Naufragio: “Identificazione delle vittime sia una priorità. Mai più bare senza nome”

Lo chiede il comitato 3 ottobre, già attivo per la strage di Lampedusa. Tareke Bhrane: “Il trattamento che riserviamo ai morti spesso parla della mancanza di rispetto con cui li consideriamo da vivi”

Naufragio: “Identificazione delle vittime sia una priorità. Mai più bare senza nome”

Su una delle piccole bare bianche allineate nel palasport di Crotone è adagiata la scritta KR46M0. Indica che quello è il 46esimo corpo recuperato sulla spiaggia di Steccato di Cutro (KR), che la vittima è di sesso maschile (M) e che ha meno di un anno (0). E’ cioè uno dei 15 minori (tra le 67 vittime recuperate in mare) morti nel naufragio avvenuto sulle coste calabresi ma la cui identità non è stata ancora accertata. L’identificazione dei corpi è iniziata, infatti, ieri. A riconoscere le vittime sono i parenti che viaggiavano con loro sull’imbarcazione o i familiari arrivati da altri paesi europei. Ma ad alcuni non è ancora stato possibile dare un nome e un volto. Per questo alcune organizzazioni, tra cui il Comitato 3 ottobre, organizzazione impegnata da anni nell’identificazione delle vittime dei naufragi nel Mediterraneo, ha inviato una lettera al Capo Dipartimento per le Libertà Civili e immigrazione, al Commissario Straordinario per le persone scomparse e alla Prefetta di Crotone, per chiedere di procedere all’identificazione delle vittime del naufragio avvenuto a Steccato di Cutro prima della loro inumazione.

“Abbiamo visto come i familiari delle persone scomparse nei naufragi restino in una situazione di indeterminatezza - sottolinea Tareke Brhane, presidente del Comitato 3 ottobre -. Una condizione che provoca gravi sofferenze psicologiche e impedisce l’elaborazione del lutto. Anche le famiglie delle persone decedute o disperse dovrebbero essere considerate vittime dei medesimi naufragi e dovrebbero essere coinvolte il più possibile dalle Autorità nel processo di identificazione e di inumazione. Non vorremmo che, anche in questo caso, queste persone rimangano dei numeri e delle vittime senza nome. Purtroppo, il trattamento che riserviamo ai morti spesso parla della mancanza di rispetto con cui li consideriamo da vivi”.  Brhane ricorda la lunga catena di stragi in mare degli ultimi anni: “Questo ennesimo naufragio ci fa tornare con la memoria ai naufragi del 3 e 11 ottobre 2013. Naufragi che scossero le coscienze del nostro continente, mettendo a nudo le conseguenze dell'assenza di una reale politica migratoria. Purtroppo a distanza di dieci anni si continua a morire nel Mediterraneo perché, ancora una volta, si preferisce proteggere i confini e non le persone ”. 

In virtù del Protocollo di Lampedusa e con il lavoro dell’Istituto Labanof (Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense dell'Università degli Studi di Milano) diretto da Cristina Cattaneo si è reso evidente come l’identificazione dei cadaveri dei naufragi sia possibile, spiega il Comitato 3 ottobre. “Un lavoro sicuramente complesso, ma possibile. Indispensabile, però, che prima della sepoltura vengano massimizzate le informazioni in previsione di una futura identificazione tramite “match” tra i dati post mortem e ante mortem - conclude la nota -. Siamo, quindi, a chiedere a tutte le Autorità per quanto di competenza di applicare, in assenza di un protocollo specifico, il protocollo DVI (Disaster Victim Identification) di Interpol, che, prevede: rilievi fotografici, repertazione indumenti ed effetti personali ed esame autoptico e odontologico”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)