Migranti, la denuncia di Asgi: “Vietato chiedere asilo a Bari, riammessi in Grecia cittadini turchi”
L’episodio risale al 23 maggio scorso. “Costretti a salire su un traghetto e tornare indietro dopo avere espresso la volontà di chiedere protezione: violazione della Convenzione di Ginevra”
Negata la possibilità di chiedere asilo in Italia a sei cittadini provenienti dalla Turchia. E’ successo domenica 23 maggio a Bari. I migranti, tra cui una donna, erano arrivati in mattinata al porto di Bari, nascosti all'interno di un camion giunto con un traghetto. Al gruppo sono stati anche sequestrati i telefoni cellulari, i documenti e alcuni farmaci essenziali. Lo denuncia in una nota l’Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione). “E’ stato impedito qualunque contatto con avvocati, associazioni e familiari; non gli è stata garantita alcuna informativa legale e l'assistenza di un mediatore; non risulta altresì essere stata contattata l'organizzazione che, in convenzione con la Prefettura, è incaricata del servizio di informazione ed accoglienza presso il valico di frontiera” spiega la nota.
Secondo Asgi i sette cittadini stranieri hanno riferito di essere stati “costretti con la forza a salire sul traghetto che li avrebbe portati in Grecia e di aver subìto abusi e violenze da parte della polizia italiana nel corso della procedura di riammissione. Sono stati privati in modo arbitrario della libertà personale e trattenuti all'interno di un vano tecnico, privo di finestre e di servizi igienici, talmente piccolo da doversi alternare per restare seduti in terra- continua la nota -. Nei momenti che hanno preceduto la chiusura del suddetto vano, uno di loro è stato colto da una crisi epilettica ed è stato portato fuori dal traghetto solo dopo insistenze e proteste da parte dei suoi compagni di viaggio che gli hanno prestato un primo soccorso, prevenendone il soffocamento. Successivamente soccorso da un'ambulanza, è stato trasferito in ospedale dove è stato ricoverato. I sei richiedenti asilo sono stati trattenuti per tutta la durata del viaggio, circa 12 ore, in condizioni inumane e degradanti, al freddo, senza ricevere né cibo né acqua”.
Dopo essere arrivati nel porto di Igoumenitsa in Grecia, sono stati ulteriormente trattenuti per 24 ore in un luogo fatiscente e dallo spazio ristretto nonché privo di qualunque misura che garantisse un adeguato distanziamento, insieme ad altri cittadini stranieri, senza che potessero comunicare ai familiari e alle associazioni dove si trovassero. La riammissione in Grecia è avvenuta in modo completamente informale senza la consegna di un provvedimento. “Ancora una volta ai porti adriatici italiani, sulla base di un accordo di riammissione bilaterale firmato da Italia e Grecia di dubbia legittimità costituzionale perché mai ratificato con legge di autorizzazione alla ratifica ai sensi dell’art. 80 Cost, si pongono in essere prassi illegittime, in violazione del diritto di asilo, sancito dall’art. 10 c. 3 Cost., e del principio di non respingimento, sancito anche dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra - afferma Asgi -. Ancora una volta vengono effettuate espulsioni collettive di cittadini stranieri richiedenti asilo, nella più completa informalità, senza consentire l’accesso ad un ricorso effettivo ponendo in essere anche trattamenti inumani e degradanti, in violazione di numerose norme nazionali, europee ed internazionali, quali gli artt. 2 (diritto alla vita), 3 (divieto di trattamenti inumani e degradanti) e 13 (diritto ad un ricorso effettivo) Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, l’art. 4 Protocollo 4 della medesima Convenzione (divieto di espulsioni collettive) nonché degli artt. 1 (dignità umana), 2 (diritto alla vita), 4 (Proibizione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti), 18 (diritto di asilo), 19 (Protezione in caso di allontanamento, di espulsione e di estradizione) e 47 (Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale) della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. Se può essere riconosciuta agli Stati la possibilità di non consentire l’ingresso nel territorio nazionale di coloro che siano sprovvisti dei requisiti previsti dalla legge, è pur vero che questa espressione del principio di sovranità statale trova precisi limiti. Gli Stati hanno infatti l’obbligo di riconoscere, garantire e proteggere i diritti umani delle persone che si trovano sotto la propria giurisdizione nonché il dovere di rispettare le disposizioni nazionali e internazionali poste a tutela dei diritti umani”.
L'associazione ricorda che le prassi illegittime riscontrate sono già state oggetto di scrutinio da parte della Corte europea dei diritti umani, che aveva condannato l’Italia nella sentenza resa nel caso Sharifi, originato dalla riammissione non registrata da parte dell'Italia verso la Grecia, sulla base dell’accordo bilaterale di riammissione tra Italia e Grecia, di 32 cittadini afghani, 2 sudanesi e 1 eritreo. Nel 2019 e poi nel 2020, le associazioni aderenti al Network porti adriatici avevano inviato una Comunicazione al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, al fine di rimarcare la necessità di proseguire con la procedura di monitoraggio dell'esecuzione della sentenza alla luce della permanenza ai valichi di frontiera portuali di prassi illegittime riscontrate .
"Alla luce dell’ennesimo caso diviene ancor più urgente e necessario mantenere alta l’attenzione sull’esecuzione della sentenza ed evidenziare la perpetuazione delle prassi illegittime, tra cui trattamenti disumani e degradanti a danno dei cittadini di Paesi terzi, anche in considerazione dell' intensificarsi degli arrivi attraverso la rotta adriatica in conseguenza della sempre più allarmante situazione nei Paesi della Rotta Balcanica" conclude la nota.