Migranti sulla rotta balcanica. Bressan (volontario): “Un servizio spontaneo e ‘silenzioso’”
Si svolge ogni notte dallo scorso novembre, iniziando alle 22.30 e terminando spesso anche dopo l’1.00. È un servizio di assistenza ai migranti e transitanti sorto spontaneamente in città dall’attenzione e la premura di alcune persone, toccate da questa situazione. Abbiamo incontrato Massimo Bressan, uno dei volontari, che ci ha raccontato quest’anno di esperienza
Gorizia, data la sua collocazione geografica, si pone da sempre come “porta verso l’Europa”. Proprio per questo motivo è da tempo immemore una terra di passaggio di culture e di civiltà. Anche nei tempi più recenti osserviamo questo fenomeno, ultimamente più rilevante dati i numeri consistenti di persone straniere che si trovano a passare, nella loro migrazione, in città solo una nottata per un transito, o qualche giorno per il disbrigo di pratiche amministrative legate alla richiesta di asilo. Uno dei problemi emersi più recentemente in città è il soffermarsi, durante le ore notturne, di diversi gruppi di persone – tra i quali, molto spesso, anche famiglie con bambini molto piccoli – presso gli spazi adiacenti la Stazione ferroviaria. L’ultimo treno della sera diretto verso Venezia parte infatti attorno alle 23, mentre il primo solo verso le 6 del mattino. In molti quindi si trovano ad aspettare, passando la notte all’addiaccio, in inverno rimanendo al freddo, coperti solo dalle pensiline dei bus. Per fornire loro un minimo di assistenza (distribuendo qualcosa da mangiare e da bere, una bevanda calda in inverno e qualche coperta) in città si è formato – grazie al passaparola e ai Social, in questo caso usati sapientemente – un gruppo spontaneo di persone che, ogni sera dallo scorso novembre, si trova davanti alla Stazione per prestare servizio. Un bellissimo segno di umanità e sensibilità nato proprio dal cuore delle persone. Abbiamo incontrato Massimo Bressan, volontario, che per conto di questo gruppo spontaneo fa un po’ da portavoce.
Massimo, aveva già fatto esperienza nel mondo del volontariato o questo è il suo primo approccio a questa realtà solidale?
Ho una formazione negli Scout, quindi ho cominciato a fare il volontario a 18 anni; successivamente ho svolto il Servizio Civile presso la Comunità Arcobaleno e attualmente sono Assistente volontario penitenziario presso la Casa circondariale di Gorizia. A livello di volontariato devo dire che ho potuto realizzare, negli anni, delle belle e importanti esperienze. In merito al discorso migranti, ho svolto volontariato nei primi anni 2000 al Centro San Giuseppe e ho ripreso ora con quest’esperienza di vicinanza ai transitanti e richiedenti asilo che si trovano a Gorizia, in particolare nei pressi della Stazione ferroviaria.
Rispetto ai primi anni 200 trova cambiata la migrazione in città?
A quel tempo il San Giuseppe lavorava in collaborazione con le Forze dell’Ordine: le persone venivano intercettate sul territorio da Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza e venivano portate al Centro in attesa del decreto di espulsione. Era quindi una permanenza brevissima, parliamo di una mezza giornata o al massimo 24 ore, all’interno della quale venivano forniti ricambi, si dava la possibilità di fare una doccia, si dava qualcosa da mangiare… La differenza principale è, secondo me, che si è ampliata molto di più la provenienza geografica – almeno guardando l’esperienza di ormai quasi un anno di servizio in Stazione, avendo iniziato a metà ottobre 2022 –: abbiamo presenze dall’Africa centrale, dal Nord Africa, dall’Est Europa, dall’Asia, da Cuba… questi come “transitanti”, ossia persone che si trovano a Gorizia solo di passaggio, solo per poche ore o per la nottata, in attesa di salire su un treno che li porterà in altre città per proseguire il loro viaggio. Tra i transitanti inoltre rileviamo tante famiglie, alcune con bambini anche molto piccoli, che una volta invece non si vedevano da queste parti. Arrivano poi anche donne sole e, soprattutto dall’Afghanistan, minori non accompagnati. Poche settimane fa è stato intercettato un bambino di 11 anni, da solo, e nelle ultime sere siamo venuti a contatto con diversi quindicenni e sedicenni. Le modalità di arrivo in città sono diverse: c’è chi percorre l’intera Rotta balcanica a piedi ma c’è anche chi, potendoselo permettere, arriva in aereo fino a Belgrado e da lì poi prosegue sulla Rotta vera e propria.
Avete modo di interagire con queste persone, di parlare un po’ con loro o è difficile? Cosa vi raccontano, se lo fanno?
Il contatto con loro è molto limitato: li vediamo arrivare alla sera, forniamo loro qualcosa da bere (di caldo nella stagione invernale) e da mangiare e, a seconda delle situazioni, qualcosa di primissima necessità come indumenti e scarpe. Durante la stagione fredda forniamo loro anche delle coperte che, al mattino, vengono poi raccolte da alcuni volontari e portate a lavare. Queste persone si fermano solo per la notte, la mattina ripartono e con loro c’è da superare una diffidenza nei nostri confronti – spesso infatti tendono a pensare che siamo parte delle Forze dell’Ordine -; c’è sempre poi un limite linguistico: in diversi “masticano” un po’ di Inglese ma molto spesso incontriamo persone che parlano solo la propria lingua madre. I racconti che loro forniscono, sono proprio delle “pillole”, non si aprono più di tanto. Abbiamo poi percepito una differenza tra gli stranieri che arrivano a Gorizia – passando per Lubiana – e quelli che arrivano a Trieste – che invece passano per Fiume –: molti in Slovenia hanno una permanenza nei Centri di Accoglienza, per cui arrivano affaticati ma non nelle situazioni che spesso vengono intercettate a Trieste (piaghe, ferite, senza scarpe…). Capitano persone scalze e con i piedi piagati, stravolte, ma sono l’eccezione nel nostro caso.
Il vostro gruppo fa capo a qualche associazione o è un’iniziativa spontanea, nata dalla sensibilità e premura di alcune persone? Chi ne fa parte?
Siamo un gruppo spontaneo, nato per passaparola: iniziato con un gruppo di persone che già si conosceva, si è ampliato poi con altre che hanno scoperto l’esistenza di questa realtà via Facebook e si sono avvicinate a noi. Siamo circa 10/12 volontari. Per l’attività che facciamo in stazione e visto l’orario abbastanza pesante – iniziamo alle 22.30 e se va bene terminiamo verso le 24, ma spesso e volentieri anche 00.30/1.00 – è un po’ complicato per chi ha famiglia e per chi deve andare a lavorare il giorno dopo, ma anche per le persone un po’ più in là con l’età. Attualmente quindi il gruppo vede un’età tra i 20 e i 50 anni. La parte del nostro gruppo un po’ più in su con gli anni si occupava, quest’inverno – quando la Caritas diocesana aveva aperto Casa San Francesco per l’emergenza inverno -, di fornire un po’ di cibo a chi vi entrava. Era una situazione però un po’ diversa: si trattava di richiedenti asilo, quindi persone che si soffermavano sul territorio più giorni, che avevano bisogno di ricambi di vestiti, ci sono stati alcuni casi di scabbia per i quali veniva prestato aiuto sanitario e ricambi totali di vestiti e biancheria.
Come si svolge una vostra “nottata tipo”? Immagino sia appunto un po’ pesante dopo un’intera giornata di studio o lavoro, siete divisi in turni?
Sì, ci diamo una mano: all’inizio – certamente spinti anche dall’entusiasmo e dalla voglia di agire – andavamo in stazione anche in 4 o 5 volontari; ci siamo da subito trovati bene e abbiamo formato un bel gruppo. Non è infatti solo un “compito” ma viene vissuto anche come un modo per stare insieme e fare del bene. Abbiamo festeggiato dei compleanni svolgendo servizio in stazione, Pasqua e Natale… siamo stati lì tutte le sere. Sul lungo periodo però è subentrata un po’ di stanchezza, quindi abbiamo optato per fare dei turni, in modo tale che ci siano almeno 2 persone a sera, per aiutarsi ma senza gravare troppo sulla vita personale di ognuno. Il nostro piccolo magazzino è ospitato presso la sede di un’associazione cittadina. Chi è di turno passa lì a prendere qualche bevanda, un po’ di viveri e qualche coperta, nel caso dovesse servire. Se poi ci sono esigenze di vestiario o di scarpe, di solito ritorniamo al magazzino e prendiamo esclusivamente quello che serve. Visto che gli arrivi possono essere diversi nel corso della serata, capita che si facciano più passaggi al magazzino. Purtroppo non è vicino alla stazione e, tra non molto, dovremo lasciare libero lo spazio per esigenze dell’associazione che ci ospita. Siamo in cerca di un’alternativa ma non è così semplice trovarla… Ogni sera ci rechiamo in stazione e non sappiamo mai cosa ci troveremo di fronte in quella nottata. Ogni giorno è diverso, ci sono persone che arrivano a Gorizia attraversando il confine a piedi – la maggior parte –, arrivano in stazione e non trovano treni per dirigersi verso Mestre e proseguire per altre destinazioni (sono tutte persone che vogliono continuare il loro viaggio), si trovano quindi a dover aspettare il primo treno, verso le 6/6.30 del mattino. Ci sono serate in cui non arriva nessuno, serate in cui arrivano 50 persone; serate in cui ci sono solo ragazzi, uomini, e serate in cui ci sono famiglie con bambini, anche molto piccoli. Nell’ultimo mese sono stati toccati numeri importanti, non c’è stata nessuna serata in cui la stazione era vuota e spesso abbiamo prestato assistenza dalle 30 alle 50 persone a serata. In questo servizio spontaneo siamo aiutati da alcune persone che ci sostengono con delle donazioni di alimenti, vestiario o anche economiche, attraverso le quali compriamo materiali utili. Anche la Caritas diocesana, tramite l’Emporio della Solidarietà, ci ha fornito degli alimenti e materiali. Alcune associazioni hanno realizzato per noi delle raccolte fondi o, per esempio, di coperte, come gli Scout di Gradisca.
Concludendo, alla luce di quasi un anno di servizio spontaneo in stazione, qual è il suo sentire nei confronti di questa che viene definita “emergenza”?
Non è un’emergenza. Come ho raccontato ai partecipanti alla Summer School dell’Università Cattolica di Milano, ospitata anche a Gorizia nelle scorse settimane, che ho avuto modo di incontrare, nel novembre 1973 vennero trovati morti di freddo in Val Rosandra alcuni cittadini africani, quindi questo delle migrazioni sul territorio confinario regionale è un fenomeno che esiste da moltissimo tempo, non può essere considerato “emergenza”. Magari aveva un’altra portata – ora questi migranti sono più “visibili” e con numeri maggiori –, magari non c’erano i Social e se ne parlava di meno, ma le persone si sono sempre spostate e sempre si sposteranno. Siamo in una zona di passaggio, parlare di emergenza non ha senso.
Selina Trevisan (*)
(*) La Voce Isontina