Migranti, Still I Rise: in Grecia quarantene senza cibo né docce
"Nell'hotspot di Samo "le misure straordinarie per gestire la crisi sanitaria hanno dato il via libera al governo greco per attuare un protocollo di isolamento inumano ai danni dei residenti". La denuncia dell'ong
Nell'hotspot di Samo "le misure straordinarie per gestire la crisi sanitaria hanno dato il via libera al governo greco per attuare un protocollo di isolamento inumano ai danni dei residenti dell'hotspot, senza garanzia di sufficiente supporto medico, né di serie misure di protezione nei campi": è quanto denuncia Still I Rise in un report di denuncia sulle discriminazioni e i trattamenti subiti dai rifugiati e richiedenti asilo residenti in Grecia durante la gestione della pandemia, dal titolo "Isolati e dimenticati: l'impatto delle restrizioni da Covid-19 nell'hotspot di Samos".
I fatti riportati, come si legge in una nota, si riferiscono a tutto il 2020 e buona parte del 2021. In origine, spiega l'ong, le testimonianze raccolte e confluite nel report erano parte di una causa penale che Still I Rise intendeva presentare ai danni del ministro della Migrazione e Asilo, del ministro della Salute e del ministro della Protezione Civile ellenici: tuttavia, l'immunità parlamentare garantita dalla legge greca ai suoi ministri in carica avrebbe reso vana ogni azione giudiziaria. E così anche per la violazione sistematica dei diritti umani non esistono colpevoli.
Giulia Cicoli, direttrice Advocacy di Still I Rise, avverte: "Durante tutto il corso della pandemia, invece di decongestionare i campi profughi in modo da permettere ai residenti di proteggersi dal virus, le autorità greche hanno lasciato queste persone in condizioni disumane e criminali, tenendo le strutture in lockdown per lunghi periodi e mettendo a rischio la salute di persone estremamente vulnerabili. Stiamo parlando di esseri umani nell'Europa del 2021: è inaccettabile che ciò sia stato permesso e che non ci siano vie legali effettive ed efficienti per avere giustizia.
Le violazioni registrate da Still I Rise iniziano dal 21 marzo 2020, quando i ministeri greci di Immigrazione e Asilo, Salute e Protezione Civile, hanno messo a punto un piano operativo chiamato 'Progetto Agnodiki', per gestire i focolai nelle strutture ricettive per rifugiati e richiedenti asilo. Il protocollo indicava la quarantena per le strutture e l'isolamento, insieme alla cura in loco, di tutti i casi di Covid (confermati o sospetti): l'indicazione, però, determina una forte discriminazione sulla base dello status amministrativo dei residenti dell'hotspot e contravviene alle disposizioni generali dell'Organizzazione per la salute pubblica nazionale greca (Eody), che sono state applicate invece al resto della popolazione.
Per Still I Rise, altro punto dolente riguarda l'aspetto operativo: al contrario di quanto disposto dal governo, nessuna delle misure di prevenzione e potenziamento della struttura è stata pianificata e adottata in modo adeguato. Secondo il piano, le autorità responsabili del centro avevano infatti il dovere di divulgare ogni giorno informazioni sulla prevenzione del virus, di sanificare "aree comuni" e di sospendere le attività al chiuso. Era inoltre prevista la fornitura di unità mediche aggiuntive, il monitoraggio giornaliero ai punti di ingresso e di uscita delle strutture, nonché la segnalazione di eventuali casi sospetti, unitamente alla registrazione di tutto lo staff. Solo buoni propositi: nella realtà, nulla di tutto questo è stato fatto.
Al contrario, Still I Rise denuncia che l'area della quarantena è stata improvvisata nella cosiddetta 'Safe Zone' dove risiedono i minori non accompagnati e negli uffici amministrativi delle organizzazioni operanti nell'hotspot. Questi spazi si sono rivelati inadatti e impreparati alla ricezione e cura dei pazienti, come testimonia J., un richiedente asilo che vive nell'hotspot di Samos: "Siamo stati messi in isolamento nel container UN1, che di solito viene utilizzato come ufficio. Nel container ci sono 2 stanze e un bagno, ma non c'è la doccia. Dormivamo per terra e le uniche cose che abbiamo trovato per dormire sono state una zanzariera e un lenzuolo che erano stati lasciati nell'ufficio".
La mancanza di preparazione e di attenzione ha messo a serio rischio le vite dei residenti, creando di conseguenza altri problemi sanitari. Tutti coloro che si sono trovati nella zona di isolamento sono stati lasciati soli a se stessi, in grave carenza di supporto medico, che era al contrario fortemente necessario: come accaduto a una donna al nono mese di gravidanza, che ha rischiato la sua vita e quella del bambino, in quanto abbandonata in una stanza sovraffollata e senza essere monitorata: "Non mi ha visitata nessun medico durante questo periodo, anche quando mi si sono rotte le acque ho dovuto aspettare tre ore", si legge nella sua testimonianza. "Abbiamo chiesto un'ambulanza e, quando è arrivata, la polizia non ha voluto toccarmi, mio marito è stato l'unico ad aiutarmi e ad accompagnarmi fino all'ambulanza. Quando mi hanno portata all'ospedale dovevo partorire normalmente, ma siccome hanno aspettato tre ore e ho avuto un problema hanno dovuto farmi un cesareo e sono rimasta in ospedale per dieci giorni".
Allo stesso modo, il padre di uno degli studenti della scuola gestita da Still I Rise è stato trasferito in terapia intensiva a causa di complicazioni dovute a una patologia cardiaca pregressa, dopo essere risultato positivo al test per il Covid ed essere stato messo in isolamento senza un'adeguata assistenza medica.
Drammatico anche l'accesso ai servizi igienici di base: i bagni e le docce erano pochi e ai residenti con diagnosi di Covid-19 è stato permesso di usare quelli a disposizione di tutti. Dalle testimonianze raccolte emerge che le persone sottoposte a quarantena non si potevano lavare ed erano costrette a indossare gli stessi vestiti per tutti i 14 giorni di isolamento.
Anche la fornitura alimentare è stata fatiscente e non adeguata al fabbisogno delle persone. Come racconta H.N.: "Il cibo non è buono (avariato o maleodorante). All'inizio ci portavano il cibo ai container, ma dopo un po' hanno iniziato a portarlo all'ingresso dei 6 container. Quindi, se tardavi, non ricevevi nulla e restavi affamato".
Negli hotspot e nelle strutture di accoglienza per rifugiati in tutta la Grecia, sono rimaste in vigore le restrizioni di movimento, con successive estensioni delle misure indipendentemente dalla situazione epidemiologica.
Un approccio opposto è stato invece adottato nel resto del Paese, dove le restrizioni della prima ondata sono state abolite a maggio 2020.
Still I Rise infine avverte che fino a settembre 2020 non è stato registrato nessun caso di Covid-19 tra i residenti dell'hotspot di Samos: di conseguenza, questo livello di restrizioni ha penalizzato enormemente la comunità di rifugiati e richiedenti asilo, criminalizzandoli per condizioni di vita che non dipendono da loro.
Le testimonianze raccolte da Still I Rise parlano anche di una fallimentare divulgazione delle informazioni sulla realtà del Covid-19 tra le persone del campo: questo ha favorito la diffusione di voci e informazioni false, nonché la discriminazione di coloro che risultavano positivi. Il risultato è stato un crescente stato di paura, che in alcuni casi ha comportato la mancata segnalazione di sintomi sospetti da parte dei richiedenti asilo.
Conclude Giulia Cicoli: "I residenti nelle strutture di accoglienza in Grecia hanno il diritto di essere trattati con dignità e di vedere i propri diritti umani fondamentali rispettati. La gestione della pandemia nei campi profughi greci ci ha invece dimostrato quanto semplice sia infierire sempre maggiormente su persone volontariamente messe in condizioni di vulnerabilità". Still I Rise "sperava di poter dare loro giustizia in tribunale, o per lo meno di poterci provare. Vista l'immunità concessa ai ministri, non possiamo fare altro che rendere le loro testimonianze pubbliche: nessun Paese europeo dovrebbe permettere questo tipo di trattamento umiliante e degradante". (DIRE)