Non è mai troppo tardi. La lettura, il maestro Manzi, i ragazzi e un anziano di nome Francesco
C’è, in sintonia con quelle delle nuove generazioni, la voce di papa Francesco che il 17 luglio scorso ha condiviso il suo pensiero sul ruolo della letteratura nella formazione della persona.
“Forse è un swazi o un bianco, o uno del piccolo popolo. É tutti e tre, o forse nessuno dei tre. Eppure, io ho visto boscimani, neri, bianchi sono stati capaci di amarlo e di sacrificarsi per lui quando lo hanno conosciuto. Ed egli ha amato tutti. Ecco: quando ci conosciamo anche se la nostra pelle è di un altro colore ci amiamo”.
É un passaggio tratto dal libro Orzowei lo straordinario romanzo (1955) di Alberto Manzi il “maestro degli ’ italiani” di cui il 3 novembre ricorreva il centenario della nascita.
Si racconta di un uomo e di una donna bantu di etnia swazi che trovarono un bimbo bianco abbandonato nella foresta e lo amarono come figlio, sono pagine che vanno oltre sé stesse, diventano un richiamo di grande attualità rivolto a una società dove abbandonano le parole ostili per il colore della pelle e per altre diversità.
Scrittori come Alberto Manzi, Gianni Rodari, Domenico Volpi e Jacovitti e altri ancora che come loro hanno saputo trasmettere la bellezza dell’incontro, la dignità della vita di ognuno e di tutti, sembrano appartenere a un tempo lontano.
Se fosse così, nessuno si augura che lo sia del tutto, si potrebbe riprendere quel “Non è mai troppo tardi” titolo della trasmissione tv di Alberto Manzi per ritrovare nella narrazione, nella letteratura, nella poesia, il senso della vita.
Ci sono due voci a confermarlo: quelle di migliaia di ragazzi che stanno sperimentando il valore della lentezza della lettura e quella di un uomo anziano che si chiama Francesco.
In una recente intervista televisiva ragazze e ragazzi si esprimevano così: “leggere dona quella serenità che non è facile trovare nella giornata”, “leggere è vivere la propria vita ma anche quella delle persone raccontate nel libro”, “il libro è un amico di cui puoi fidarti”, “leggere è incontrarsi con chi è diverso”.
Pensieri che dicono della ricerca di un equilibrio tra il foglio di carta e il foglio elettronico, tra l’immagine e il testo, tra l’attesa e la meta.
C’è, in sintonia con quelle delle nuove generazioni, la voce di papa Francesco che il 17 luglio scorso ha condiviso il suo pensiero sul ruolo della letteratura nella formazione della persona. “Leggendo un testo letterario- scrive – siamo messi in condizione di vedere attraverso gli occhi degli altri acquisendo un’ampiezza di prospettiva che allarga la nostra umanità. Si attiva così in noi il potere empatico dell’immaginazione che è veicolo fondamentale per quella capacità di identificazione con il punto di vista, la condizione, il sentire altrui, senza la quale non si dà solidarietà, condivisione, compassione, misericordia. Leggendo scopriamo che ciò che sentiamo non è soltanto nostro, è universale, e così anche la persona più abbandonata non si sente sola”.
Ragazzi, ragazze e un anziano di nome Francesco si trovano insieme nel dire che “non è mai troppo tardi” per scoprire nelle vie della lettura le vie dell’incontro, del dialogo, delle parole non ostili.