conoscevo. Per i prossimi decenni la custodia dell’Amazzonia, delle sue popolazioni e del suo ecosistema rivestirà per la Chiesa un ruolo importantissimo. In questo sono contento di condividere il mio impegno con il cardinale Hummes, presidente della Repam, che nonostante i suoi 84 anni è una persona giovane nello spirito.
Il Perù ha un secondo cardinale, che significato ha per la Chiesa della sua nazione?
In Perù molti articoli in questi giorni mettono in evidenza che ci sono due cardinali e che ciò non era mai accaduto. Credo che tutto questo sia il segno che al Papa sta a cuore tutto il Perù, anche quel 63% di territorio che fa parte dell’Amazzonia. Una realtà, questa, che nel mio Paese è spesso disconosciuta. Certo, la Chiesa è giustamente preoccupata della grande realtà urbana, però non può dimenticarsi dei 7 milioni e mezzo di chilometri quadrati che costituiscono la Panamazzonia, della biodiversità e del patrimonio ambientale, dei 40 milioni di abitanti, dei tre milioni di indigeni. Questi ultimi, anche se una minoranza, sono una grande ricchezza, parlano più di 150 lingue.
Lei, prima da gesuita e poi da vescovo, ha avuto modo di conoscere da molto tempo Papa Bergoglio. Ora il legame diventerà più stretto!
Sì. Devo ricordare che entrambi siamo gesuiti e abbiamo sperimentato con forza l’invito di sant’Ignazio di Loyola a “cercare la maggior gloria di Dio e il bene dei fratelli”. In ogni caso per noi gesuiti c’è un legame speciale con il Papa e la volontà di compiere il bene della Chiesa e la sua missione. Oggi questo significa collaborare alla “Chiesa in uscita”. Papa Francesco ha uno stile speciale, la gente semplice lo capisce ed entra in contatto con lui. Altri – e si badi bene che non è una critica, anzi ribadisco la mia ammirazione – usavano uno stile più razionale ed elevato. Papa Francesco ha uno stile che rende nuove le cose già dette, pensiamo alla custodia della Casa comune, ma anche agli altri documenti. Il Magistero del Papa attinge al patrimonio del Concilio Vaticano II.
Bruno Desidera