Nell'hotel a quattro stelle che ospita i rifugiati al confine con l’Ucraina
REPORTAGE. A Suceava città di frontiera tra Romania e Ucraina un albergatore ha messo a disposizione un intero piano del suo albergo di lusso. Qui le persone restano per una notte, per riprendersi dal viaggio e poi continuare verso altri paesi. Il 70% va in Germania, ma tanti chiedono un passaggio per Francia e Italia. Alcuni, però restano sperando che sia vicina la fine del conflitto
Le pile di sedie in velluto rosso addossate agli specchi segnano il perimetro dell’ampio salone. Dai soffitti alti pendono lunghi lampadari di vetro. Sul pavimento in marmo dei piccoli cartoncini a terra indicano il numero del letto e il suo destinatario. Quello che prima era un piano riservato ai ricevimenti è ora un centro di prima accoglienza per chi scappa dalla guerra. A Suceava, città di confine tra Romania e Ucraina, l’hotel Mondachi, un quattro stelle, tra i più eleganti della città, ha deciso di accogliere qui i rifugiati che passano la frontiera.
Un cartello affisso alla reception dice “Non siete soli. Benvenuti in Romania”. Ed elenca alcune raccomandazioni: non dare a nessuno i documenti di identità né il telefono, fare attenzione a se stessi e ai propri familiari, comunicare sempre con loro la propria posizione. Poco più in là un gruppo di volontari recupera tutte le informazioni: da dove si arriva, se si hanno bisogni speciali, ma anche dove si vuole andare. Qui, infatti, le persone restano solo qualche giorno, il tempo di riprendersi dal viaggio e organizzare la tappa successiva in un altro paese europeo.
Tateana Kravechenko, 27 anni, è seduta su uno dei materassi a terra insieme alla madre. Guarda nervosamente il suo cellulare cercando notizie su quello che accade nel suo paese. “Sono convinta che finirà tutto presto, deve finire tutto presto, così torniamo a casa - mi ripete -. Ero a Kiev per caso, vivo in Messico con mio marito ma sono tornata per un breve periodo a trovare i miei genitori in Ucraina. E ci siamo ritrovati in questo incubo”. Tateana e la madre vorrebbero restare in Romania, la speranza è che si sia vicini a una tregua. “Mio marito è in Messico e io qui, mio padre a Kiev e noi qui. Non sappiamo cosa fare, vogliamo solo tornare a casa e alla vita che avevamo un mese fa”.
Denis Spasonenko, invece, nei prossimi giorni partirà per la Spagna, per Alicante. È riuscito a scappare da Kharkiv, dove lavora, prima che iniziassero i bombardamenti. Ma la sua famiglia vive a Sumy e nessuno è riuscito a uscire dalla città, ormai accerchiata dai checkpoint russi. “Sumy è stata presa in due ore. La mia famiglia ora è bloccata e sotto assedio. Io sono potuto uscire dal paese perché ho una doppia esenzione, ho una malattia alla colonna vertebrale e difficoltà motorie. Solo per questo mi hanno lasciato andare, altrimenti anch’io ora sarei a combattere come molti miei amici”.
Mentre parliamo una volontaria mette dal pc musica per bambini. I minori sono tanti anche qui, dormono accanto alle madri dai volti stanchi, che per loro, però, non smettono di sorridere. Seduti su una sedia due anziani chiacchierano aspettando il pullman che li porterà via. Poi una voce dal basso annuncia che sta per partire quello per la Germania. Si raccolgono in fretta i bagagli e si sale a bordo.
“Noi principalmente offriamo accoglienza per una notte, poi le trasportiamo altrove. Nel momento della registrazione gli chiediamo dove vogliono andare così li mettiamo in lista - spiega un volontario -. La maggior parte delle persone, circa il 70 per cento, vuole andare in Germania. Ma c’è anche chi ci chiede un passaggio per l’Italia o la Spagna. Il prima possibile cerchiamo un trasporto. Nel frattempo qui hanno tutto: cibo, docce, un letto per dormire. Riusciamo a dare riparo a più di 200 persone al giorno”.